Presidente Cirio, togliamoci subito un dente: cos’è questo slogan «prima i piemontesi» che stiamo ascoltando ripetere dai suoi collaboratori? Non le nascondiamo che a noi piace poco, ci sembra che suoni come lo slogan razzista «prima gli italiani» di Salvini…
Non è uno slogan razzista. Credo che esprima un concetto di buon senso: il denaro che i piemontesi affidano alla Regione Piemonte deve essergli restituito, con canali preferenziali.
Non accade già così?
In alcuni casi no.
Per esempio?
Le faccio l’esempio delle case popolari: ci sono località nelle quali due alloggi popolari su tre vengono assegnati a cittadini di origine straniera.
Accade perché sono stranieri o perché sono indigenti?
La rete delle case popolari è rivolta ovviamente agli indigenti, ma là dove gli alloggi vengono assegnati in maggioranza agli immigrati siamo di fronte a una discriminazione al contrario. Occorre riequilibrare. Il nostro slogan si riferisce soprattutto al tema del lavoro e degli investimenti che intendiamo compiere a sostegno dell’occupazione.
Cosa avete in mente?
Erogheremo incentivi alle imprese che assumono lavoratori residenti in Piemonte. Non importa che siano piemontesi oppure siciliani, italiani o immigrati stranieri. L’importante è che siano residenti in Piemonte da almeno 5 anni e che abbiano pagato le tasse in Piemonte.
Che fine fa, in questo discorso, la solidarietà sociale? Ci sono indigenti, italiani e stranieri, che non possono pagare tasse.
Esiste la rete di assistenza e di sostegno al reddito, ma è un capitolo distinto dalle politiche di sostegno all’occupazione.
Secondo il Centro Studi Ires l’industria piemontese quest’anno sarà a crescita zero. Cosa farà la Regione per cercare di correggere il tiro? In cosa si differenzierà la sua Amministrazione rispetto alla Giunta Chiamparino?
Ci differenzieremo per una programmazione fondata sul coinvolgimento continuo degli imprenditori: negli anni passati molte aziende si sono lamentate di essere poco o nulla ascoltate. Noi chiederemo che siano gli imprenditori a segnalarci i curriculum formativi da attivare nei Centri di formazione professionale coordinati dalla Regione. Pensiamo al caso di Mirafiori, dove stanno per essere realizzate auto elettriche: ebbene, tocca all’industria chiedere che i Centri di formazione addestrino personale specializzato in questo settore d’avanguardia. Il tema della formazione è uno dei tre pilastri del nostro piano di sostegno alla competitività delle aziende.
Quali gli altri pilastri?
Uno è la semplificazione delle procedure amministrative: fra poche settimane speriamo di essere pronti ad avviare una prima sforbiciata dei passaggi burocratici che rallentano la vita delle imprese. L’altro pilastro è lo sfruttamento sistematico dei Fondi Europei a sostegno delle imprese piemontesi: abbiamo passato l’estate a studiarli tutti, uno per uno, per raccogliere anche le briciole.
Lei sa che importanti Centri di formazione professionale (abbiamo in mente la Casa di Carità Arti e Mestieri) si sono indebitati e rischiano il proprio futuro perché la Regione Piemonte è in ritardo di anni nei pagamenti?
Abbiamo rimediato. In luglio abbiamo stanziato 15 milioni di euro per liquidare tutti i crediti vantati dalle agenzie di formazione attraverso la Città Metropolitana. Ulteriori 12 milioni sono stati erogati ad agenzie di formazione che riferiscono direttamente alla Regione.
I sindacati stimano che l’industria dell’auto, Fiat e indotto, abbia perso 18 mila posti di lavoro in dieci anni. Torino lo sa bene, sta scommettendo molto sul terziario e sull’università, sul turismo, sul mercato culturale. Lei concorda con queste ricette? Ne ha in mente altre?
L’industria garantisce circa un terzo dei posti di lavoro del Piemonte, il cinema e la cultura non saranno mai in grado di fare altrettanto. Le politiche per la cultura e per il sostegno al terziario stanno comunque contribuendo a bilanciare, almeno un po’, le perdite di posti di lavoro nell’industria. Mi chiede se ho una mia ricetta per Torino? Credo che il capoluogo possa crescere moltissimo come città universitaria. Torino ha enormi potenzialità in questo senso, ma gli enti locali devono darsi da fare. Ho proposto al sindaco Appendino di unire le forze: la Regione potrebbe dirottare fondi europei sulla creazione di convitti universitari nelle tante aree industriali abbandonate; ma il Comune deve darsi una mossa e cambiare una buona volta il Piano Regolatore, per incentivare le imprese del settore.
Chiamparino e Appendino sembravano andare d’amore e d’accordo sui dossier che riguardano Torino. Lei pare meno in sintonia con il Sindaco, cui riserva frequenti stoccate. Perché?
Non mi pare che la vecchia intesa fra Chiamparino e Appendino abbia portato grandi risultati. Sono state perse le Olimpiadi, il Salone dell’Auto, vari eventi culturali. Io ho assoluto rispetto istituzionale nei confronti di tutti, ma credo giusto contestare le azioni che penalizzano il territorio: ho citato la perdita delle Olimpiadi, ma potrei appuntarmi anche sul danno prodotto da politiche ambientali ideologiche e sbagliate, che impongono il blocco delle auto anche se lo smog proviene per metà dalle caldaie condominiali. Le famiglie che non hanno denaro per comprare un’auto nuova sono state lasciate a piedi, così non va bene. Collaboriamo, quindi, ma nella franchezza. Esistono tanti possibili settori di impegno congiunto: le Atp, il Salone del Libro, gli ospedali, la città universitaria…
I torinesi patiscono la mancanza di chiarezza sui progetti di Fiat-Fca, temono che alla fine il gruppo possa andarsene altrove, abbandonando le fabbriche. Lei ha le idee più chiare?
La trasformazione dei mercati apre continui punti interrogativi, i timori sono comprensibili (al di là di Fiat, pensiamo all’incertezza che continua a gravare sui lavoratori dell’ex Embraco), ma mi sembra che Fca abbia compiuto investimenti troppo ingenti su Mirafiori (auto elettriche) per non restare a Torino. Gli impegni presi per Maserati sono stati mantenuti, le risorse stanziate per allestire la linea delle auto elettriche a Mirafiori sono enormi: credo che Fca non se ne andrà. Ho notizia che nell’indotto auto ci siano aziende francesi e cinesi sul punto di insediarsi in Piemonte: sono segnali buoni, gli enti locali devono fare tutto il possibile per favorire gli insediamenti.
Torino sta aspettando i fondi promessi dal Governo per le aree in crisi. È denaro importante, non è ancora arrivato: una spina nel fianco solo per il Comune o un capitolo sul quale state facendo pressione anche per voi?
Si parla di 150 milioni da distribuire in tutt’Italia. Non è ancora stato chiarito quanto spetta a Torino. Occorre più chiarezza, sennò è propaganda.
Nel cuneese, la sua provincia di provenienza, l’economia gira meglio che a Torino. Perché?
Perché là c’è l’agricoltura. Il settore agricolo a Cuneo, Asti, Alessandria, Vercelli tira bene, è una risorsa che l’area torinese possiede poco. Ecco la differenza.
Qualcuno teme che lei si occuperà di Cuneo più che di Torino…
Timore infondato. Il Piemonte cresce se cresce Torino, e viceversa.
Fra le novità del suo governo c’è quella di non riunire la Giunta Regionale solo a Torino, ma di convocarla a rotazione nelle altre province: ritiene che il peso di Torino fino a oggi sia stato eccessivo?
Non credo che l’attenzione data a Torino sia eccessiva. Credo però che occorra prestare altrettanta attenzione alle province. La politica regionale ha talvolta peccato di sufficienza nei confronti delle voci che giungevano da fuori Torino. Il risultato? Una parte del Piemonte (il Verbano Cusio Ossola) ha per la prima volta celebrato un referendum per passare sotto la Lombardia.
Hanno vinto i no…
D’accordo, ma l’iniziativa mantiene il suo significato. Se 40 mila cittadini di un territorio esprimono la volontà di passare a un’altra regione, credo sia la manifestazione di un disagio che chi governa ha il compito di ascoltare e non sottovalutare.
Cosa manca alle altre province?
Servono migliori infrastrutture di collegamento: strade e ferrovie. Pensi all’eterno cantiere dell’autostrada Asti-Cuneo. Pensi all’inefficienza dei collegamenti ferroviari fra Torino e Biella, fra Torino e Aosta.
Sono l’unico problema, le strade?
Ce ne sono ovviamente altri. Per esempio, nelle zone di montagna, c’è il problema di ricalibrare gli ospedali. In Piemonte abbiamo una regola generale, quella di garantire un ospedale ogni 300 mila abitanti, ma è una regola buona solo in pianura, non funziona in montagna. Nelle valli di montagna la popolazione è spesso dispersa in località molto distanti fra loro: possono essere necessari più ospedali, dobbiamo tornare a discuterne.
È vero quello che si dice, che Lei confermerà l’iter avviato per il Parco della Salute in via Nizza?
È vero, sosterremo con decisione il programma di costruzione del nuovo polo ospedaliero. L’unica perplessità riguarda l’Ospedale infantile Regina Margherita: stiamo chiedendoci se sia opportuno inglobarlo nel Parco della Salute insieme alle Molinette e al Cto, o se sia meglio conservarlo nella sede attuale in modo da liberare posti letto nel futuro complesso di via Nizza. Vogliamo che il Parco della Salute nasca senza tagliare i posti letto complessivi; ad oggi il progetto prevede tagli consistenti. Ne discuteremo, ma faremo in modo di non interrompere l’iter di avvicinamento al cantiere. Sono in corso le bonifiche del terreno di via Nizza, le abbiamo anzi intensificate.
Per risanare i conti della Sanità, Chiamparino e l’assessore Saitta imposero una cura da elefanti a tutti i servizi, con tagli e riorganizzazioni. Lei oggi riceve un comparto uscito dal Piano di Rientro. Buono il lavoro del suo predecessore?
Sì, è stato un lavoro buono. La situazione finanziaria della Sanita regionale è tornata sotto controllo, lo Stato centrale ha revocato il sostanziale commissariamento. Questo non significa che i conti quadrino: nel 2018 la nostra Sanità ha chiuso con un saldo negativo di 160 milioni, dobbiamo trovare il modo di ripianarli senza penalizzare il servizio al pubblico. Insomma, la strada è in salita.
Il nuovo assessore Icardi sostiene che manchino 150 medici di pronto soccorso. In Francia questa situazione sta portando alla chiusura dei servizi. Cosa accadrà in Piemonte?
È il paradosso italiano: mancano i medici, ma le università di Medicina sono a numero chiuso, le borse di specializzazione sono pochissime. Lo Stato centrale dorme… In attesa che lo Stato si svegli, per evitare il peggio abbiamo attivato 17 nostre borse di specializzazione presso l’Università e altre 33 attiveremo con denaro delle fondazioni bancarie. I borsisti firmeranno l’impegno a lavorare in Piemonte per un tempo di almeno 5 anni dopo la specializzazione; già dal terzo anno di frequenza ai corsi di specializzazione potranno essere impiegati nei servizi ospedalieri.
Per quanto riguarda invece i pronto soccorso, abbiamo chiuso pochi giorni fa un accordo con le organizzazioni sindacali per estendere ai medici neolaureati e abilitati l’accesso ai bandi per i pronto soccorso per le situazioni di non urgenza. Nell’arco di 6 mesi questo ci consentirà di dare una prima soluzione all’emergenza.
L’ultima domanda è sul diritto allo studio. Come valuta il progressivo svuotamento dei Buoni Scuola che dovrebbero sostenere le scuole paritarie, Buoni finanziati con cifre sempre più ridotte dall’Amministrazione regionale? Intende rimpolparli?
Sì, li abbiamo già leggermente incrementati. Con riferimento all’anno scolastico 2018-2019 abbiamo messo a bilancio 4 milioni di euro, una cifra lievemente superiore all’anno precedente. L’obiettivo per gli anni a venire è quello di aumentare potentemente il budget destinato ai buoni scuola: le famiglie devono ricevere denaro sufficiente a scegliere la scuola che preferiscono, statale o paritaria.
La Regione possiede risorse per fare questo?
Mi rendo conto di indicare un obiettivo ambizioso, ma puntiamo a raggiungerlo, vedremo come. Cercheremo di aiutare le scuole paritarie anche sul fronte dell’edilizia scolastica, stiamo chiedendo all’Unione Europea di riconoscere alle paritarie lo status di «microimprese»: se accadrà, potremo erogare i Fondi europei per la messa in sicurezza degli edifici.