Clima, Cop 26: “Agire subito”, ma Cina e India frenano

Conferenza Onu – Staffetta senza sprint da Roma e Glasgow, ma alcuni segnali ci sono: Usa ed Europa di nuovo battistrada nella lotta al cambiamento climatico. Con un alleato forte: il Papa. Dal G20 per la prima volta c’è l’impegno a contenere di 1,5 gradi l’aumento della temperatura entro la metà del XXI secolo

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Parole pesanti, ma piccoli passi, sulla via della lotta contro il cambiamento climatico: la staffetta tra il G20 di Roma, sabato e domenica, e la Cop26 di Glasgow, che ha avuto i suoi giorni clou lunedì e martedì, non ha il ritmo frenetico del passaggio di testimone di una 4×100, ma quello più studiato di una 4×400. E le assenze di Roma – i presidenti cinesi Xi Jinping e russo Vladimir Putin – si amplificano a Glasgow, dove non ci sono neppure i presidenti turco Erdogan e brasiliano Bolsonaro.

A Roma, i Grandi fanno comunque un progresso rispetto agli Accordi di Parigi, anche se non è accompagnato da indicazioni vincolanti su modi e tempi. Del resto, non è nel potere di Vertici come i G7 e i G20 prendere decisioni, ma piuttosto definire priorità, tracciare percorsi e indicare impegni. Nelle conclusioni che il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, presidente di turno del G20, illustra a Vertice concluso c’è per la prima volta l’impegno a contenere in un grado e mezzo l’aumento della temperatura rispetto all’era pre-industriale entro il 2050, anche se l’obiettivo è espresso in modo sfumato (intorno alla metà del XXI secolo), perché la Cina fissa la sua barra al 2060 e l’India addirittura al 2070 (e pure la Russia è riluttante). La geo-politica del clima s’intreccia con la green economy e la condiziona.

E Stati Uniti e Unione europea, di nuovo battistrada nella lotta al cambiamento climatico, una volta chiusa la parentesi negazionista della presidenza Trump, scoprono a Roma di avere un forte alleato in Papa Francesco (parola di Draghi e di Joe Biden), sul fronte clima e anche su quelli della lotta alla pandemia, alla povertà, alle disuguaglianze. Tutti sintomi d’un unico male: un Pianeta di uomini cinici e iniqui, la cui stella polare è il profitto personale e non il bene comune.

A Glasgow, la platea si allarga: i 20 diventano 190, tutti i Paesi che partecipano alla Cop26, che pochi sanno perché si chiama così: è la 26a tappa della Conferenza delle Parti (Cop è l’acronimo in inglese) coinvolte nella convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici. Martedì sera, i leader, pronunciati i loro discorsi, se ne sono andati e i riflettori dei media si sono spenti. Da quel momento, sono incominciati i negoziati veri e propri fra le delegazioni: andranno avanti fino al 12 novembre, a meno che – come spesso avviene in queste assise – all’ultimo istante gli orologi non vengano fermati per proseguire le trattative ad oltranza.

Ne usciranno valanghe di parole, che Greta Thunberg bolla come «bla bla bla», molti auspici e qualche impegno. Che andranno poi misurati con i fatti e con i risultati.

Lo speciale integrale di Giampiero Gramaglia è pubblicato su La Voce e il Tempo del 7 novembre 2021 – IN EDICOLA

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