Greta Thunberg, 16 anni compiuti a gennaio, svedese, viso tondo e severo, due lunghe trecce castane, è forse il nemico più insidioso per il presidente americano Trump. Il 20 agosto dell’anno scorso ha iniziato uno «sciopero scolastico» e da allora nei giorni di assenza dalle aule manifesta contro quel cambiamento climatico che Trump cerca di negare nonostante l’evidenza dei dati scientifici. L’ha fatto, il suo sciopero, per venti giorni consecutivi fino alle elezioni generali che si sono svolte in Svezia il 9 settembre, e da allora continua a farlo ogni venerdì portando la sua protesta davanti al palazzo del Rikstag, il Parlamento nazionale del Regno di Svezia.
Non solo. Il 4 dicembre Greta è andata in trasferta alla Cop24, il vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è tenuto a Katowice in Polonia. All’inizio del meeting è riuscita a raggiungere un microfono e davanti a centinaia di scienziati e politici di tutto il mondo ha detto: «Ciò che speriamo di ottenere da questa conferenza è di comprendere che siamo di fronte a una minaccia esistenziale. Questa è la crisi più grave che l’umanità abbia mai subito. Noi dobbiamo anzitutto prenderne coscienza e fare qualcosa il più in fretta possibile per fermare le emissioni e cercare di salvare quello che possiamo».
L’esito della Cop24 (dieci giorni fitti di numeri, grafici e relazioni scientifiche al massimo livello) l’ha delusa. Il 14 dicembre si è ripresa la parola e ai leader che decidono le sorti del mondo ha passato questo messaggio: «Voi parlate soltanto di un’eterna crescita economica ‘verde’ poiché avete troppa paura di essere impopolari. Voi parlate soltanto di proseguire con le stesse cattive idee che ci hanno condotto a questo casino, anche quando l’unica cosa sensata da fare sarebbe tirare il freno d’emergenza. Non siete abbastanza maturi da dire le cose come stanno. Lasciate persino questo fardello a noi bambini. […] La biosfera è sacrificata perché alcuni possano vivere in maniera lussuosa. La sofferenza di molte persone paga il lusso di pochi. Se è impossibile trovare soluzioni rimanendo dentro questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema».
Bisogna capire la durezza comunicativa di Greta: pare che le abbiano diagnosticato una sindrome di Asperger. Ma soprattutto bisogna ascoltarla. Greta ci ricorda che il cambiamento climatico è una partita dell’intera umanità che si gioca contro il vecchio modello di sviluppo, il crescente divario ricchi/poveri, le migrazioni forzate, la mancata redistribuzione della ricchezza, il Pil in larga misura rubato all’ambiente. Proprio per questo, però, sono da evitare le confusioni prodotte da una informazione miope e superficiale.
In Piemonte abbiamo alle spalle due mesi di «bel tempo» ininterrotto. Lo chiamano «bel tempo» anche i meteorologi dell’Aeronautica: a loro basta volare tranquilli, all’agricoltura non pensano. Alla fine di gennaio, nei «giorni della merla», a Torino i ciliegi ornamentali di piazza Solferino hanno iniziato la fioritura, subito stroncata da un giorno di gelo. La siccità dura da mesi. Una domenica di vento ha fatto strage di alberi a Roma. Ad Acireale la mareggiata ha risucchiato un’auto ferma su un molo facendo affogare quattro giovani che assistevano allo scatenarsi della natura. Fenomeni estremi. Eppure sarebbe un errore scientifico trarne conclusioni sul futuro climatico del nostro pianeta.
Per prendere sul serio il problema del cambiamento climatico occorre innanzitutto avere chiara in mente la distinzione tra meteorologia e climatologia. E’ una questione di distanza prospettica. Il tempo meteorologico ha tempi di ore, giorni, settimane e opera su scala regionale. Il clima è lento: lavora come minimo su tempi di alcuni decenni e manifesta le sue conseguenze a scala globale nei secoli e nei millenni. Non ha nessun fondamento ragionare su impressioni locali ed effimere. Si finisce in chiacchiere sulle «mezze stagioni» di epoche passate.
La tendenza climatica ha delle oscillazioni. Tra Sei e Settecento il mondo ha attraversato una «piccola era glaciale»: la temperatura globale è scesa di circa un grado. Perché sia avvenuto non è noto con certezza. Gli astronomi fanno notare che in quegli anni il ciclo delle macchie solari toccò un minimo profondo (il cosiddetto «minimo di Maunder», dal nome del ricercatore che se ne accorse esaminando dati storici). Può darsi che ci sia un rapporto di causa/effetto, ma non è dimostrato. Eventi casuali, come le grandi eruzioni del Tambora (1815) e del Krakatoa (1883, ma anche dicembre 2019), possono incidere sulla tendenza globale. Dalla fine dell’Ottocento la temperatura planetaria ha ripreso a salire. C’è stata una pausa con un lieve raffreddamento negli anni 70, poi una veloce ripresa. Nell’ultimo ventennio si collocano i dieci anni più caldi di tutto il secolo precedente. Il 2019 ha buone probabilità di segnare un record come il 2003: lo fa pensare l’andamento del «Nino», una perturbazione ciclica dell’Oceano Pacifico meridionale.
L’andamento altalenante e lento del clima costituisce una difficoltà per la comunicazione del rischio climatico. Il fatto è che scelte che si fanno oggi in campo energetico, come lo sfruttamento intensivo degli scisti bituminosi e dello shale gas che ha restituito l’autonomia energetica agli Stati Uniti, avranno conseguenze quando Greta Thunberg sarà nonna, e il peggio lo vedranno i suoi nipoti e pronipoti.
Alti e bassi della temperatura e delle piogge sono aleatori. Invece sono affidabili i dati della composizione dell’atmosfera relativi ai due gas serra principali. E i dati sono questi: nell’ultimo secolo l’anidride carbonica è passata da 300 a 406 parti per milione; il metano è raddoppiato: è ancora poco (2 parti per milione) ma è venti volte più efficace dell’anidride carbonica nel generare effetto serra; giornali e tv dimenticano sempre che il gas serra più importante di tutti è il vapore acqueo e che la sua quantità nell’atmosfera dipende da una molteplicità di fattori complessi che in parte si elidono: più nuvole corrispondono a una maggiore riflessione di radiazione solare nello spazio in quanto le nuvole sono bianche.
Altri dati oggettivi certi sono la crisi dei ghiacci artici: in estate ormai la calotta si apre alla navigazione, rivoluzionando, tra l’altro, le rotte marittime della Russia e del Nord America e l’economia connessa. La fusione dei ghiacci ha una conseguenza grave benché inavvertita su tempi brevi: la salita del livello del mare. Da oggi al 2100 i mari potrebbero alzarsi quasi di un metro, per città come Venezia e paesi come il Bangladesh sarebbe la fine. Il sollevarsi del mare, poi, accelera la fusione (anche in Antartide) e nelle regioni subpolari riscaldate fonde il permafrost, liberando altro metano. Un meccanismo a orologeria perverso.
Che fare? L’effetto serra dipende in buona parte dalle scelte energetiche. Se il mondo continua a bruciare riserve fossili (carbone, petrolio, metano), lo scenario sarà esattamente quello che spaventa Greta e la sua generazione. Purtroppo l’energia è come un transatlantico: non si può frenare bruscamente né cambiare direzione di colpo. Il mondo viaggia ancora, per l’80 per cento, a combustibili fossili. Ma bisogna agire ora se vogliamo avere una frenata sensibile entro questo secolo. In parte lo si sta facendo. L’accordo di Parigi è un buon inizio, il guaio è che, approvato a parole, non è mai stato tradotto nei fatti e Trump addirittura ne è uscito sbattendo la porta.
Il Sole regala alla Terra in dieci minuti il fabbisogno energetico di un anno, peccato che sia discontinua e diluita su una superficie enorme. Abbiamo pannelli fotovoltaici e altri sistemi per accumularla. Anche qui però la strada è tortuosa: le attuali batterie sono al litio, e questo elemento è relativamente scarso. Insomma: la questione climatica non è semplice e non esistono soluzioni semplici, ognuna ha i suoi pedaggi da pagare. Tuttavia possiamo concludere con un paio di notizie recentissime e incoraggianti sull’energia solare: nel 2018 nell’Unione europea si è installato il 36 per cento di potenza fotovoltaica in più rispetto al 2017; e pochi giorni fa al largo della costa orientale dell’Inghilterra con 174 turbine è iniziata la produzione elettrica del più grande impianto eolico offshore del mondo, (ricordiamo che anche il vento è energia solare: è il Sole a spostare le masse atmosferiche creando nell’aria differenze di temperatura). Quando sarà a regime, questo parco eolico, il Walney Extension, avrà una dimensione pari al doppio dell’attuale parco eolico più grande del mondo.