Soffriamo tutti davanti alle immagini drammatiche della devastazione, dell’acqua e del fango, delle frane e di versanti che si polverizzano. In Piemonte ci sono stati due morti, centinaia di sfollati, migliaia di persone che non riescono a tornare nelle loro case e a raggiungere i servizi, i luoghi di lavoro, le scuole. Non c’è in Piemonte e in tutto il Paese tempo per guardare quanto successo con gli occhi sbarrati. È già il tempo della ricostruzione, della rigenerazione dei luoghi, dei negozi, del nostro patrimonio. La terra della Resistenza è anche la terra della resilienza, che sa come ricostruire il suo futuro, con le comunità protagoniste.

Numerose le analisi, i commenti, le considerazioni. Su un punto voglio soffermarmi. Le recenti calamità naturali, le alluvioni e il dissesto idrogeologico si originano da un combinato disposto complesso che ha nei cambiamenti climatici e abbandono dei territori montani le cause primarie di quanto avvenuto – e purtroppo rischia di succedere nuovamente – in Piemonte, Liguria, Val d’Aosta, Lombardia.
Un binomio sul quale occorre una riflessione politica e istituzionale, sulla quale montare investimenti e processi duraturi di intervento. Come quello del Piemonte, che sin dal 1997 ha una piccola porzione di tariffa idrica pagata da tutti i piemontesi (4 euro l’anno a famiglia) destinata ai territori montani per interventi di prevenzione del dissesto. Venti milioni di euro l’anno. Se non ci fossero, la situazione sarebbe ben peggiore, anche nelle città del fondovalle. Un sistema sussidiario, già presente in Emilia-Romagna e nelle Marche, oltre a necessari investimenti forti nazionali, europei. A partire da 20 miliardi di euro del Recovery Fund. Il 10 per cento del Next generation Ue deve essere investito in prevenzione del dissesto, come già da più parti evidenziato. Dieci per cento dei fondi del Piano nazionale Ripresa e Resilienza da investire per la prevenzione del dissesto, che ha un asse fondamentale nell’attuazione della Strategia forestale nazionale.
Abbiamo in Italia 11 milioni di ettari di boschi, un terzo della superficie complessiva del Paese. Un milione di ettari in Piemonte. Il dissesto si origina anche da foreste non gestite, non pianificate, e che non drenano più. Versanti troppo carichi, foreste non certificate, boschi d’invasione. E ancora, proprietà troppo piccole, parcellizzazione dei fondi che poi sono abbandonati. Facciamo insieme con il Governo e il Parlamento una seria analisi su questo fronte. Che è dovuto all’abbandono, allo spopolamento della montagna.
Occorre intervenire per facilitare il recupero di superfici agricole, per superare la frammentazione fondiaria con le «associazioni fondiarie», per dare forza e attuazione alla Strategia forestale nazionale, per rigenerare muretti a secco, «Patrimonio dell’Umanità» ma oggi in abbandono, e ancor prima per agevolare chi vuole reinsediarsi recuperando attività agricole e zootecniche sui versanti. Sono loro, questi reinsediamenti, il primo antidoto ad abbandono e fragilità. Garantiscono servizi ecosistemici-ambientali all’intero Paese.
Il nodo nei Comuni montani, in particolare in Piemonte, non è il consumo di suolo, bensì l’abbandono e la parcellizzazione del suolo. Aver perso agricoltura e superficie agricola mostra oggi gli effetti. Anche su questo occorre potenziare una Strategia per le aree montane e interne che deve vedere al centro i Comuni che imparano a lavorare insieme, nelle valli alpine e appenniniche, a pianificare e a investire insieme.
Dal primo censimento dell’agricoltura italiano nel 1961 all’ultimo del 2010, la superficie territoriale riconducibile al controllo delle aziende agricole è diminuita di 93mila chilometri quadrati (dei 300mila che formano il territorio nazionale). Un terzo del territorio nazionale è uscito dal controllo dei contadini e meno del 10% di questo è stato occupato dalla città, cementificato. Quasi 90mila chilometri quadrati sono usciti dai nostri radar, confinati nella terra di nessuno dove l’inselvatichimento riduce la funzionalità idraulica di un territorio che è stato largamente antropizzato negli ultimi millenni, riduce i tempi di corrivazione delle piene, aumenta il trasporto solido nelle acque. Produce i disastri che abbiamo visto.
Per questi motivi e a seguito di questi dati, occorre pianificare l’uso delle risorse del Next Generation Ue – un piano contro il dissesto idrogeologico, unito alla piena attuazione della Strategia forestale nazionale, non senza un «Piano per le rivitalizazione delle aree interne e montane» che passa dalla rigenerazione dei borghi alpini e appenninici, luoghi dove vivere e fare impresa. Il presidio del territorio è da favorire anche con opportune scelte fiscali per coloro che vivono nelle aree montane, o vorrebbero trasferirsi, al fine di garantire presenza, presidio, manutenzione del territorio.
Nei giorni scorsi i Sindaci dei Comuni montani hanno avuto un ruolo importantissimo, insieme con l’intero Sistema di Protezione Civile, al quale va il nostro grazie. Il riconoscimento urgente dello Stato di emergenza e di calamità, si deve certamente accompagnare a stanziamenti opportuni (un miliardo di euro è necessario) e in tempi rapidi, individuando i Sindaci quali fulcro del percorso di ripresa e ricostruzione, sia a vantaggio delle imprese sia della Pubblica amministrazione. I Comuni, con Sindaci e Amministrazioni locali sono stati fondamentali e così lo saranno nei prossimi mesi. Minori carichi burocratici e celerità nelle pratiche, sono importantissimi, ancor di più in questa fase di emergenza sanitaria, verso un inverno certamente complesso.
Marco BUSSONE
Presidente Uncem
Unione Comuni e Comunità Montane