«Tutto questo deve finire»: guardando all’ondata di razzismo e di violenza scatenata negli Stati Uniti, il Consiglio mondiale delle Chiese, il Consiglio ecumenico delle Chiese i cardinali cattolici americani sollecitano conversione e rifiuto di ogni razzismo e violenza accanto al rinnovato impegno delle Chiese cristiane a rispondere con speranza e solidarietà alla crisi generata dalla pandemia: sono i punti forti della riunione avvenuta in modo virtuale e conclusa il 3 giugno dei rappresentanti di oltre 300 Chiese cristiane sparse in 110 Paesi del mondo.
La pandemia ha costretto al rinvio di un anno dell’assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese che doveva tenersi nel 2021 nella città tedesca Karlsruhe, e alla revisione di una serie di progetti proprio per l’impatto della crisi sanitaria. Nel 2022 l’assemblea riunirà 800 rappresentanti sul tema «L’amore di Cristo muove il mondo verso la riconciliazione e l’unità». L’assemblea si svolge normalmente ogni otto anni, determina le politiche, elegge il comitato centrale, principale organo di governo del Consiglio ecumenico della Chiese. Che ha pubblicato la dichiarazione «Amore, fedeltà, speranza e coraggio» per promuovere il dialogo e l’incontro tra le Chiese cristiane: «Il virus non rispetta i confini, la ricchezza o lo status e minaccia soprattutto le persone più vulnerabili, i poveri, le minoranze razziali, le popolazioni indigene, i disabili, gli immigrati e gli sfollati. Quindi le Chiese sono chiamate ad accompagnare persone e comunità più vulnerabili. In alcuni luoghi la paura e l’incertezza hanno fornito terreno fertile per teorie infondate, per interpretazioni teologiche fuorvianti». Il Consiglio – del quale non fa parte la Chiesa cattolica – da sempre combatte razzismo e discriminazioni. Su quello che è accaduto e accade negli Stati Uniti dichiara con fermezza: «Tutto questo deve finire: ci deve essere una conversione, una riflessione, un pentimento e un rifiuto di ogni forma di razzismo e discriminazione razziale, un riconoscimento dell’uguale dignità e del valore dato da Dio a ogni essere umano indipendentemente dal colore e dalle etnie». Nonostante il lavoro fatto, negli Stati Uniti c’è ancora molto da fare. Il Consiglio esprime sostegno alle Chiese statunitensi che cercano la giustizia razziale e rifiutano la strumentalizzazione del Cristianesimo, come sta facendo il presidente Donald Trump.
Riconoscere il problema del razzismo e affrontarlo – Sostiene il
cardinale Daniel DiNardo, di origini italiane, arcivescovo di Galveston-Houston (Texas), la città natale di George Floyd, l’afroamericano assassinato dalla polizia: «Noi in America abbiamo una trave nell’occhio per quanto riguarda il razzismo. È una realtà difficile ma va affrontata. Non possiamo risolvere un problema finché non lo riconosciamo. Ciò interessa anche noi, membri della Chiesa cattolica». Riferendosi alle ultime parole di George Floyd – «Non riesco a respirare» – conclude DiNardo: «Possiamo respirare di nuovo correttamente solo con l’aiuto dello Spirito Santo, solo quando il nostro costante lavoro sarà quello di eliminare il peccato del razzismo dalla nostra società». Lo chiede anche la Conferenza episcopale Usa nella lettera pastorale «Spalanchiamo i nostri cuori»: «Le parole non bastano, dobbiamo agire e abbiamo la responsabilità di correggere le ingiustizie e i danni che il razzismo ha causato, senza usare la violenza». Centinaia di cattolici – vescovi, sacerdoti, suore e laici – hanno manifestato davanti al Lafayette Park, sullo sfondo della Casa Bianca: nessun pugno alzato; nessun cartello di «Black Lives Matter, Le vite dei neri contano», ma rosari e immagini della Madonna di Guadalupe e dell’arcivescovo martire Oscar Arnulfo Romero. Non urla ma preghiere per la pace e la giustizia, letture bibliche, canti e i nomi di tutti gli afro-americani uccisi: «Questa non è la Nazione che vogliamo, l’America in cui crediamo. Quindi chiediamo riconciliazione». Tutte le vite contano, le vite nere contano, le vite bianche contano, le vite spagnole contano, le vite asiatiche contano: «Crediamo davvero nella dignità di ogni persona. È importante mostrare sostegno e solidarietà ai nostri fratelli e sorelle».
Vescovi, sacerdoti e parrocchie organizzano incontri e preghiere; scrivono lettere e pronunciano omelie contro il «profondo peccato del razzismo. In Florida, Pennsylvania, Michigan, California le campane suonano; in silenzio e in ginocchio chiedono la fine del razzismo. Uno dei cardinali più attivi è l’arcivescovo di Boston Sean Patrick O’Malley, impegnatissimo con Papa Francesco contro la pedofilia nel clero. Chiede alle parrocchie di leggere la sua lettera che definisce «il razzismo una malattia sociale e spirituale che uccide le persone, un cancro malvagio e morale. Abbiamo abolito legalmente la schiavitù ma non abbiamo affrontato la sua eredità cioè la discriminazione, la diseguaglianza e la violenza». O’Malley afferma che la Chiesa cattolica ha avuto «una complicità storica nella schiavitù». Aggiunge: «La realtà del razzismo nella nostra società e l’imperativo morale dell’uguaglianza razziale e della giustizia devono essere incorporati nelle nostre scuole, nel nostro insegnamento e nelle nostre prediche, in tutte le istituzioni della nostra società, in politica, nel diritto, nell’economia, nell’istruzione». Definisce la morte di Floyd «un omicidio compiuto per mano di quattro poliziotti canaglia, una prova dolorosa di ciò che è ed è stato in gioco per gli afroamericani: il fallimento di una società non in grado di proteggere la loro vita e quella dei loro figli. Riaffermiamo il valore inestimabile della vita di ogni persona; raddoppiamo il nostro impegno a promuovere il rispetto e la giustizia per tutte le persone. Sosteniamo e difendiamo la verità che “Le vite nere contano”».