Sono stati, e sono, una risorsa. E si vede! Nel post lockdown, che purtroppo qua e là sembra un «liberi tutti», gli anziani sono quelli che ricordano ai nipoti, soprattutto ai più grandi, che la libertà, in emergenza, va usata con il buon senso; dunque mascherina, gel, distanze, anche nelle piazze dei divertimenti, nei giardini dei giochi, nei bacini dei concerti, al bar, sotto i portici, sul lungomare.
Sì, sono loro, quelli oltre i 65 anni, con i capelli imbiancati, che ora sono i più attenti a conservare e conservarsi la salute. Li ritroviamo sui sagrati o le porte delle chiese a ricordarci, con discrezione, le regole e i pericoli. Li vediamo nelle stanze delle parrocchie a preparare le borse per chi ne ha bisogno, nelle cucine della Caritas e di cento associazioni che in questi mesi stanno dando il massimo di quello slancio che i «santi sociali» hanno seminato a piene mani un secolo fa, dal 1811, quando nasce san Giuseppe Cafasso. Sono quelli che lavorano negli «orti della Provvidenza», seminati nelle nostre campagne o attorno alle canoniche. Sono ancora loro a far giocare i bambini quando l’estate ragazzi non c’è, o costa cara, o per mille ragioni non s’è fatta. Loro, non certo la ministra, hanno tolto dall’impiccio migliaia di famiglie.
E saranno ancora loro a rimediare agli strappi che il Covid sta provocando tra le nuove generazioni: strappi di rapporti, di empatia, di sintonia, di armonia.
I giovani non lo dicono, ma hanno paura. Si vedono improvvisamente in un mondo che non ha più certezze, in una società che ha distrutto l’ascensore sociale; temono che il lavoro, per il quale si sono preparati, evapori al sole dell’estate e con esso, forse, svaniscano tanti sogni. Sì, hanno paura.
Chi pensava che saremmo usciti migliori dalla pandemia del Covid-19, deve fare i conti con quanto emerge dal rapporto «La silver economy e le sue conseguenze nella società post Covid-19» dell’Osservatorio Censis-Tendercapital. Lo studio registra un nuovo rancore sociale e generazionale dei più giovani contro i più anziani, esploso con violenza proprio a seguito della pandemia. Nel dettaglio, un giovane su due in emergenza vorrebbe penalizzare gli anziani nell’accesso alle cure e nella competizione sulle risorse pubbliche: il 49,3% dei millennial (il 39,2% nel totale della popolazione) ritiene che nell’emergenza sia giusto che i giovani siano curati prima degli anziani. Un cinismo confermato da quel 35% dei giovani (il 26,9% nel totale della popolazione) convinto che sia troppa la spesa pubblica per gli anziani, dalle pensioni alla salute, a danno dei giovani.
In sostanza, sale nella generazione più giovane un’inedita voglia di preferenza generazionale nell’accesso alle risorse e ai servizi pubblici, legata all’idea che l’anziano sia una sorta di privilegiato dissipatore di risorse pubbliche.
Non credo sia rancore. Sono solo tanti timori, angosce, paura appunto. E i primi che si sono messi in moto per ricucire, sono proprio quelli che qualcuno voleva chiudere in casa fino almeno alla fine dell’anno.
Emerge che nella fase post-Covid-19, gli anziani guardano al proprio futuro e anche a quello della propria famiglia con più fiducia degli altri: il 32,8% si dice ottimista, contro il 10,4% dei millennial e il 18,1% degli adulti. Gli anziani sono anche i più positivi sulle chance di ripresa dell’Italia (20,9%), mentre crolla in questo caso la fiducia dei millennial (4,9%).
Riunire, ricollegare, rimarginare, dunque, in casa, in famiglia, in strada, al campo sportivo, dovunque. Per dirla in gergo antico «tocca di nuovo alle riserve», come nelle grandi guerre: «alle riserve con i capelli bianchi».