Raffaella Dispenza, sposata, due figli, ha conosciuto le Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani) a 20 anni grazie ad esperienze formative e di impegno civile rivolte a giovani. Dopo la laurea in Architettura e il dottorato di Ricerca in Pianificazione territoriale e sviluppo locale e il lavoro nel settore della rigenerazione urbana, ha iniziato a collaborare con le Acli Provinciali occupandosi di progettazione sociale. Vicepresidente dal 2010, nel dicembre 2018 è stata eletta Presidente della Provincia di Torino, una realtà che conta 12.400 soci, 47 circoli e associazioni affiliate, 20 sedi di servizi di Patronato e Caf e oltre 20 punti di punti di raccolta e assistenza (tra cui uno all’interno del carcere torinese) gestiti da volontari. Le abbiamo chiesto come le Acli metropolitane stanno affrontando l’emergenza covid.
Presidente, i dati diffusi nelle scorse settimane dal direttore della Caritas diocesana Pierluigi Dovis dicono che nel nostro territorio e nelle diocesi del Piemonte in questi mesi di blocco i poveri sono cresciuti del 105% e che la ripresa a settembre sarà critica. I vostri servizi Acli sono un’antenna sul territorio, qual è la vostra analisi sulla situazione?
Lo sguardo delle Acli va prevalentemente ai lavoratori più fragili: come le assistenti familiari e i lavoratori domestici, in larga parte senza tutele contrattuali e senza ammortizzatori sociali; i lavoratori dell’agricoltura che è ancora teatro di dinamiche di sfruttamento e lavoro nero; i lavoratori della cooperazione sociale che operano all’interno di un sistema in cui gli appalti di servizio sono forniti spesso a condizioni di massimo ribasso; alle tipologie di persone da sempre più fragili nel mondo del lavoro cioè giovani, donne, migranti, lavoratori in età più avanzata; ai lavoratori della cultura, poco tutelati e trascurati dalle politiche di sviluppo. L’autunno sarà molto problematico e il rischio che le disuguaglianze aumentino è molto elevato.
Chi sono le persone che si sono rivolte maggiormente ai servizi Acli in questi mesi di emergenza e quali sono le richieste più urgenti? E come siete intervenuti? Le richieste maggiori sono state per avere accesso a quelle forme di sostegno al reddito che il Governo ha messo a disposizione di alcune tipologie di lavoratori e di famiglie e che i Patronati hanno accompagnato, come il Reddito di Emergenza che ha permesso a molte famiglie di ricevere per due mensilità un importo compreso tra i 400 e 800 euro; o la richiesta dei bonus di 500 euro per le colf e assistenti familiari. Ma anche per poter essere supportati nella richiesta di una invalidità civile per il proprio parente o per poter svolgere un Isee, operazioni semplici ma che il lockdown aveva reso complicate, causando un ulteriore disorientamento e preoccupazione, per il rischio di non riuscire ad ottenere nei tempi necessari la prestazione a cui avevano diritto, generando nelle persone una forte percezione di insicurezza sociale.
L’emergenza covid ha aggravato ulteriormente le condizioni delle fasce più deboli della provincia torinese, già tra le più cassintegrate prima dello scoppio del virus. Quali sono le vostre proposte per ridare fiato al territorio e fare in modo che il disagio sociale non diventi cronico?
Occorrono politiche di welfare territoriale integrate e politiche di promozione del lavoro. Questa fase di emergenza ha visto misure finalizzate a sostenere il reddito delle famiglie, ma la vera sfida è il lavoro. Non è una sfida che può essere vinta mettendo in campo politiche settoriali: occorre una nuova capacità di costruire politiche integrate. Serve una strategia di sviluppo comune, costruita in modo coeso mettendo insieme le energie sociali e intellettuali più vivaci del nostro territorio. Le politiche di welfare e di contrasto alla povertà devono essere tenute insieme alle politiche di sviluppo territoriale e di promozione del lavoro, alle politiche di rigenerazione urbana, di sostenibilità ambientale e di attivazione sociale dei cittadini. E questo richiede da un lato unità di intenti tra molti soggetti – Istituzioni, enti di ricerca, terzo settore, imprese, sindacati – per attivare processi di innovazione, mettendo da parte reciproche rigidità; e dall’altro lato necessita di investimenti ingenti e non estemporanei, affinché sia favorita una ampia pluralità di sperimentazioni, esperienze e pratiche.
Il coronavirus ha messo allo scoperto la piaga del lavoro precario e nero: da un momento all’altro migliaia di famiglie si sono ritrovate senza lavoro e reddito…
La crisi post Covid non deve farci arretrare rispetto a principi fondamentali come quello che il lavoro deve innanzitutto essere dignitoso, deve consentire alle persone di vivere una dimensione esistenziale e familiare adeguate, deve essere luogo di rigenerazione individuale e sociale. Servono politiche lungimiranti che consentano di non scaricare i fattori di crisi sulle persone, riconoscendo il lavoro nel suo significato più pieno, strumento di emancipazione, di partecipazione, di sviluppo collettivo e di salvaguardia dell’ambiente, come ben ci insegna la Laudato Si’ di papa Francesco.
In questi giorni di emergenza e isolamento, le Acli hanno continuato ad essere punto di riferimento per tante persone ai margini, sole, indigenti: secondo lei qual è la lezione che ci lascia questo periodo di difficoltà che ha messo a dura prova anche il mondo della solidarietà?
Credo che una delle lezioni più importanti sia che nessuno basta a se stesso, sia a livello individuale e sia livello di comunità sociale e ecclesiale, e che siamo chiamati a costruire una comunità della cura reciproca. Torino è sempre stato un contesto territoriale ricco di associazionismo, di esperienze di mobilitazione sociale e di terzo settore che nella pandemia ha evidenziato una grande capacità di resilienza e che attraverso il lavoro o l’attività volontaria costruisce coesione sociale. Serve dunque una stagione di rilancio dell’economia civile e sociale, per una azione collettiva partecipata, che attivi le persone, che offra occasioni di capacitazione e di lavoro anche nelle situazioni di fragilità.
Acli, Associazioni cristiane lavoratori italiani: da oltre 70 anni siete impegnati accanto ai lavoratori, alle loro famiglie, agli anziani, ai giovani con i vostri centri di formazione professionale che preparano a un mestiere. Come è cambiato negli anni l’intervento della vostra associazione nella nostra città?
C’è stato sicuramente negli ultimi anni, insieme al nostro tradizionale lavoro di tutela e di advocacy, un forte orientamento alla costruzione di modelli di intervento e di esperienze concrete, che hanno intrecciato le competenze dei diversi soggetti del nostro sistema che è fatto di associazioni di promozione sociale, di servizi di Patronato e Caf, di cooperative sociali (coop. Solidarietà e coop. Educazione Progetto), associazioni specifiche (Unione Sportiva Acli, Acli Colf, Fap Acli e Cta) in una logica di welfare territoriale e di comunità. Abbiamo investito in progetti di contrasto alla povertà, di costruzione di luoghi di cura e di ascolto, di rafforzamento di reti informali di quartiere, di contrasto alla povertà educativa, di costruzione di reti di prossimità e di assistenza e cura. Nella diocesi di Torino operano anche i centri di Formazione professionale gestiti da Enaip Piemonte che, accanto alla formazione rivolta a ragazzi in obbligo formativo, sta investendo molto nei corsi ITS, percorsi di eccellenza ad alta specializzazione tecnologica, capaci di rispondere alla domanda di personale qualificato delle imprese su temi quali la logistica o l’efficienza energetica.