Quando è stata composta, non è ancora certo. Forse a partire dal 1304, più probabilmente dal 1307. L’«Inferno» sarebbe stato scritto entro il 1309, il «Purgatorio» dovrebbe essere stato terminato tra il 1313 e il 1314, nel 1316, invece, avrebbe preso forma il primo canto del «Paradiso». Ma al di là di una ricostruzione cronologica ancora priva di certezze, quel che è chiaro a tutti, qualunque siano le date effettive di composizione, è che la «Divina Commedia» ha superato ogni confine temporale, essendo ancora oggi un monumento-simbolo della letteratura italiana e mondiale. Anche in assenza di un anniversario diretto e di una ricorrenza ufficiale, dunque, vale la pena, una volta di più, ripercorrere i molteplici, suggestivi contenuti dell’opera di Dante Alighieri e il suo straordinario valore culturale. Lo facciamo con il professor Marco Grimaldi, docente di Filologia della Letteratura italiana presso l’Università La Sapienza di Roma ed esperto dantista.
Perché, a distanza di secoli, la «Divina Commedia» continua a interrogarci? Come sono arrivati a noi l’opera e l’autore senza perdere nulla del loro valore?
La «Commedia», fin da subito, già in vita di Dante, ebbe una vastissima diffusione. Fu letta, copiata, commentata. Esiste una lunghissima tradizione di commenti in strati molto differenziati della popolazione del tempo, tra i mercantitra gli ordini mendicanti, gli intellettuali, gli studiosi, i poeti. Questo fenomeno di diffusione della «Commedia», pur con alcune fasi alterne, ad esempio nel corso del Seicento, perdura tuttora. Studiare, leggere la Commedia significa anche ripercorrere la storia della letteratura e anche la storia d’Italia, in qualche modo.
Dove risiede la sua profonda attualità?
Pur trattandosi di un mondo completamente diverso dal nostro, dal punto di vista morale, filosofico, teologico, è attuale nella misura in cui la poesia di cui è composta è recepita come una delle più alte realizzazioni dello spirito umano.
Ai giovani di oggi, però, totalmente immersi nei social network e, in un certo senso, ‘costretti’ a studiare l’opera di Dante a scuola, cosa può trasmettere la «Divina Commedia»?
La «Commedia» non va imposta nella sua integralità. Va fatta conoscere, come si fa ancora nelle scuole del nostro Paese, a pezzi, per così dire, e vanno forniti ai ragazzi gli strumenti linguistici, storici, filosofici per comprenderla. In modo che, una volta terminata la scuola, se lo vorranno potranno scegliere liberamente se leggerla o meno per intero. Se posso raccontare un piccolo aneddoto, so di un ragazzo francese che conosceva solo il videogame «Dante’s Inferno» e, solo dopo averci giocato a lungo, ha deciso di leggersi la «Commedia». Non ci sono limiti, diciamo così, alla provvidenza dantesca…
Ma si potrebbe rendere l’opera più ‘appetibile’ ai giovani attraverso nuovi codici comunicativi, meno consueti?
Senz’altro. Si può fare e viene fatto. Ci sono «Divine Commedie» a fumetti, nonché riassunti e traduzioni dell’italiano antico della «Commedia», e poi progetti multimediali, riduzioni teatrali, musical, ecc. Sono molti i progetti dedicati alla «Commedia» nelle scuole inferiori e superiori. Ciò nonostante, è indispensabile, ripeto, fornire gli strumenti per leggere quest’opera nella sua forma integrale.
Morale, religione, politica, amore, odio, passioni, vizi, virtù: come far convivere il messaggio e la visione di Dante con l’umanità divisa e fragile del Terzo Millennio?
Consideriamo un nodo particolarmente caro a Dante: la separazione tra il potere temporale e quello spirituale. Dante pensava, diversamente da molti uomini del suo tempo, che il potere dell’imperatore non dipendesse dal potere papale, ma discendesse direttamente da Dio. Senza negare, con una straordinaria modernità, come all’uomo fossero necessarie entrambe le beatitudini, la beatitudine terrena, ossia il raggiungimento della felicità su questa terra, ma anche il raggiungimento della felicità ultraterrena, e come queste due dimensioni non dovessero entrare in contrasto tra di loro. Pertanto, che i due poteri non dovessero confondersi, ma che la felicità ultraterrena fosse indubitabilmente più importante per gli uomini rispetto a quella materiale. Questa riflessione è da ritenersi ancora molto attuale.
Cosa spinse Dante a voler comporre la «Commedia»?
Dopo tanti progetti letterari incompiuti, fu spinto a scriverla nell’intento di fare un’opera di altissima poesia come non c’era più stata dai tempi di Virgilio. C’è un salto, infatti, tra Virgilio e Dante, e anche tra Dante e noi oggi, forse, in cui non si riscontra nulla di paragonabile alla «Commedia». La letteratura medievale è molto lontana da noi, Dante, invece, rimane particolarmente vicino. Inoltre, c’è un’esigenza concreta, che Dante avvertiva nell’intimo: con la sua opera, intendeva corrispondere a un fine pratico, cioè rimuovere l’umanità dallo stato di peccato.
Nulla, per qualità letteraria, è dunque rintracciabile prima e dopo Dante in opere analoghe?
Forse solo l’«Eneide», come opera precedente a Dante, potrebbe essere considerata al livello poetico della «Commedia». Possiamo ricordare anche, tra i possibili modelli di Dante, la Visio Pauli, un testo molto famoso nel Medioevo che trattava della visione di san Paolo, o ancora il Roman de la Rose, un poema allegorico. Dopo Dante, invece, Boccaccio e Petrarca hanno composto opere che in parte imitavano la «Commedia». Nessuna di queste rielaborazioni, però, raggiunge livelli poetici così alti come «Il Paradiso perduto» di Milton, che riprende la «Commedia» non nella sua struttura, completamente diversa, ma nella sua ispirazione fondamentale, con vette poetiche davvero sublimi.
Virgilio, Beatrice e san Bernardo che cosa rappresentano per Dante e per il lettore?
Virgilio può rappresentare la ragione, Beatrice la teologia e san Bernardo di Chiaravalle la fede o la visione mistica. Ma occorre fare attenzione su questo punto. Questi accostamenti simbolici non sono stati puntualizzati e definiti direttamente da Dante, ma costituiscono il frutto di interpretazioni successive, benché a loro volta molto vicine all’epoca di Dante.
Per una certa critica residuale, Dante avrebbe solo voluto punire e redarguire, premiare ed elogiare persone del suo tempo, riducendo la «Commedia» a una sorta di personalissimo ‘catalogo morale’…
Questa interpretazione non corrisponde a una corretta analisi dell’opera. Dante giudica tanti personaggi del suo tempo, ma tende sempre a disporre sulla scena anche molti personaggi dell’antichità per formulare un giudizio che sia pienamente universale, intendendo approntare una visione e un orizzonte che andavano oltre la sua epoca. D’altro canto, Dante coglie l’opportunità, con i suoi versi, di togliersi, come si suol dire, tanti sassolini dalle scarpe, facendo anche una battaglia politica, dato che era esposto in prima persona nelle controversie della sua città.
La «Divina Commedia» può considerarsi il modello linguistico per eccellenza di un lessico unitario, che supera i limiti delle parlate municipali. Anche per questo l’opera di Dante merita di essere celebrata al giorno d’oggi?
Quando si dice che Dante sia il padre della lingua italiana, si dice una cosa verissima. Studi e analisi effettuate sulle parole presenti nella «Commedia» hanno dimostrato che Dante ha introdotto moltissimi termini per la prima volta in italiano, in una quantità imponente, incomparabile rispetto a quanto possano aver fatto, per esempio, Petrarca o Manzoni. Un famoso filologo, Gianfranco Contini, diceva che Dante è davanti a noi, nel futuro, perché è qualcuno che è arrivato prima di noi…
Per non parlare dell’architettura metrica della «Commedia», suddivisa in cantiche e canti…
Strutture tripartite e organizzate come nella «Commedia» esistevano già. Dante era rigoroso nel confermare concezioni numerologiche nella composizione letteraria, per esempio intorno al tre o al dieci, come già si usava fare nel Medioevo. Ma l’intelaiatura della struttura delle terzine incatenate, o dantesche, è estremamente originale, essendo per l’appunto una sua personale invenzione, non esistendo nulla di simile prima di lui.