Raggiungere la neutralità climatica entro il 2030, ovvero eliminare o, quantomeno, ridurre drasticamente entro quella data l’emissione nell’atmosfera di anidride carbonica e dei gas che contribuiscono a produrre l’effetto serra, tra i maggiori responsabili dell’innalzamento delle temperature a livello globale e causa principale dei cambiamenti del clima.
È una sfida contro il tempo che coinvolge tutti, dalle istituzioni nazionali e sovranazionali al singolo cittadino e alla quale, naturalmente, non possono sottrarsi le Amministrazioni comunali, anzi. A tale scopo nei giorni scorsi nove città italiane, tra cui Torino, hanno firmato un protocollo d’intesa con il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile al fine di perseguire gli obiettivi della missione dell’Unione europea «Climate-neutral & smart cities».
Un impegno che richiede interventi normativi, infrastrutturali e, non meno importanti, cambiamenti di tipo culturale e di stile vita quotidiano come, ad esempio, la scelta di spostarsi in città con mezzi alternativi all’auto privata, preferendo il trasporto pubblico o la cosiddetta mobilità dolce e la bicicletta, il monopattino e, perché no, magari qualche sana passeggiata.
La Città di Torino ha affidato a un’assessora, Chiara Foglietta, la delega in materia di Transizione ecologica insieme a quella ai Trasporti. A lei, dunque, il compito di rendere il capoluogo piemontese più sostenibile e resiliente ai cambiamenti climatici, agendo anche sulla mobilità in ambito urbano.
Assessora Foglietta, raggiungere la neutralità climatica tra otto anni è una sfida impegnativa.
Sì, molto impegnativa, complessa, ambiziosa. È un obiettivo da perseguire con determinazione, perché garantirne il raggiungimento, o comunque avvicinarsi moltissimo, sarà fondamentale per noi e per le future generazioni. A breve, insieme alle altre città firmatarie del patto, predisporremo il «Climate city contract» che fornirà linee guida per le politiche locali da attuare, da oggi e fino al 2030, in tema di ambiente, trasporti , mobilità, edilizia e innovazione.
Un obiettivo, come dice lei, che le istituzioni devono perseguire con determinazione, ma anche i cittadini sono chiamati a fare la loro parte, accettando di cambiare qualcosa nel proprio stile di vita. Per Torino, sotto questo aspetto, buone notizie paiono giungere sul fronte della mobilità cosiddetta «dolce». Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio nazionale sulla Sharing mobility, il capoluogo piemontese si colloca al terzo posto, dopo Milano e Roma, per offerta e impiego di servizi di mobilità condivisa e di multimodalità e i dati rilevati da 5T sull’uso della bicicletta dicono che, tra il 2020 e il 2021, si è registrato un incremento dei passaggi lungo piste ciclabili cittadine pari al 33 per cento.
La nostra città può contare su 200 chilometri di piste ciclabili, a cui presto se ne aggiungeranno altri 20. I dati evidenziano un uso sempre maggiore della bicicletta in città, sono segnali senz’altro positivi. La bici viene usata sempre più come veicolo di spostamento casa-lavoro o casa-scuola.
Per quanto riguarda la mobilità multimodale, ottimi risultati sono stati ottenuti con i «buoni mobilità». Torino ha vinto il bando ministeriale Maas (Mobility as a service), ottenendo un finanziamento di 11 milioni di euro per progetti che permetteranno di integrare molteplici servizi di trasporto pubblici e privati: dai treni, metro e bus al car, bike e scooter sharing, dal taxi al car rental.
Insomma, si potrà lasciare la propria auto in garage e muoversi con mezzi diversi e senza difficoltà.
Sì, in città e non solo. Ad esempio, se dall’area metropolitana devo raggiungere uno dei circoli remieri sul Po, posso utilizzare per la prima parte del viaggio il sistema ferroviario metropolitano, scendere a Porta Susa e con un autobus Gtt arrivare in piazza Vittorio Veneto. Poi, con monopattino o bici in sharing attraversare il ponte della Gran Madre e prendere la ciclabile lungo Po per giungere alla mia meta. Il tutto si potrà fare attraverso un’unica piattaforma digitale, facilitando pure il pagamento mediante app e con un conto unico per i diversi servizi, sia di quelli di trasporto pubblico e sia quelli forniti da operatori privati.
Tutto questo si unirà a una revisione del piano del trasporto pubblico locale a cui stiamo lavorando in questi mesi.
Mobilità dolce e multimodale sembrano essere accolte con favore dai cittadini. Anche se non mancano le lamentele, ad esempio per i monopattini che girano senza regole e vengono abbandonati un po’ dappertutto.
Giuste proteste. Per questo l’Amministrazione ha varato un nuovo regolamento che dimezza il numero degli operatori, da otto a quattro, e portato da 250 a un massimo di 750 il numero dei monopattini in sharing che possono essere messi in circolazione in città. Inoltre, abbiamo reso più severe le misure per impedire che i monopattini vengano abbandonati sui marciapiedi, dove possono trasformarsi in pericolosi ostacoli per pedoni e, soprattutto, per le persone con disabilità.
Un’ultima domanda, accanto alla sfida per la neutralità climatica ve n’è una, quella dell’inquinamento atmosferico, che richiede risposte ancora più immediate e soluzioni che debbono conciliare interessi diversi, da quelli degli operatori economici che dalle limitazioni al traffico spesso si sentono penalizzati, alla necessità di tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini. È, secondo lei, possibile soddisfare tutti?
Eliminiamo ogni dubbio: la priorità è senz’altro la salute dei cittadini. Peraltro, l’emergenza climatica e la posizione geografica di Torino rendono la situazione strutturale più complicata anche rispetto ad altre città del Nord. Le regole che limitano la circolazione dei mezzi più inquinanti sono dettate dal «Protocollo del bacino padano» (accordo tra Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) e il Comune di Torino è tenuto a rispettarle, senza deroghe.
Comprendo il problema degli operatori commerciali per gli stop ai veicoli diesel, ma sul tema vorrei ricordare che essi possono installare il «Move-in» sul mezzo: uno strumento che autorizza a percorrere un certo numero di chilometri annualmente e, di fatto, consente loro di svolgere la propria attività.
Mi lasci dire, a un cittadino molto anziano che si lamentava perché gli veniva negata la possibilità di andare a prendere i nipoti a scuola, avevo risposto che lo si faceva per dare un futuro ai suoi nipoti in questa città.
Non si tratta di essere eccessivamente pessimisti. I dati resi noti da diverse organizzazioni internazionale sono estremamente allarmanti: se non si interviene con tempestività e decisione, evidenziano, nel 2035 l’aria nelle città sarà irrespirabile e, se non si fa nulla, tra una quindicina di anni i centri urbani non saranno disabitati per un problema di bassa natalità, ma di alta irrespirabilità dell’aria.