“Difendere gli Ospedali cattolici”

Intervento – L’appello del Papa a sostegno della Sanità gratuita rilancia la riflessione sul servizio degli Ospedali cattolici, che sono inseriti nella rete pubblica ma devono fare i salti mortali per far quadrare i conti. Ne scrive Marco Salza, direttore generale del San Camillo di Torino

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Non è la prima volta che riflettiamo sulla presenza della Chiesa nel mondo della salute. La «Voce e il Tempo», da alcuni anni, da spazio a queste realtà descrivendone l’impegno, l’aggiornamento e le eventuali novità che le caratterizzano. L’intervento del Papa all’Angelus di domenica 11 luglio ha, provvidenzialmente, richiamato tutti, strutture, proprietà e cittadini, a riflettere sul fine e sugli strumenti che oggi in Italia abbiamo a disposizione per tutelare un bene che è anche salvaguardato dalla Costituzione (art. 32: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»).

Le parole di Papa Francesco sono inequivocabili: «In questi giorni di ricovero in ospedale, ho sperimentato ancora una volta quanto sia importante un buon servizio sanitario, accessibile a tutti, come c’è in Italia e in altri Paesi. Un servizio sanitario gratuito, che assicuri un buon servizio accessibile a tutti. Non bisogna perdere questo bene prezioso. Bisogna mantenerlo! E per questo occorre impegnarsi tutti, perché serve a tutti e chiede il contributo di tutti. Anche nella Chiesa succede a volte che qualche istituzione sanitaria, per una non buona gestione, non va bene economicamente, e il primo pensiero che ci viene è venderla. Ma la vocazione, nella Chiesa, non è avere dei quattrini, è fare il servizio, e il servizio sempre è gratuito. Non dimenticatevi di questo: salvare le istituzioni gratuite».

Calando questo richiamo alla nostra realtà regionale, dobbiamo riconoscere che in più occasioni sono state ricordate ai politici di turno le necessità e i mancati riconoscimenti che appesantiscono questa area importante della sanità che annovera, in Piemonte, un numero significativo di strutture e di professionisti impegnati. Sono strutture eccellenti e sono distribuite in diverse aree del nostro Piemonte. A Torino ricordiamo l’impegno del Cottolengo, dei Camilliani, del Don Gnocchi. In provincia il «Fatebenefratelli» a S. Maurizio canavese, i «Silenziosi operai della Croce» a Moncrivello (Vc), la Casa di Cura a Rodello d’Alba (Cn), l’I.r.c.c.s. Auxologico nel Verbano, la Casa di Cura «Stella del Mattino» a Boves (Cn), il Centro medico di riabilitazione «Paolo VI» a Casalnoceto (Al), il Centro di riabilitazione «Domus Laetitia» a Sagliano Micca (Bi). Accanto a queste strutture sanitarie numerose sono le Rsa, le Raf e le altre strutture sociosanitarie che operano sul territorio.

Questo elenco di strutture (complessivamente più di 2 mila letti di degenza e non meno di 2 mila dipendenti oltre al personale dipendente degli appalti) ad una lettura attenta, non può però tranquillizzare chi opera nel settore. Anche il Piemonte, infatti, rileva un costante ripiegamento dell’impegno degli Ordini religiosi e la cessione di strutture importanti. Tra le più note ricordiamo il «Gradenigo», recentemente l’ospedalino «Koelliker» solo per rimanere sulla Città di Torino, ma anche la Casa di Cura «Ville Turine» in Provincia, ne sono la conferma.

Questo andamento, in realtà, colpisce tutta l’Italia. Molte le realtà coinvolte. Oltre alla Pio X a Milano, ceduta al gruppo Humanitas, per citarne una famosa, una ferita in questo senso è la cessione, poche settimane fa, dell’Ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina (Roma). Un simbolo, questo ospedale storico, non solo per la sanità cattolica, ma per tutto il mondo della salute. La struttura rappresenta la prima struttura, ospedale d’Italia e forse del mondo. Fin dal 1500 l’Isola Tiberina era stato individuato come luogo di accoglienza «ospitale». La vendita del Fatebenefratelli dell’isola Tiberina al gruppo San Donato, proprietario tra l’altro del San Raffaele di Milano, potrebbe essere l’ennesimo atto di una commedia dell’addio che va avanti ormai da anni e che vede, uno dopo l’altro, i gioielli della sanità religiosa finire nelle mani dei privati.

Presidio Sanitario San Camillo Torino

Perplessi ci lascia anche il comunicato stampa con cui si è annunciato questo ultimo passaggio: «Detta offerta contiene l’impegno irrevocabile dell’offerente ad assicurare la continuità della gestione dell’Ospedale prevedendone il rilancio attraverso un piano di investimenti e interventi pienamente coerente con gli obiettivi della centralità del paziente, dell’umanizzazione e dell’universalità delle cure, dell’inclusione, del rispetto delle diversità, e dei valori cristiani divulgati da San Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli».

E’ uno scritto che ci pone delle domande: se fosse vero, perché continuare ad impegnarsi in questo ambito? Lo fanno benissimo le strutture profit come il Gruppo San Donato o l’Humanitas… Ma non solo, il modo di operare degli Ordini religiosi è esattamente lo stesso delle società quotate in Borsa? Molte sono quindi le domande che sorgono dopo queste considerazioni e bene ha fatto il Papa a richiamare la riflessione.

L’Aris nazionale (Associazione religiosi istituti sanitari) ha ripreso il concetto del Papa ed ha rilanciato con queste parole: «Non possiamo che essere concordi con Francesco nel ritenere necessario salvaguardare il diritto di tutti ad un Servizio sanitario universale. Nel contempo ringraziamo il Papa per aver ribadito la necessità di conservare la vocazione al servizio gratuito per l’uomo sofferente, che è propria dell’identità di Istituzioni che si riconoscono nella dottrina sociale della Chiesa. Da parte nostra assicuriamo l’impegno nel continuare ad offrire assistenza alla fragilità umana non per profitto ma per servire e far sì che questo servizio sia gratuito per tutti, senza distinzioni. Siamo altresì convinti che sia comunque necessario salvare le Istituzioni socio sanitarie no profit, sempre più sottoposte alle pressioni del mondo socio sanitario for profit, per continuare a garantire la gratuità dello stesso servizio per tutti e non consentire, a quanti hanno possibilità economiche, di accedere a servizi di eccellenza negati a quanti non dispongono di adeguate risorse. Come Associazioni assicuriamo il nostro impegno anche nel cercare di sostenere quanti, tra i nostri associati, si trovino in difficoltà nel navigare nel mondo sanitario di oggi, che sembra sempre più votato alla logica di mercato. Continueremo a proporre la gestione del buon padre di famiglia, comunque necessaria per salvaguardare una presenza sociale e sanitaria nel Paese, nello spirito di servizio e nella logica della carità».

Oggi, per reggere e per poter continuare ad offrire un ‘prodotto salute’ di eccellenza, per poter offrire prestazioni a tutta la società in un quadro di servizio pubblico in cui il nostro settore svolge un importante ruolo di sussidiarietà e, non ultimo, per reggere la competizione con i grandi gruppi della galassia della sanità privata, servono importanti finanziamenti.

Come conciliare questa esigenza economica finanziaria con i contenuti di un’economia di comunione? Siamo pronti a lavorare con competenza anche nell’ambito finanziario? Ma non solo, la fragilità economica di questi Enti sovente nasconde anche altre fragilità interne su cui è doveroso interrogarsi: come superare la carenza di vocazioni religiose? Come attuare un coinvolgimento dei laici a pieno titolo in queste opere ancora faticosissimo? Spesso la competenza non viene valorizzata. Spesso fare rete è complicato tra Enti dello stesso Ordine religioso. L’idea di andare verso consorzi, reti di acquisti, sharing è un miraggio. Dove, al contrario, il carisma di ciascuno dovrebbe essere ricchezza per gli altri e non fonte di gelosia.

Molte quindi le sfide che abbiamo davanti, ma sarà solo affrontandole con determinazione e competenza che potremo cercare risposte all’altezza delle domande e potremo interrompere questo flusso in caduta, senza speranza per queste strutture e per i malati che vi cercano cure appropriate e con più cuore che altrove.

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