Diritto internazionale, i rischi di un mondo senza regole

Siria – Il bombardamento di Usa, Gran Bretagna e Francia in risposta all’attacco chimico su Douma sono marginali sul piano militare, inutili sul piano politico e illegittimi sul piano del diritto internazionale. Usa e Russia stanno mettendo in campo una nuova guerra fredda, piena di incognite

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Il 14 aprile 2018 Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno sferrato un attacco missilistico contro obiettivi collegati alla produzione e allo stoccaggio di armi chimiche, per punire la Siria per l’uso di armi vietate dalle norme internazionali. L’azione militare, al di là delle evidenti implicazioni politiche, pone seri interrogativi circa la legittimità di questo tipo di interventi. Non è, quindi, stravagante provare a guardare a questi fatti nella prospettiva del diritto internazionale.

L’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI, Milano) ha recentemente pubblicato il suo autorevole Rapporto sugli scenari globali e l’Italia. Il titolo, molto evocativo, è «Sempre più un gioco per Grandi. E l’Europa?». In Siria è da sette anni in corso un «gioco» atroce, che ha mietuto ormai centinaia di migliaia di vittime tra la popolazione civile. Secondo l’importante War Report della prestigiosa Geneva Academy of International Humanitarian Law and Human Rights si tratta di due conflitti armati internazionali e cinque interni, con il coinvolgimento di un groviglio di soggetti, Stati e attori non-statali.

Dal 2011 a oggi sono stati commessi gravi crimini di guerra e contro l’umanità, nella sostanziale indifferenza del mondo. Ebbene nel terribile «gioco», assistiamo ormai ad azioni di squadre scese in campo ciascuna per giocare la sua partita, con finalità e obiettivi diversi: il sanguinario regime assassino di Assad; varie formazioni di oppositori interni, tutte eterodirette; Russia, Iran, Turchia, Israele, gli Emirati, l’Arabia Saudita; l’Isis, Hezbollah, Al Qaeda e altri ancora. La Russia ha fattivamente operato per aiutare il satrapo siriano a riconquistare larga parte del Paese. Il resto sarà ripartito in zone d’influenza a favore di alcuni attori/protagonisti, in primis Turchia e Iran.

La partita, però, è senza regole condivise e applicate, e ciascuno la gioca come vuole. L’arbitro designato – l’Onu – non è in campo, e nemmeno in tribuna. Sta a guardare la partita sui teleschermi.

La tragedia e le atrocità della seconda guerra mondiale avevano indotto gli Stati a costruire, con la Carta dell’Onu, un sistema di sicurezza collettiva, una forma di multilateralismo organizzato. Oggi questo è in grave crisi. C’è un presidente degli Stati Uniti, con evidenti limiti culturali e intellettuali, che improvvisa una politica estera à la carte, non sapendo la mattina quello che farà al pomeriggio, e cacciando con cadenza mensile ministri e consiglieri. In linea generale, egli opera una sistematica delegittimazione dell’ordine multilaterale e della sua architettura istituzionale. A Mosca c’è un dittatore-eletto-e-rieletto che persegue obiettivi di restaurazione di un inedito impero ibrido zarista-sovietico. In spregio al diritto internazionale, annette la Crimea e destabilizza l’Ucraina. I due leader stanno realizzando una nuova guerra fredda, piena di trabocchetti e di incognite. E le istituzioni internazionali stanno a guardare.

Il rifiuto del multilateralismo istituzionalizzato (che si fondava sul divieto dell’uso della forza se non per legittima difesa o per azioni decise o autorizzate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu) lascia spazi ampi e preoccupanti alle azioni unilaterali. Le due superpotenze della vecchia guerra fredda (con l’appoggio attivo di altri Stati importanti) intraprendono azioni militari al di fuori della legalità internazionale, e al contempo sfidandosi in Consiglio di Sicurezza a colpi di reciproci veti, espressi o minacciati. La Russia protegge e aiuta il suo vassallo Assad, e ne copre i crimini. Gli Stati Uniti, la Francia e il Regno Unito, senza autorizzazione del Consiglio, intervengono con le armi per punire il regime assassino. Il messaggio è forte e sarebbe anche moralmente e politicamente condivisibile: l’uso di armi chimiche è un crimine e non può e non deve essere tollerato. Tuttavia, queste azioni dovrebbero essere ricondotte nell’alveo delle previsioni della Carta delle Nazioni Unite e non affidate a iniziative unilaterali.

L’Onu e l’Unione Europea sono lasciate ai margini, fuori del campo. Gli Stati più importanti e potenti si riprendono quella sovranità che, in un dopoguerra pieno di speranze, avevano accettato di limitare, affidandone una parte a organizzazioni internazionali volte a promuovere pace, sicurezza, cooperazione multilaterale e rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Trump, nella National Security Strategy, dichiara che «la competizione tra grandi potenze è tornata» e che occorrono «nazioni sovrane forti» più che architetture istituzionali. Putin riprende una politica tradizionale, westfaliana e «ottocentesca», marcatamente incentrata sulla sovranità e sul territorio. Messo in difficoltà dalle sanzioni per l’illegale annessione della Crimea e per l’aggressiva politica e militare in Ucraina, il vecchio colonnello del Kgb con l’intervento in Siria dal 2015 è diventato protagonista nel Medio Oriente, offuscando il ruolo delle potenze occidentali, Usa in primo luogo.

Nell’impossibilità di una riforma del Consiglio di Sicurezza (per via dei veti incrociati dei membri permanenti), l’Onu vive una triste stagione di irrilevanza.

Il diplomatico inglese Lord Jebb, che fu Segretario Generale ad interim subito dopo la costituzione delle Nazioni Unite, disse nel 1953, in piena guerra fredda: «l’Onu è uno specchio del mondo attorno; se l’immagine riflessa è brutta, l’organizzazione internazionale non dovrebbe essere biasimata». In altre parole, l’Onu è solo quello che gli Stati vogliono che sia, e la sua debolezza è responsabilità loro.

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