Sarà beato domenica 26 settembre 2021 l’emiliano don Giovanni Fornasini, prete partigiano martire di Marzabotto nella Seconda guerra mondiale, ucciso in odio alla fede nel 1944. La storia di un prete, simile a quella di tanti altri generosi sacerdoti.
Giovanni Fornasini nasce il 23 febbraio 1915 a Pianaccio di Lizzano in Belvedere, in provincia di Bologna. Sacerdote dal 28 giugno 1942, è parroco di Sperticano. Il 25 luglio 1943 fa suonare le campane a festa quando Benito Mussolini è destituito dal Gran Consiglio del fascismo; si impegna attivamente nella resistenza ed è vicino alla brigata partigiana «Stella rossa»; difende la sua gente dalle angherie dei nazifascisti e riesce a salvare diversi parrocchiani; apre la canonica a molti sfollati; si spende per i prigionieri; è vicino ai condannati a morte. Il 13 ottobre 1944, dopo aver appreso dell’eccidio nel cimitero di San Martino di Caprara, vi si dirige per seppellire i morti e dare i Sacramenti ai feriti. Si perdono le tracce finché il suo corpo, orrendamente martoriato, viene ritrovato il 24 aprile 1945. È ucciso a bruciapelo da un ufficiale tedesco che accusa apertamente di essere tra gli esecutori della strage di Marzabotto.
«Un fratello di tutti, che non lasciava indietro nessuno» dice Matteo Zuppi cardinale arcivescovo di Bologna. Un giovane prete che nei mesi terribili della guerra e della resistenza con la sua bici macina chilometri e salite nel Bolognese per portare pane a chi ne aveva bisogno, per seppellire i morti, per liberare quanta più gente possibile e per aiutare tutti coloro che lo chiedono: partigiani ma anche fascisti e nazisti che poi lo hanno ucciso. «Se c’è un testamento della sua vita è che non lasciava dietro nessuno» insiste il cardinale Zuppi presentando gli eventi della celebrazione è presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, a nome di Papa Francesco, nella basilica di San Petronio. Un maxi-schermo è allestito anche in piazza Maggiore. Sono visibili in basilica, insieme all’urna coi resti del martire, anche alcuni suoi oggetti: la bicicletta con cui accorreva, gli occhiali e l’aspersorio che aveva quando fu ucciso.
Pestato a sangue, la testa fu trovata staccata dal corpo martoriato – Ricorda la nipote Caterina, classe 1938, ha 6 anni quando lo zio è ucciso: «Era instancabile, aiutava tutti indistintamente. Venivano, chiedevano, lui prendeva la bici e andava, dove poteva, per liberare. Ha liberato tantissima gente. Se il tedesco era un po’titubante diceva “Uccidete me. Questo ha moglie e figli, io lascio la mamma”. Ha salvato tantissima gente. Fu chiamato l’angelo di Marzabotto. Ancora oggi se a Marzabotto si dice Fornasini forse non lo ricordano ma “l’angelo di Marzabotto” dicono: “Ah quel pretino magro, ha salvato anche me”. Ho incontrato tanta gente che diceva di essere stata salvata da mio zio e avevano il santino ancora in tasca, dopo anni e anni». Dà fastidio ai nazisti e con generosità aiuta tutti, nazisti, fascisti, partigiani. Non chiede chi sono. Chiunque arrivi, è disponibile e generoso con tutti. La mattina del 13 ottobre 1944 sale da solo a San Martino di Caprara per cercare l’amico don Ubaldo Marchioni, anche lui ucciso. Alla sera i tedeschi festeggiano in canonica «Pastore kaputt». Ricorda la nipote: «Da quel momento terribile mia nonna, la mamma di don Giovanni, non fu più la stessa. Non l’ho più vista sorridere». Il cadavere di don Fornasini è abbandonato tutto l’inverno dietro al cimitero di Caprara. Il 22 aprile 1945 il fratello Luigi recupera la salma.
Il martirologio con i nomi di 729 preti è pubblicato nel 1963. Mai nella storia della Chiesa italiana sono uccisi così tanti preti come durante la Seconda guerra mondiale sotto i bombardamenti, sui campi di battaglia, fucilati nelle rappresaglie nazifasciste, trucidati dai partigiani, in odio alla fede. Su 729 morti, 148 sono cappellani militari, 49 nei campi di sterminio, 30 dispersi; 279 sotto i bombardamenti più 129 seminaristi e novizi. Durante la Resistenza (settembre 1943-primavera 1945) le fonti forniscono cifre diverse: 350-400 sacerdoti diocesani e religiosi, 191 dai fascisti; 120 dai tedeschi; 33 dai repubblichini di Salò. Soprattutto al Nord scelgono la libertà, la democrazia, la Resistenza. Cercano di proteggere i fedeli, di nascondere e salvare gli ebrei. Don Aldo Mei, parroco di Fiano (Lucca), è fucilato per aver dato rifugio a un giovane ebreo. Don Pietro Pappagallo di Roma è ucciso alle Fosse Ardeatine per aver dato rifugio a ebrei: legato, riesce a benedire i compagni di sventura. A Monte Sole, sull’Appennino emiliano-romagnolo, cadono 5 sacerdoti, tra cui don Ubaldo Marchioni, 25 anni, morto ai piedi dell’altare dopo aver distribuito l’Eucaristia. Don Antonio Musumeci, parroco a Messina, si offre al posto di due anziani coniugi. Don Gino Cruschelli a Napoli prende le difese dei giovani. Don Delfino Angelici difende le donne dalla violenza dei tedeschi. Altri aiutano partigiani e perseguitati politici.
Don Giovanni Minzoni, parroco di Argenta, ucciso dai fascisti dopo la protesta per le violenze contro i socialisti. Giovanni Paolo II sottolinea: «Proprio perché ispirata da motivazioni religiose e pastorali, l’opposizione di tanti sacerdoti al nazifascismo è stata particolarmente efficace anche sul piano politico. L’uccisione di un così gran numero di sacerdoti rivela un’incompatibilità profonda tra questa ideologia e il Cristianesimo». Nella sua sconfinata follia, Hitler vuole distruggere la Chiesa, invadere il Vaticano, deportare Pio XII. Uccide vescovi, pastori, preti e suore, tra cui il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer. Nessun dubbio sul carattere anticristiano del nazismo.
Don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo. A Boves (Cuneo) il parroco don Bernardi e il viceparroco don Ghibaudo restano accanto ai parrocchiani. Don Bernardi benedice dall’autoblindo su cui lo caricano per assistere alla distruzione del paese. Don Ghibaudo muore mentre benedice un uomo al quale un tedesco aveva sparato alla nuca. I patrioti catturano due tedeschi. I nazisti incaricano don Bernandi e l’industriale Antonio Vassallo di trattare per la riconsegna dei due prigionieri. Si palesa la viltà dei nazisti: non rispettano la parola data e rifiutano di mettere per iscritto l’impegno: «La parola d’onore di un ufficiale tedesco vale gli scritti di tutti gli italiani». I partigiani soddisfano le richieste. Ma le SS sparano e uccidono anziani, malati, infermi, e appiccano il fuoco. Il bilancio è tragico: 350 case bruciate, 24 uccisi, tra cui don Bernardi, don Ghibaudo e Vassallo. A loro è riservata la fine più brutale: spinti nell’androne di una casa, sono giustiziati con due colpi di pistola, cosparsi di benzina e bruciati su una catasta di legno.