«La tua parrocchia sarà la strada». In questi cinquant’anni don Luigi Ciotti è stato fedele alla sua parrocchia come gli disse in quell’11 novembre 1972 il cardinale arcivescovo di Torino Michele Pellegrino, ordinandolo prete nella chiesa dedicata all’Immacolata Concezione nel Seminario di Giaveno. Don Ciotti ha mantenuto la promessa di trascorre il 50° di Messa «sulla tomba di padre Pellegrino a Roata Chiusani».
Pellegrino, mezzo secolo fa, avverte all’ordinazione un’altra presenza oltre i seminaristi delle medie: tossicodipendenti (allora si diceva «drogati»), alcolizzati, detenuti al Ferrante Aporti, ragazze del Buon Pastore: se ne occupa il Gruppo Abele, che esiste dal 1965. Gigi divideva la vita tra loro e il Seminario Maggiore di Rivoli. Con questi ragazzi e ragazze l’arcivescovo tenta un dialogo: «So quello che pensate: “Adesso la Chiesa ci porta via il nostro Luigi perché lo devono affidare a una parrocchia”. È così che succede: quando un giovane seminarista diventa prete viene affidato a una comunità parrocchiale perché eserciti il suo essere prete con quella gente, con quella porzione di Chiesa che si chiama parrocchia. Con don Luigi, però, ho deciso diversamente. Lo lascerò a voi e gli affido come parrocchia la strada. Resti questo spazio il luogo in cui don Luigi rende visibile l’amore di Dio per ogni persona; il vostro amico annuncerà il Vangelo a partire dalla strada. I modi di incappare nella figura di Cristo possono essere tanti, e tutti diversi. Il Gruppo Abele ne è una prova».
Nato a Pieve di Cadore (Belluno) sulle Dolomiti venete il 10 settembre 1945, la famiglia immigra a Torino nel 1950 – il papà lavora alla costruzione del nuovo Politecnico – e a 17 anni incontra giovani che si «sballano» di alcol e amfetamine. Nel Natale 1965, insieme ad alcuni amici, fonda il Gruppo Abele impegnato tra «i ragazzi che fanno fatica»: reclusi nelle carceri minorili, drogati, sbandati, prostitute-bambine. Avverte la vocazione e studia in Seminario.
Don Franco Peradotto, direttore de «La Voce del Popolo» rivela: «Quando fu ordinato, qualcuno in redazione scrisse un articolo di tre cartelle. “Ma chi a l’è chiel si?” mi chiesi perché di solito si scrivevano 20-30 righe. Lo cercai. Gli devo molto». E don Luigi: «Ho avuto la fortuna di contare su due grandi vescovi, Pellegrino e Ballestrero, su padre Davide Maria Turoldo, su mons. Tonino Bello “il vescovo con il grembiule” e su don Franco Peradotto. Me lo sono trovato accanto nei momenti difficili. Quando tanti preferivano andarsene, don Franco c’era. Di fronte a un ragazzo sconosciuto, morto di overdose, nella camera mortuaria io e lui e nessun altro. Non aveva paura di combattere per gli ultimi. C’era sempre, con la sua franchezza, intelligenza e capacità di aprire le porte. Con la Parola non ha mai fatto sconti. Uomo diretto, franco, ottimo giornalista, che scriveva con delicatezza e onestà. Saldava il cielo con la terra, il Vangelo e la giustizia sociale. Ha condiviso il cammino dei più piccoli».
Pellegrino gli regala croci pettorali e anelli episcopali; lo sostiene, come faranno i successori, contro le critiche dei benpensanti, il chiacchiericcio dei pusillanimi, gli attacchi dei conservatori, le minacce dei malviventi.
Il 6 ottobre 1973 Pellegrino va alla tenda del Gruppo in piazza Carlo Felice: «L’impegno verso i ragazzi disadattati è un atto di riparazione perché la società ha un debito con loro». La prima legge sulla droga (la 1041 del 22 ottobre 1954) prevede il carcere o il manicomio per il «tossico» ed equipara spacciatore e consumatore. Nel luglio 1975 il Gruppo attua lo sciopero della fame per una nuova legge. In piazza Solferino grandi cartelli «Amici morti per droga». I giornali scrivono: «Di droga si muore: basta!», «Il cardinale dà una mano al radicale». La destra non lo ama. «Gruppo Abele o Gruppo Caino?» titola «il Borghese»: «Non ci sembra che il Gruppo sia al di sopra di ogni sospetto: nel suo sfrenato attivismo in favore degli “emarginati”, pare abbia in passato varcato il confine del lecito. La collaborazione con l’autorità carceraria pare sia stata interrotta essendo emersi sospetti su possibili complicità del Gruppo in evasione di detenuti». Tutte fandonie.
Nell’omelia del Natale 1972 Pellegrino invita a colpire la prostituzione all’origine richiamando una sua lettera del 1968 a «La Stampa» nella quale chiedeva di «tutelare il rispetto di tutti i cittadini» e richiamava «l’attenzione sulle responsabilità a monte di questo tristissimo fenomeno, quelle dei clienti». «La Voce» pubblica un’intervista all’arcivescovo: «La prostituzione è un fenomeno tristissimo che si corregge eliminandone le cause. Se è vero che le radici della prostituzione affondano nella coscienza morale, in una visione della vita che prescinde da irrinunciabili valori umani e cristiani, non penso che gli interventi dei poteri pubblici avranno una grande efficacia. Tanto più se vengono sollecitati con motivi del tutto insufficienti, quali il decoro della città e la quiete del cittadino».