Don Ciotti, Mimmo Càndito e il bisogno di verità

Circolo della Stampa – Domenica 3 marzo, ad un anno esatto dalla morte, è stato ricordato Mimmo Càndito, inviato de «La Stampa», da tra i migliori reporter di guerra italiani. L’intervento di don Luigi Ciotti sulla necessità di informazione libera e al servizio dei cittadini

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Mimmo Càndito: alla sua memoria è stato istituito un premio per formare giovani giornalisti

«In un tempo in cui la democrazia è attaccata nei suoi fondamenti abbiamo ancora bisogno di informazione corretta, coraggiosa veritiera, informazione a servizio del bene comune. L’informazione di qualità è sorgente di democrazia, i cittadini informati sono coscienza critica di un Paese. Per questo non dobbiamo abbassare la guardia su chi propugna un’informazione menzognera, le fake news, o di regime, o su chi omette le notizie». Sono parole di don Luigi Ciotti, intervenuto domenica 3 marzo al Circolo della Stampa a Torino per ricordare, ad un anno esatto dalla morte, Mimmo Càndito, inviato di guerra de «La Stampa», un giornalista «coraggioso e umile» che ha speso la sua vita «al servizio della verità, incarnando un modello di giornalismo da insegnare alle nuove generazioni che si accostano a questo mestiere». Per questo Càndito, anche se «diceva di non essere credente ma era certamente ‘credibile’» – ha proseguito Ciotti – da uomo del Sud (nato a Reggio Calabria nel 1941) e tra i migliori reporter di guerra del giornalismo internazionale – condivideva le battaglie di «Libera» contro le mafie e il traffico di droga, armi, esseri umani. E frequentava la «Fabbrica delle E» del Gruppo Abele per presentare i suoi libri o come relatore sulla drammaticità delle guerre, lui che, tra l’altro, era presidente italiano di Reporters senza Frontières.

Con don Ciotti, applaudito a lungo, lo hanno ricordato la moglie Marinella Venegoni, giornalista, nota firma de «La Stampa» con cui era sposato da 44 anni, il senatore Gian Giacomo Migone, Stefano Tallia, segretario del sindacato dei giornalisti e Alberto Sinigaglia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Il salone era gremito di amici, parenti, colleghi e studenti: Càndito infatti era docente di «Teorie e Tecniche del giornalismo all’Università di Torino», impegno che fino all’ultimo ha onorato correggendo tesi, ricevendo studenti riservando loro attenzioni e lezioni individuali.

Migone, tra i fondatori e primo direttore de «L’Indice dei Libri» che Càndito ha diretto dal 2001 al 2008, è tra i promotori di un premio giornalistico alla memoria di Mimmo Càndito, istituito proprio per sostenere i giovani che si affacciano ad una professione, quella del giornalista, oggi in cerca di una bussola, stritolata dal precariato causa-effetto dell’avvento del web e a cascata della crisi dell’editoria e dei media tradizionali.

Càndito dal 1970 lavorava alla Stampa di Torino a cui ha inviato corrispondenze da ogni luogo nel mondo dove ci fosse un conflitto armato. E proprio a causa del suo stile di «coprire» i fatti in prima linea, «andando alla pancia dei problemi», come ha ricordato don Ciotti, e non scrivendo dalla poltrona comoda degli alberghi per stranieri, Càndito ha contratto il cancro al polmone (probabilmente a causa dell’uranio impoverito in Iraq e del petrolio bruciato in Kuwait) contro cui ha combattuto fino alla fine, scrivendo pezzi su un’altra guerra, la sua contro la malattia del secolo e un libro, l’ultimo «55 vasche. Le guerre, il cancro e quella forza dentro» (Rizzoli).

«Mimmo Càndito era un sognatore e come tutti i sognatori era molto realista: a 17 anni sognava di diventare giornalista per aiutare la gente a capire la realtà: e così è stato, pagando anche di persona quando le sue verità scomode non erano in linea con la proprietà del giornale» è stato ricordato dai colleghi intervenuti. E ha aggiunto don Ciotti: «la sua lezione è che per raccontare la guerra, ma anche tutti i problemi delle persone, bisogna soffrire con loro, mettersi nella loro pelle. Per lui non c’era un’etica nella professione, ma c’era l’etica ‘come’ professione: le parole sono sempre azioni, e dunque sono responsabilità».

Un giornalismo apparentemente impossibile oggi, dove qualcuno teorizza che gli algoritmi si sostituiranno ai giornalisti? «L’informazione come servizio » ancora don Ciotti «non condizionata da interessi di parte e non la notizia usa e getta, schiava dei like e del gradimento, non è nostalgia del passato. Il mondo ha bisogno di giornalisti che, come Càndito, aiutino la gente a capire la realtà: per questo occorre investire sui giovani e su un mestiere che non può scomparire. Ne va della sopravvivenza stessa della democrazia».

 

 

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