Tra poco più di un mese, l’8 marzo, in occasione della Festa della donna saremo «bombardati» da decine di iniziative – tutte certamente meritevoli – a favore dell’eliminazione della violenza contro le donne. Una giornata per riflettere su una piaga così profonda – lo ripetiamo ogni anno – non basta, finché ci sarà bisogno dell’8 marzo per reclamare i diritti ancora negati alle donne in un Paese che, come il nostro, si definisce democratico. Un tema a cui è stato dedicato un convegno promosso dalle Acli Torinesi dove è stato presentato il Rapporto 2022 «Donne gravemente sfruttate. Il diritto di essere protagoniste» curato dalla Associazione «Slaves No More» (Mai più schiave) che per la prima volta affronta una dettagliata ricerca «sullo sfruttamento delle donne, nel lavoro domestico e di cura, nell’agricoltura e nell’ambito del fenomeno migratorio».
Ai lavori – molti i convenuti il 9 febbraio presso la sede della Regione Piemonte in piazza Castello 165 – sono intervenuti, dopo il saluto video del presidente della Regione Alberto Cirio, Valentina Cera, consigliera Città Metropolitana con delega politiche sociali e di parità e Jacopo Rosatelli, assessore Politiche sociali Città di Torino. Obbiettivo del convegno come ha introdotto Raffaella Dispenza, presidente Acli Città Metropolitana di Torino «a partire dal Rapporto sulla situazione nazionale affrontare temi e problematiche attuali mettendo in dialogo i diversi attori istituzionali che operano nel territorio torinese».
Del resto l’intuizione dell’Associazione è nata a Torino, città di santi sociali sulle orme dei quali suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, a partire dall’incontro con le donne vittime della tratta sulle nostre strade, ha avuto l’intuizione di fondare «Slaves no more». Sua è l’introduzione del Rapporto, come ha evidenziato nella presentazione Francesco Carchedi, sociologo dell’Università La Sapienza di Roma, del Direttivo di «Slaves No more». Nella seconda parte della mattinata un focus sulle azioni messe in campo nel territorio torinese ha messo in luce come sia sempre più necessario «fare rete» fra istituzioni e volontariato: sono intervenuti Osvaldo Milanesio, dirigente regionale Settore politiche per le pari opportunità, diritti ed inclusione, Donatella Demo, responsabile del Coordinamento madre-bambino del Gruppo Volontariato Vincenziano di Torino, Michela Quagliano, consigliere di parità della Città Metropolitana di Torino, Cristina Maccari, segretaria Cisl Torino-Canavese e Roberto Santoro, presidente dell’Enaip Piemonte, l’ente di formazione professionale della Acli.
«Il convegno» spiega Raffaella Dispenza «si inserisce nell’ambito di un filone di lavoro che le Acli portano avanti sul tema delle disuguaglianze e delle fragilità, per rilanciare l’azione quotidiana di tutela, di accompagnamento e di contrasto alle discriminazioni che svolgiamo sul territorio sia attraverso i servizi sia attraverso le progettualità dell’associazione e della sua rete di circoli. È importante continuare a tenere alta l’attenzione su questi temi e, nel contempo, fare quel lavoro quotidiano di tessitura e ricomposizione delle conflittualità spesso correlate a situazioni di sfruttamento, emarginazione e illegalità».
I dati sull’economia informale nel nostro Paese, come si evince dal Rapporto, sono insufficienti e non consentono neanche di produrre stime metodologicamente significative. Ma il numero delle donne gravemente sfruttate è alto: solo in agricoltura si stima siano circa 50 mila. Nell’ambito del lavoro domestico e di cura, il 70% sono migranti e, secondo l’Istat, il tasso di irregolarità è «del 57%, a fronte di una media nazionale del 12,6%». A causa delle difficoltà di essere in regola con il permesso di soggiorno, secondo l’Osservatorio Domina, a fronte di un numero di colf e badanti registrate all’Inps di 920 mila si stima che il totale di chi lavora nel settore (dove si celano le forme più gravi di sfruttamento anche sessuale) si aggiri sui 2,1 milioni.
E i vari interventi – in particolare quello del Volontariato vincenziano – un servizio di accoglienza e di reinserimento oltre che un osservatorio sulla strada perché il volontariato, come è stato sottolineato, è una preziosa «antenna sul territorio» che segnala alle istituzioni le emergenze – hanno ricordato che la violenza sulle donne è come un iceberg: in cima c’è la violenza delle parole con cui i media trattano ad esempio i temi della prostituzione. Poi c’è il fondo dell’iceberg quello sommerso, della tratta che riguarda donne e bambine in tutto il pianeta, ma anche in Italia e a Torino. Si calcola siano 40 milioni le donne e gli di uomini nel mondo vittime della tratta dai bambini soldato al traffico di organi e alle minori schiave del sesso.
Tra la punta dell’icerberg e il fondo sommerso (prostituzione minorile, femminicidi) c’è la violenza domestica, psicologica, il bullismo, lo sfruttamento lavorativo, l’immagine della donna anoressica che tormenta migliaia di adolescenti, una forma di violenza imposta dal mercato… Non bastano le quote rosa e le declinazioni al femminile delle cariche istituzionali per pulirci la coscienza è stato sottolineato: il problema della violenza sulle donne ha migliaia di sfaccettature e livelli di gravità che coinvolgono tutti, come ha concluso Pino Gulia, presidente di Slaves No More (informazioni su: www.slavesnomore.it).