Dove finiscono le armi prodotte in Italia

Report – Il nostro Paese è al nono posto tra i maggiori esportatori mondiali del settore, al quindo tra gli Stati europei: vende in Qatar, Pakistan e Turchia. Nel triennio 2015-17 accumulati ordini esteri per oltre 32 miliardi di euro concentrati in sistemi militari complessi, come aerei, elicotteri e navi

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Cannone navale

Se qualcuno ci chiedesse di elencare le principali eccellenze del made in Italy, quelle per cui il nostro Paese è famoso nel mondo e grazie alle quali ogni anno accumula un cospicuo attivo commerciale, non avremmo che l’imbarazzo della scelta: l’arte, la moda, la gastronomia, il design. A queste voci occorrerebbe però aggiungere un altro comparto, certamente sorprendente e ignoto alla maggior parte degli italiani: gli armamenti.

Nel 2018 (ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi) l’Italia si è infatti collocata al nono posto tra i maggiori esportatori mondiali del settore, ma solo un paio di anni prima era balzata in sesta posizione. Nel triennio 2015-2017 erano stati accumulati ordini esteri per oltre 32 miliardi di euro, concentrati soprattutto nei sistemi militari complessi (e quindi costosi) come aerei, elicotteri e navi maggiori, la cui produzione impegnerà le aziende italiane del settore per vari anni a venire.

Questo successo è legato sia alla qualità di tali armamenti, che in molti campi costituiscono delle vere eccellenze a livello mondiale, sia alla particolare disponibilità a vendere a chicchessia, senza badare troppo ai requisiti dell’acquirente – come la nostra normativa invece imporrebbe, poiché ogni esportazione richiede una precisa licenza governativa. Infatti le armi italiane, in base alla norma vigente (legge 185 del 1990, integrata nel 2012 da un decreto legislativo che mira a semplificare i trasferimenti di materiale bellico nell’ambito dell’Unione europea per creare un mercato unico continentale e a rafforzare i controlli sulle imprese produttrici), non dovrebbero finire nella disponibilità di Paesi in stato di guerra o che non rispettino le convenzioni internazionali in materia di diritti umani, che reprimano in modo violento il dissenso politico interno o, ancora, che siano sottoposti a un embargo votato dalle Nazioni Unite.

Occorre inoltre precisare che la condiscendenza è largamente favorita dal fatto che la licenza per un’esportazione bellica è aggirabile dichiarando in origine la vendita di un mezzo civile, in seguito facilmente convertibile per uso militare a richiesta del Paese acquirente, a volte con l’assistenza della stessa azienda fornitrice. Ciò accade in  particolare con gli elicotteri e le unità navali più piccole e veloci, presentate come yacht o mezzi di soccorso.

L’articolo integrale di Paolo Migliavacca è pubblicato su La Voce e il Tempo in edicola

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