È beata la fondatrice dell’Opera della Propagazione della fede

Beatificazione a Lione – L’elogio di Papa Francesco al «Regina Coeli» di domenica 22 maggio 2022 è per Marie-Pouline Jaricot, benefattrice delle missioni e fondatrice dell’Opera della Propagazione della fede, beatificata a Lione nel bicentenario di istituzione dell’Opera, dal cardinale filippino Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli

191
Beata Marie-Pouline Jaricot

«Fedele laica, nella prima metà dell’Ottocento, donna coraggiosa, attenta ai cambiamenti dei tempi con una visione universale della missione della Chiesa. Il suo esempio susciti in tutti il desiderio di partecipare, con la preghiera e la carità, alla diffusione del Vangelo nel mondo». L’elogio di Papa Francesco al «Regina coeli» di domenica 22 maggio 2022 è per Marie-Pouline Jaricot, benefattrice delle missioni e fondatrice dell’Opera della Propagazione della fede beatificata a Lione nel bicentenario di istituzione dell’Opera dal cardinale filippino Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.

Marie-Pouline Jaricot (1799-1862) viene da una famiglia ricca di Lione e per 15 anni conduce una vita agiata: nella sofferenza fisica e spirituale fa una profonda esperienza di Dio e di preghiera e decide di consacrare la vita a Dio da servire nei poveri, nei malati, negli incurabili. Avendo compreso le difficoltà economiche delle missioni, promuove iniziative per raccogliere fondi, dando vita il 3 maggio 1822 alla Propagazione della fede: chiede ai cattolici francesi di offrire un soldo a settimana per le missioni. Oltre a questa, c’è l’Opera di San Pietro apostolo, istituita anch’essa in Francia nel 1889 dalle signore Jeanne e Stéphanie Bigard-Cottin, su ispirazione di mons. Jules-Alphonse Cousin, vicario apostolico del Giappone meridionale, con sede a Nagasaki, che racconta delle difficoltà di accettare i ragazzi in Seminario per la mancanza di risorse. Sempre in Francia nel 1843 Charles Joseph de Forbin Janson, vescovo di Nancy, fonda l’Opera dell’Infanzia missionaria per propagare la devozione al Bambin Gesù procurando il battesimo, il riscatto e l’educazione dei bambini infedeli.

Re Carlo Alberto nel 1838 autorizza la Propagazione della fede nel Regno e l’arcivescovo di Torino mons. Luigi Fransoni la raccomanda con una lettera pastorale (5 agosto 1838) e nomina direttore il can. Pietro Riberi. Nel 1839 il Piemonte raccoglie 69.438 lire mentre tutti gli altri Stati italiani insieme ne raccolgono 129.000. Il Regno fornisce 600 missionari piemontesi, liguri, savoiardi. Il direttore can. Giuseppe Ortalda nel 1852 organizza una lotteria per le missioni, sotto il patrocinio della regina Maria Adelaide: le diecimila lire raccolte sono distribuite ai missionari  sabaudi, specie in Cina. Ortalda progetta una lotteria ancora più grande nel 1858 invita i missionari a inviare oggetti caratteristici; prega i vescovi di sostenere la lotteria e di nominare una «collettrice». Sbarca a Torino anche l’Opera della Santa Infanzia, come raccontano gli «Annali»: nel 1853 «cominciò a propagarsi mercé l’impegno di alcuni zelanti sacerdoti. La città ha cominciato a portare il suo obolo alla santa Infanzia»: 269 franchi rispetto agli 85 di Chambéry. Primo direttore è il can. Stanislao Gazzelli di Rossana. Il decreto di erezione (6 giugno 1855) elogia «l’alto fine del riscatto dei bambini della Cina e delle altre contrade idolatre, vittime della superstizione e della barbarie, per acquistare il lume della fede».

La Chiesa non è straniera in nessun popolo: è l’idea portante della lettera apostolica «Maximum illud» (30 novembre 1919), «magna charta» del nuovo corso delle missioni. All’indomani della Grande Guerra Benedetto XV dimostra lungimiranza sulle missioni; supera i condizionamenti della Chiesa nell’era coloniale: il Cristianesimo non deve più essere percepito come religione straniera; imprime nuovo vigore alle missioni. La storia lo conosce soprattutto come il Papa dell’«inutile strage», ma è giusto ricordarlo anche come «Papa delle missioni». Spinge le Chiese delle nazioni – che si erano combattute in un asperrimo conflitto – a recuperare una visione universale e ad attuare il comando di Gesù: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura» (Matteo 16,15). La Congregazione Concistoriale (oggi dei vescovi) autorizza in Italia la «Giornata sulle migrazioni» (1914) e Benedetto XV istituisce la «Giornata mondiale del migrante e del rifugiato» (1915); costituisce la Congregazione dei Seminari e delle Università (1915); considera la stampa cattolica molto importante per formare l’opinione pubblica ai valori cristiani e scalzare la propaganda massonica e socialista; dedica particolare attenzione a «L’Osservatore Romano»; crea la Congregazione per le Chiese orientali (1917). In seguito alla guerra, i missionari rischiano di essere espulsi per il dilagante nazionalismo dilagante; le pulsioni anticolonialistiche, specie in Oriente, vedono le missioni asservite agli interessi delle potenze occidentali. Il Papa dice ai missionari: «Ricordatevi che voi non dovete propagare il regno degli uomini ma quello di Cristo; e non aggiungere cittadini alla patria terrena, ma a quella celeste».

«La Chiesa di Dio è universale, e quindi per nulla straniera presso nessun popolo»,  dice nella «Maximum illud». Esorta vescovi, vicari apostolici, superiori religiosi «a uno zelo esemplare» perché tutti percepiscano una vicinanza «piena di premura e carità»; stigmatizza il comportamento di chi considera la missione come una proprietà privata, «geloso che altre mani gliela tocchino»; ricorda che il missionario deve avere a cuore principalmente «il bene spirituale» delle persone. Esorta i missionari a perseguire il benessere dei popoli e non gli interessi dei Paesi d’origine. La necessità di avere cappellani militari e la morte di numerosi sacerdoti assottiglia i ranghi dei missionari. I governi belga, britannico e francese, mettendo le mani sulle ex colonie tedesche, cacciano i missionari per allontanare l’influenza germanica. Il colonialismo europeo aveva sostenuto le missioni non perché gli interessasse la diffusione del Vangelo, ma perché era affamato di nuove terre da depredare. Per questo la laicissima Francia non persegue oltremare la politica anticlericale che furoreggia nella madrepatria e frappone tanti ostacoli alle relazioni tra Cina e Santa Sede perché teme che il Vaticano riduca l’influenza di Parigi che ha il «protettorato» sulle missioni.

Chiama gli istituti missionari a cooperare nella formazione di sacerdoti e vescovi in modo che un giorno assumano il governo delle diocesi: «La Chiesa potrà dirsi ben fondata e l’opera del missionario compiuta dove esisterà una quantità sufficiente di clero indigeno, ben istruito e degno della sua eccelsa vocazione». Benedetto XV e il cardinale olandese Willem Marinus Van Rossum, vigoroso prefetto di Propaganda Fide, inviano in Cina l’ex cappellano militare friulano Celso Costantini come delegato apostolico con il compito di porre le fondamenta dell’episcopato locale. La resistenza dei missionari bianchi è forte: nel 1924 Pio XI, non tollerando ulteriori ritardi, consacra in San Pietro sei vescovi cinesi. Benedetto XV riorganizza gli studi per fornire una migliore formazione ai missionari, soprattutto nelle lingue. Dal 18 gennaio 1921 un altro ex cappellano militare, il bergamasco Angelo Giuseppe Roncalli – futuro Giovanni XXIII – è presidente delle Pontificie Opere in Italia.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome