Economia italiana, la censura delle brutte notizie

Export – L’economista Carlo Maria Ferro, designato dal Governo ai vertici dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese (Ice), ha rifiutato di pubblicare la Sintesi del tradizionale Rapporto Ice-Istat sul Commercio con l’Estero, giudicato pessimista. È una censura grave e senza precedenti

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L’economista Carlo Maria Ferro, recentemente designato dal Governo ai vertici dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese (Ice), ha rifiutato di pubblicare la Sintesi del tradizionale Rapporto Ice-Istat sul Commercio con l’Estero, giudicato pessimista e inquinato da «apologia della Commissione Europea». È una censura grave e senza precedenti. Al posto del Rapporto oscurato, l’Agenzia di Stato diffonderà un «booklet» con finalità di comunicazione mediatica.

L’economista Carlo Maria Ferro

Il 23 luglio il Rapporto (33° edizione) è stato illustrato a Napoli dagli autori nell’ambito del convegno «L’Italia nell’economia internazionale». Come ogni anno il documento offre una diagnosi sulla situazione e sull’andamento dei flussi commerciali che collegano il nostro paese con il resto del mondo, documentando sui paesi verso i quali sono dirette la merci italiane, sui volumi complessivi delle esportazioni, sulla tipologia merceologica delle stesse e sulle caratteristiche delle imprese nazionali che le producono. Si tratta di un documento assai utile e apprezzato, sul quale lavora d’ordinario un’équipe di studiosi di primo livello in collaborazione con operatori, in grado di integrare le ottime conoscenze nascenti dalla ricerca con l’interpretazione suggerita dalla realtà concreta. Nel caso in oggetto esso è stato realizzato da un gruppo di autori interni ed esterni all’Agenzia ICE, con il coordinamento scientifico di Lelio Iapadre (Università dell’Aquila) e sotto la supervisione di un Comitato editoriale, presieduto da Fabrizio Onida (Università Bocconi) e composto da docenti universitari ed esperti, alcuni dei quali in rappresentanza di altre istituzioni che collaborano in vario modo alla realizzazione dell’opera.

Con riferimento all’anno 2018, dallo studio emerge un’immagine dell’Italia quale Paese nel quale l’export continua a giocare un ruolo fondamentale per la crescita economica nazionale, sebbene in un quadro disomogeneo nel quale le distanze tra nord e sud appaiono ancora troppo marcate. Si ha conferma che, grazie all’export, s’è avuta una sia pur modesta crescita e soprattutto la tenuta economica del nostro Paese. È pur vero che, a fine 2018, i livelli dell’economia italiana non sono ancora tornati a quelli pre-crisi, ma nello stesso arco di tempo la crescita dell’export nazionale, in costante aumento dal 2010, ha fatto registrare un incremento del 16,3%. La situazione è tale da garantire un saldo della bilancia commerciale fortemente positivo, attestato sui 44 miliardi di euro pari al 2,2% del Pil.

Nell’insieme è dunque documentato un quadro complessivamente positivo: a livello internazionale, le esportazioni italiane rappresentano il 2,85% della quota mondiale del commercio, tanto da collocare l’Italia al 9° posto tra i paesi esportatori.

A questa positività, il rapporto non manca tuttavia di segnalare qualche caveat sul quale è importante riflettere, anche nell’intento di individuare le linee lungo le quali si deve esprimere una strategia indirizzata a confermare e a migliorare i buoni risultati conseguiti. Lo studio infatti, nel mettere in evidenza il notevole grado di concentrazione delle esportazioni italiane: tra i primi 10 paesi che ne sono destinatari e rappresentano il 60% del totale dell’export italiano, i primi tre mercati continuano a rimanere quelli di  Germania, Francia e Stati Uniti. L’approfondimento di questa osservazione pone in evidenza che, mentre le esportazioni italiane continuano a puntare su mercati maturi come quelli europei o quello americano, il mondo sta cambiando e stanno decisamente mutando le aree che intercettano i flussi di merci. Tra queste, i paesi asiatici con in primis la Cina, paese sul quale, secondo l’Ice occorrerebbe focalizzare sempre più l’attenzione.

Il rapporto è redatto con carattere di studio scientifico-operativo arricchito da una serie di riquadri e contributi esterni, atti ad approfondire i temi specifici mano a mano cemergenti. Nell’edizione di quest’anno ha assunto particolare attenzione la considerazione delle catene globali del valore, ovvero l’intersezione dell’offerta dei beni italiani con le produzioni tecnologicamente avanzate in tutto il mondo in modo da generare, nei prodotti finali immessi sul mercato, una creazione di un valore differenziale nel quale rendere concreto l’aumento di produttività, condizione essenziale per generare una crescita effettiva della ricchezza e del benessere. Al tempo stesso s’è posta attenzione al tema dell’attrazione di investimenti esteri, dedicando inoltre una particolare attenzione alle sfide poste alle imprese italiane dalla digitalizzazione dell’economia e dalla sostenibilità ambientale e sociale delle attività produttive.

Un punto contrassegnato da luci ed ombre ha riguardato l’analisi delle imprese protagoniste dell’export italiano. Le oltre 125.000 aziende, stabilmente presenti sui mercati internazionali, rappresentano un numero ancora sottodimensionato rispetto alle potenzialità del nostro sistema produttivo, sebbene siano caratterizzate dalla crescita del valore medio del loro export grazie a un riposizionamento su prodotti a più elevato valore aggiunto o su fasce prezzo più elevate, come nel caso dell’agroalimentare. Elemento di debolezza rimane tuttavia, come più volte sottolineato, il loro nanismo dimensionale: oltre  il 50% dell’export italiano, infatti, è realizzato da imprese con meno 200 dipendenti.

Rimane inoltre persistente il gap geo-economico tra un nord che da solo copre il 73% delle esportazioni italiane, e un sud collocato all’11%.

Di norma il rapporto Ice è accompagnato da un fascicolo di sintesi, inteso a riassumerne le principali analisi e conclusioni, allo scopo di assicurarne una  divulgazione più ampia, anche in lingua inglese.

Forse proprio per l’oggettività del Rapporto che segnala le positività degli andamenti ma non tace le criticità da superare con una valida politica economico-industriale, quest’anno per la prima volta – come abbiamo scritto in apertura – il testo della sintesi (redatto da Giorgia Giovannetti  dell’Università di Firenze e da Lelio Iapadre con il concorso di tutti gli autori e i membri del Comitato editoriale), è stato bocciato dal Presidente Ice Carlo Maria Ferro, per essere sostituito da un booklet con finalità di comunicazione mediatica. Decisione questa assunta già il 10 luglio e comunicata con una mail agli autori del Rapporto sostenendo, tra l’altro, che il testo preparato per la sintesi avrebbe elementi di pessimismo e di critica e sarebbe inficiato da una «apologia della Commissione Europea».

Ne sono seguite le dimissioni del coordinatore del gruppo Fabrizio Onida, da anni riconosciuto di grande e oggettiva competenza sul tema dei rapporti commerciali internazionali e di tutto il gruppo che al rapporto ha lavorato con elevata professionalità per tutto l’anno trascorso. Nell’assumere la decisione essi non hanno mancato di rilevare che «il Rapporto annuale e la sua Sintesi sono documenti di analisi economica e non strumenti di promozione del sistema produttivo italiano e  che l’Agenzia Ice ne utilizza i contenuti nelle sue attività di comunicazione e di servizio alle imprese, ma queste funzioni devono restare distinte dall’analisi economica». Hanno ribadito inoltre la convinzione secondo la quale un’Agenzia pubblica come l’Ice ha l’obbligo di offrire alle imprese, ai  policy-makers e, più in generale, ai contribuenti che pagano il costo delle sue attività, una rappresentazione corretta delle tendenze e dei processi di internazionalizzazione dell’economia italiana e non un’immagine deformata da malintese finalità di comunicazione esterna, o, peggio ancora, piegata alle logiche di una parte politica.

Davvero una penosa conclusione di un ottimo lavoro, presentato oltretutto davanti al Ministro dello Sviluppo economico e del lavoro.

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