Il Piemonte non si discosta dal quadro nazionale e anche per la nostra regione i dati sugli stranieri presenti sul territorio rilevano un calo di presenze, effetti della pandemia non irrilevanti, ma anche una vitalità positiva da valorizzare. Questo è quanto emerso mercoledì 24 novembre alla presentazione, al Museo del Risorgimento di Torino, del XXX Rapporto Immigrazione curato da Caritas Migrantes «Verso un noi sempre più grande».
Ad aprire i lavori Sergio Durando, direttore della Pastorale Migranti torinese, che ha avviato il suo intervento proponendo alcune riflessioni sulla realtà fotografata dai dati nazionali e locali. «Anzitutto», ha sottolineato, «il primo dato che emerge è che per il primo anno assistiamo ad una forte contrazione della popolazione straniera nel nostro Paese e questo deve suggerirci che dovremmo smetterla di spaventarci parlando di invasione dei migranti, ma che piuttosto dovremmo preoccuparci delle condizioni per le l’Italia è divenuta paese per lo più di transito, dove gli stranieri arrivano ma non si fermano, non solo preferendo altre mete, ma tornando anche nei Paesi di origine dopo esperienze negative».
Secondo il rapporto ad oggi in Italia ci sono 300 mila presenze straniere in meno e in Piemonte, dove oggi risiedono 406.809 stranieri (la metà a Torino e provincia, mentre la seconda provincia per presenza straniere è Cuneo, seguita da Alessandria e Novara), il calo è stato dell’1,3%. «Ultimamente si stava assistendo ad una stagnazione del flusso migratorio diretto verso il nostro Paese, o si parlava di lieve flessione, per la prima volta», ha evidenziato Durando, «il dato è impressionante: dei 300 mila 130 mila sono diventati italiani, ma ben 170 mila sono ripartiti per altre destinazioni».
Migranti che lasciano il nostro Paese che non ha più capacità di attrazione ma che «subisce un forte calo demografico – del 6,4% – ed è sempre più anziano, dove manca manodopera e anche i giovani italiani emigrano: dati che ci devono dunque interpellare su come guardiamo al futuro…». Ma quali effetti ha avuto al pandemia sugli stranieri nel nostro Paese? Ecco che il dossier evidenzia diversi aspetti sui quali sia Durando che Simone Varisco, curatore del rapporto intervenuto alla presentazione, si sono soffermati.
«La condizione occupazionale dei lavoratori stranieri già presenti in Italia», ha sottolineato Varisco, ha subìto un forte contraccolpo a causa della pandemia, sia per la chiusura di molte attività lavorative in settori con un’importante incidenza di cittadini stranieri sia per la prosecuzione di altre, essenziali per il soddisfacimento di necessità primarie, e da svolgere necessariamente in presenza, che hanno comunque esposto i cittadini stranieri o al rischio di sfruttamento lavorativo o a quello di infezione da Covid-19. A questo si aggiunge la più alta probabilità dei cittadini stranieri di detenere tipologie contrattuali più precarie e dunque più legate al rischio del mancato rinnovo contrattuale. Ciò ha incentivato le disuguaglianze preesistenti, riducendo, come l’efficacia degli interventi operati dal Governo». Così dal dossier emerge come il tasso di disoccupazione dei cittadini stranieri (13,1%) sia superiore a quello dei cittadini italiani (8,7%), mentre il tasso di occupazione degli stranieri (60,6%) si sia ridotto più intensamente, tanto da risultare inferiore a quello degli autoctoni (62,8%). Le donne immigrate hanno sofferto la crisi molto di più dei loro omologhi di sesso maschile, con una riduzione del tasso di occupazione due volte maggiore. Più colpiti gli occupati in alberghi e ristoranti.
«La crisi occupazionale», ha aggiunto Durando, «ha determinato l’aumento della povertà assoluta: dai centri di ascolto Caritas è risultato che più di una famiglia straniera su quattro, il 26,7% contro il 6% delle famiglie italiane si trova in condizioni di povertà assoluta. Complice anche il fatto che gli stranieri hanno avuto più difficoltà ad accedere agli ammortizzatori garantiti dal Governo: solo il 9% degli stranieri ha usufruito dei bonus Inps».
Sul fronte sanitario una contraddizione significativa è stata messa in luce ancora da Durando che ha ricordato come l’Amsi (Associazione Medici di origine Straniera in Italia) conti 75 mila tesserati tra medici, infermieri e oss, e nel periodo più difficile siano stati richiesti medici all’estero, ma a livello di comunicazione e mass media lo straniero che prima era il «criminale» è divenuto rapidamente «l’untore» anche con la falsa percezione, smentita dai dati, che gli immigrati veicolassero il virus non ammalandosi. «Il dossier», ha ricordato Varisco, «evidenzia come l’essere immigrato in Italia significhi avere un decorso del Covid più grave, rischi maggiori di ospedalizzazione e di ricorso alla terapia intensiva oltre ad una maggiore difficoltà ad accedere a cure e prevenzione». Concorrono al quadro le problematiche linguistiche e di mezzi informatici spesso necessari per prenotare la vaccinazione e per ottenere la tessera sanitaria. Ed è invece sul piano scolastico che il Piemonte si discosta dal quadro nazionale con un elemento positivo: nella nostra regione si è avuto un incremento del 13,7% di studenti non italiani (la media nazionale rivela un + 10%) a fronte di un calo di alunni italiani del 2,6%.
Giovani nati in Piemonte che popolano le classi e che testimoniano una integrazione possibile ma che mettono in luce anche la grande fatica sostenuta rispetto ai coetanei a seguire la didattica a distanza e restare al passo. Fatiche affrontate con determinazione, come quella dimostrata da alcuni testimoni intervenuti alla presentazione del Dossier con le loro storie su ostacoli e soddisfazioni incontrate nel nostro Paese, sulle ambivalenze che il fenomeno migratorio ha nell’opinione pubblica e sull’importanza delle relazioni per quel «Noi sempre più grande» e di favorire il protagonismo degli stranieri nella nostra società.
E proprio sulle relazioni si è soffermato, a conclusione della presentazione, il direttore della Caritas diocesana Pierluigi Dovis: «la pandemia ha evidenziato la fragilità dei fragili, ma anche il fatto che, dietro alla paura di accogliere, in Europa si sta manifestando una demotivazione alla relazione e questa è la cosa più grave per il nostro continente che ricadrà su ciascuno. Muri e fili spinati sono lo specchio di una crisi etica, di una crisi democratica di fronte alla quale non si può restare indifferenti».