Non ha usato mezzi termini la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per giustificare l’impegno Ue nella lotta all’emergenza climatica, denunciata come una «minaccia esistenziale».
Le stesse parole le ha riprese il presidente del Parlamento europeo, Davide Sassoli, nel suo intervento davanti al Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, senza riscontrarne di analoghe da quest’ultimo. Nella sfida dell’emergenza climatica i tre attori istituzionali Ue si stanno posizionando, in attesa che altrettanto facciano i cittadini europei, senza il cui consenso quella sfida non si potrà vincere.
Cominciamo dall’Istituzione che ha ricevuto dai Trattati il «potere di iniziativa», la Commissione europea, che su questo versante non ha perso tempo, prendendo le iniziative che le competevano.
Fin dai suoi primi interventi, nel luglio scorso, l’allora candidata-presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, aveva messo le cose in chiaro facendo della salvaguardia del pianeta la priorità centrale del suo programma: «Voglio che l’Europa diventi il primo continente a impatto climatico zero del mondo entro il 2050».
Ci sarà molto da fare per raggiungere questo obiettivo, visti gli scarsi progressi, se non peggio, del mondo in questa direzione e quelli ad oggi importanti, ma ancora insufficienti, dell’Europa.
Bisognerà incominciare da subito, riducendo le nostre emissioni oltre il 40 per cento previsto entro il 2030, avvicinandolo al 55 per cento, e sancire nella legge l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
Sarà necessario un «patto climatico europeo» che consenta una transizione equa per tutti, investendo sull’«economia circolare» e integrando le questioni climatiche nel Quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2021-2027, destinandovi complessivamente il 30 per cento delle risorse disponibili.
Su questi impegni, che pure non le valsero il voto favorevole dei Verdi europei, Ursula von der Leyen è tornata il 27 novembre al momento di chiedere al Parlamento la fiducia per la sua squadra di Commissari, in seno alla quale il «portafoglio clima» è stato affidato alla forte statura politica del vice-presidente esecutivo, l’olandese Frans Timmermans, molto determinato nel chiarire che per riuscire in questa straordinaria sfida è indispensabile un forte coinvolgimento dei cittadini europei, chiamati a rivedere il loro stile di vita, assumendone i relativi costi. Ponendo in questo modo al centro della sfida climatica anche quella della vita democratica nell’Ue, che nel programma della nuova Commissione fa parte delle sei priorità annunciate.
Questi primi significativi orientamenti hanno portato a un passaggio istituzionale importante, quando la presidente della Commissione ha presentato, la settimana scorsa, al Parlamento e poi al Consiglio europeo le sue prime proposte.
Per marzo è stata annunciata un’inedita legge comunitaria che vincolerà l’Ue al raggiungimento dell’obiettivo fissato, prevedendo traguardi intermedi (taglio delle emissioni del 50 per cento entro il 2030), con un piano per coinvolgere i settori economici che sarà presentato a ottobre.
A giugno 2021 verrà presentato un piano per l’efficienza energetica: per riuscire nell’impresa l’Europa dovrà passare entro il 2050 ad almeno l’80 per cento di energie rinnovabili. Bisognerà inoltre procedere a una nuova riforma della politica agricola e a revisioni profonde nelle politiche della mobilità e dei trasporti, puntando a spostare sulle ferrovie il 75 per cento del traffico oggi su strada e aereo.
Il momento per farlo è adesso, nel corso dei negoziati del 2020 per il Quadro finanziario pluriennale, mostrando coerenza nell’attribuzione di risorse per il periodo 2021-2027, puntando a contare su una dotazione di 100 miliardi di euro per affrontare la transizione economica e sociale e mettendo in cantiere la promozione di investimenti per un valore di 1.000 miliardi in sette anni.
E non è il solo ostacolo difficile da superare: è ovvio che da solo l’ambizioso piano europeo non è in grado di rispondere all’emergenza climatica del pianeta. Per riuscirci – e non penalizzare l’economia europea – è necessario che a questa lotta concorrano tutti, in particolare i grandi Paesi inquinatori come Cina e Stati Uniti, ma anche Australia, Nuova Zelanda, India e Brasile.
Sarà anche una lotta da condurre nel corso dei futuri negoziati commerciali, vincolando i partner al rispetto non solo delle regole sociali, ma anche di quelle ambientali, impresa non facile quando si conosce la crescente debolezza di uno strumento multilaterale come l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto), considerato da molti moribondo sotto i colpi che gli riserva Donald Trump.
Al Parlamento europeo, una larga maggioranza di parlamentari (divisi al loro interno i grillini) ha adottato una risoluzione a sostegno degli orientamenti della Commissione e il presidente, Davide Sassoli, lo ha riconfermato dinanzi al Consiglio europeo del 12-13 dicembre, esortandolo ad «adottare l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050» da accompagnare con «forti misure sociali e di inclusione per garantire una transizione giusta ed equa, che favorisca la creazione di posti di lavoro e rispetti la necessità di un elevato livello di protezione sociale».
Ma per far questo occorrono adeguate risorse in bilancio, non garantite dall’ultima proposta della Presidenza di turno finlandese «molto al di sotto delle aspettative di tutti i Gruppi politici del Parlamento», come ha denunciato senza esitazione il presidente Sassoli.
Poche ore dopo, a Bruxelles, è stata la volta del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo di reagire alle proposte della Commissione e all’appello del Parlamento europeo. La risposta è contenuta nelle conclusioni del comunicato ufficiale che meriterebbe una citazione integrale, ma che qui ci limitiamo a citare in alcune sue parti.
Dopo aver «approvato l’obiettivo di realizzare un Unione europea a impatto climatico zero entro il 2050» e costatato che «la transizione verso la neutralità climatica offrirà opportunità significative per la crescita economica, i mercati, l’occupazione e lo sviluppo tecnologico», il comunicato prosegue ricordando che «la Polonia, in questa fase, non ha potuto impegnarsi ad attuare tale obiettivo: per questo motivo il Consiglio europeo tornerà sulla questione nel giugno del 2020».
Un rinvio per consentire un negoziato in grado di offrire contropartite alla Polonia e ai Paesi limitrofi, si spera non in cambio di altre infrazioni alla democrazia in quei Paesi, ma ben sapendo che per formalizzare una decisione del genere è necessaria l’unanimità, difficile da raggiungere quando si conoscono le spinte nazionaliste e di corta visione, quali si sono chiaramente manifestate anche nella Cop 25 a Madrid causandone il fallimento.
Quanto alle dotazioni finanziarie, non c’è traccia di cifre nelle conclusioni del Consiglio europeo che si limita a dire che «il Quadro finanziario pluriennale (QFP) contribuirà in modo significativo all’azione per il clima». E non meno significativo – e preoccupante – un altro passaggio in cui «i leader dell’Ue hanno riconosciuto la necessità di garantire la sicurezza energetica e rispettare il diritto degli Stati membri di decidere in merito ai rispettivi mix energetici e di scegliere le tecnologie più appropriate. Alcuni Paesi hanno dichiarato di ricorrere all’energia nucleare nell’ambito del loro mix energetico nazionale»: parole che non mancheranno di dare preziosi argomenti a chi vorrà sfilarsi da una decisione comunitaria.
Molto già si intravvede da queste acrobazie diplomatiche quanto sarà in salita la strada della nuova Commissione e del Parlamento europeo per vincere la sfida dell’emergenza climatica e rispondere alla «minaccia esistenziale» evocata da Ursula von der Leyen.
Da chiedersi anche a questo punto quali saranno le vittime potenziali di questa minaccia se dovesse malauguratamente verificarsi. A una prima lettura, a termine le vittime saranno il pianeta e i suoi abitanti. Forse però, se la sfida non fosse vinta, la prima vittima di questa «minaccia esistenziale» potrebbe già essere in tempi molto più brevi l’Unione Europea, che rischierebbe di riuscire screditata agli occhi dei suoi cittadini, se dovessero ancora una volta costatare l’inadeguatezza dei suoi leader tentati, come sempre, dalla politica del rinvio e sordi alla richiesta di coraggio venuta dalle elezioni europee del maggio scorso e dalle molte piazze che si stanno mobilitando per la salvaguardia del pianeta.