Emergenza Coronavirus, la Cina si scopre fragile

Pechino – L’esplosione del Coronavirus minaccia la salute e l’economia del gigante asiatico, una prova difficile per il Presidente Xi Jinping. Il bilancio delle vittime si aggrava di giorno in giorno (492 morti) ma aumenta il numero dei dimessi dagli ospedali (898)

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Foto Sir

C’è una mobilitazione planetaria, un’ansia e un’urgenza di prevenire, scoprire, curare. Ma c’è pure complottismo e allarmismo: girano informazioni infondate, dietrologie gratuite, intrecci di sospetti, in Italia – e non solo – strumentalizzazioni politiche ed economiche, accanto a notevoli progressi scientifici e medici. Il nuovo virus venuto dalla Cina, o manifestatosi in Cina chissà perché e chissà come, trova un sacco di untori: non del morbo, che sa diffondersi per conto suo, mentre la scienza cerca di sbarragli la strada; ma di dicerie, stupidaggini, falsità, persino speculazioni. Purtroppo, leader e media ne sono spesso complici.

Com’è ovvio, il bilancio del contagio da coronavirus si aggrava di giorno in giorno: l’ultimo di cui disponiamo, aggiornato al 5 febbraio, parla di 492 morti – ben 67 nelle ultime 24 ore – e di 24.367 casi confermati in Cina, specialmente nella provincia centro-orientale di Hubei, quella di Wuhan, che da sola ha finora registrato 479 decessi e 16.678 casi accertati. Contagiato anche il medico cinese che per primo lanciò l’allarme e non fu creduto, per poi essere riabilitato.

Ma aumenta con velocità apparentemente maggiore il numero dei dimessi dagli ospedali guariti: 898 in tutto in Cina, 268 nelle ultime 24 ore. I dati vengono dalla Commissione sanitaria nazionale cinese.

Su scala mondiale, fuori dalla Cina ci sono 283 casi accertati in 27 Paesi, fra cui l’Italia. Due morti: uno a Hong-Kong e uno nelle Filippine. La lotta contro il coronavirus ottiene successi, ma ancora poco si sa di come il virus si trasmette e mancano ancora cure sicuramente efficaci e, soprattutto, un vaccino. Nell’emergenza, il Mondo risponde con solidarietà – aiuti medici inviati in Cina, ponte aerei per evacuare dalla Cina gli stranieri in visita o residenti e, viceversa, per riportare in Cina i cinesi all’estero -. Ma a tratti c’è pure isteria; o la tentazione di trarre vantaggio dal disagio della Cina: il cattivo esempio arriva – chi ne avrebbe dubitato? – dagli Stati Uniti, anzi da Donald Trump.

La mappa del contagio varia e s’allarga di ora in ora. Superata qualche iniziale reticenza, la Cina adotta misure di prevenzione drastiche: il blocco degli spostamenti interessa decine di milioni di persone; le implicazioni economiche, con riflessi mondiali, sono ancora incalcolabili, perché s’ignora quanto durerà l’emergenza.

Nella megalopoli di 11 milioni di abitanti della provincia centro-orientale di Hubei, la Cina mette mano alle ruspe e in meno di due settimane costruisce due nuovi ospedali dedicati al coronavirus, mentre noi, con le nostre procedure e i nostri controlli, ci metteremmo mesi, probabilmente anni. Ma Pechino deve pure arrendersi a una serie di decisioni eccezionali, che sono segni di pericolo e d’allarme. Vale per la politica, per l’economia, per il turismo.

L’articolo integrale di Giampiero Gramaglia è pubblicato su La Voce e il Tempo in edicola

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