Enzo Bianchi, lo sguardo profondo della vita, soprattutto la sapienza del cuore, parla della vecchiaia: un viaggio di 150 pagine. Da Castel Boglione alla solitudine affollata della cella di monaco. Nelle strette stradine di Bose gli si affiancano, come in un replay della storia, uomini da tutto il mondo: cardinali, patriarchi, badesse, sacerdoti e pope, protestanti, ortodossi, copti. È come se Dio e la sua parola, che lui ha cercato in milioni di pagine che scavano quelle della Bibbia, assumessero le forme e i suoni di una sola preghiera dalle infinite sfumature e le raccogliessero in un libro.
«La vita, i giorni, la vecchiaia» (Il Mulino) è il diario di oggi, ma anche di ieri ed una luce sul domani.
Tra le righe c’è l’abbraccio sobrio della sua vita che ripercorre il lungo cammino di un uomo che, nella Torino della «Camminare insieme» di padre Michele Pellegrino, tra cancelli sbarrati di fabbriche, quartieri di convivenza difficile, una crisi che bruciava e divideva, prese la strada delle colline della Serra e, tra Ivrea e Biella, si fermò a Bose, conca lieve, rara e dimenticata. Era l’8 dicembre 1965, giorno della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Furono tre anni di solitudine, il silenzio del padre, i dubbi di molti e quel cielo da guardare.
Ora, con lui i fratelli a Bose sono un’ottantina, cattolici, ortodossi, protestanti. Una comunità, un monastero che parla come lui con tutte le «voci» di chi crede perché la Croce e il messaggio sono gli stessi. Chi crede e chi è ancora in ricerca: lettere, incontri, colloqui che hanno costruito e accolto, scandagliato e amato le differenze più incredibili ed esplorato le sensibilità più inattese nell’illusione cosciente di un mondo con meno divisioni, di una fede vera, di un’amicizia fedele.
Ed è il momento giusto per parlare della vecchiaia. È così difficile invecchiare?
Oggi, forse, più di ieri perché la vecchiaia è più lunga; siamo sorpresi dalle paure e dai timori; temiamo di essere lasciati soli. In realtà ci sono tanti tipi di invecchiamento, ma la solitudine, gli altri che non ti cercano più, la necessità di trovare rimedi al corpo sempre più fragile, rendono più impegnativa la vecchiaia che, tuttavia, non è l’anticamera della morte, ma è un’altra maniera di vivere. Bisogna imparare ad essere vecchi. Bisogna imparare ad aggiungere vita ai giorni e non solo giorni alla vita.
Come si fa?
Bisogna lottare per non spegnere le relazioni, continuare a frequentare gli amici, sforzarsi fino a quando si può ad uscire di casa per incontrare gli altri. Si tratta di avere un approccio diverso con la natura, di cogliere la bellezza che ci circonda, magari di imparare nuove cose e leggere, per cui è mancato il tempo prima. Sono tutte possibilità che ci vengono date per poter continuare a sentire pulsare il mondo in noi e attorno a noi e non essere soltanto persone rassegnate di fronte alla vita che se ne va.
Non è quindi soltanto una camminata nel deserto?
No, ma rischia di esserlo: bisogna avere assolutamente il coraggio di rinnovare le relazioni, l’amicizia, gli affetti, i sentimenti e certamente ci vuole anche pazienza con se stessi e il proprio corpo per non lasciarsi andare. Non c’è nulla di peggio che lasciarsi andare e cedere alla tristezza e alla malinconia che fanno morire prima.
Terra sconosciuta in cui ci inoltriamo lentamente, paese aspro da attraversare e da conquistare, la vecchiaia ha le sue grandi ombre, le sue insidie e le sue fragilità, ma non va separata dalla vita.
Fa parte del cammino dell’esistenza e ha le sue chances. È il tempo di piantare alberi per chi verrà
Cos’è la vecchiaia?
Vecchiaia è l’arte di una nuova vita. È un prepararsi a lasciare la presa, ad accettare l’incompiuto, ad allentare il controllo sul mondo e sulle cose.
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Nell’inesorabile faccia a faccia con il corpo che progressivamente ci tradisce, Enzo Bianchi invita tutti noi ad accogliere questo tempo della vita pieno, senza nulla concedere a una malinconica nostalgia del passato o del futuro, ma anzi trovando qui l’occasione preziosa di un generoso atto di fiducia verso le nuove generazioni.
Enzo, cosa sono per te i giorni della memoria?
Ricordo i versetti del salmo 90 ‘La nostra vita arriva a settant’anni, a ottanta se ci sono le forze, la maggior parte sono pena e fatica, passano presto e noi ce ne andiamo’. Viene naturale, a noi anziani, guardare indietro e cercare di rileggere la nostra vita.
Cosa insegna agli anziani di oggi la tua esperienza?
Ad apprezzare l’amicizia. Sono state amicizie molto diverse che mi hanno aiutato a vivere le ore scabrose, a rinnovare la fiducia negli altri, ad attendere che al pianto seguisse la gioia. L’amicizia nasce da un incontro inaspettato, un dono gratuito dovuto a Dio, sboccia come un fiore e si nutre di bellezza, ma quella bellezza interiore che traspare anche dai volti.
Non sono in grado (come Cicerone o Norberto Bobbio) di scrivere un De senectute, ma forse riesco a dire qualcosa sull’atto di invecchiare. Si comincia con le difficoltà a leggere i caratteri piccoli del giornale, della Bibbia, delle note a pie’ di pagina, poi si ha l’impressione che da un orecchio i suoni siano meno percepiti. Alla sera il sonno tarda a venire e quando giunge si scopre che dura poco e si vede che quando ci si sveglia si può rimanere distesi a lungo senza però dormire… Poi, la giornata inizia senza più quella determinazione con cui ci si proiettava sul da farsi, non si balza più giù dal letto slanciando il corpo fuori dalle lenzuola, le gambe sono rigide… ma se si sosta un attimo a guardare dalla finestra si può scorgere una pianta, il vaso di gerani… la giornata si illumina.
Diventare vecchi, è brutto?
No, è un momento di esistenza con più difficoltà e debolezze, ma anche l’opportunità di offrire alle nuove generazioni la possibilità di vedere più chiaramente il futuro… Un’occasione per dialogare con loro, capirle. Arriva quindi un periodo importante. Saggezza, lungimiranza, definizione del proprio io sono le caratteristiche fondamentali da affrontare in modo globale, parte della vita di debolezza e anche molte opportunità. Comunicare con il proprio corpo, ponderare i limiti, imparare ad accettare l’’incompletezza’ delle cose sono i passi che funzionano per poter vivere pienamente questi anni.
Mai rifugiarsi in casa dunque?
No, mai rifugiarci in un patetico ricorso a sentirsi giovani dentro o nell’ancor più ridicolo ricorso ad un restauro estetico che fornisce solo un’ulteriore maschera. Accettare invece la vecchiaia senza nostalgia né rassegnazione… È giusto che io impari a vivere non più come prima, perché ogni età ha i suoi ritmi. Accettarsi così significa acconsentire ai mutamenti necessari per vivere il presente qui ed ora… San Paolo scrive ‘Se il mio uomo esteriore si va disfacendo, c’è un mio essere interiore che può rinnovarsi di giorno in giorno’.
Un nuovo essere?
Sì, una nuova forma di vivere.
C’è un impegno cui si è chiamati quando si invecchia?
C’è semplicemente da imparare ad invecchiare, così come abbiamo imparato ad essere bambini, poi giovani, poi uomini e donne maturi.
Ma come si può invecchiare con gioia e serenità?
Invecchiando consapevolmente, continuando a curare uno stile di vita dignitoso, facendo tesoro anche dei giorni più cupi. Nessuna idealizzazione della vecchiaia, nessun tentativo di indorare la pillola, ma solo la lucida coscienza che un uomo, una donna sono tali dalla nascita alla morte ed il cammino che fanno vale la pena di essere percorso, se lo si fa insieme agli altri, e se gli altri sanno condividerlo.
Qualche anno fa Enzo Bianchi ha piantato un viale di tigli lungo la strada che conduce al suo eremo a Bose. Si è chiesto: «Riuscirò a godere della loro ombra, a sentirne il profumo?». Ma subito ha aggiunto: «Li ho piantati per rendere più bella la terra che lascerò». Sì, la vecchiaia è un tramonto che può essere un’ora bella.
«Nella fede canto: Mea nox obscurum non habet, sed omnia in luce clarescunt». La mia notte non ha oscurità, ma tutto nella luce diventa chiaro.