La legge italiana cesserà di punire i cittadini che collaborano al suicidio di una persona gravemente malata, tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e intenzionata a morire. Accetterà comportamenti che molto somigliano all’eutanasia. Di fronte alla completa immobilità del Parlamento – rimasto fermo lungo tutto il 2019 – mercoledì 25 settembre la Corte Costituzionale ha drammaticamente incamminato l’Italia verso scenari di apertura alla dolce morte.
Bene inteso: non è ancora eutanasia, ma ci stiamo purtroppo incamminando. Per questo il mondo cattolico, dal Papa al cardinale Bassetti fino all’Arcivescovo Nosiglia e al mondo delle associazioni, nei giorni scorsi aveva chiesto che il Parlamento in extremis battesse un colpo, quanto meno assumesse l’impegno di mettere mano alle regole. Invece niente. La sentenza della Corte Costituzionale decreta il più completo fallimento della politica italiana su un tema decisivo qual è la difesa della vita umana.
Toccava ai parlamentari colmare le lacune di legge, invece il 2019 se n’è andato nel totale disinteresse delle Camere e del vecchio Governo giallo-verde. Il nuovo esecutivo giallo-rosso difficilmente sarà più coraggioso. L’alta Corte ha ritenuto di dover prendere le cose in mano: nessun giudizio di valore, ma una sentenza tecnica, costruita riversando i principi astratti dell’ordinamento nei buchi della legge italiana, che è in ritardo di anni sui progressi della scienza.
L’Italia cancella le pene che fino a ieri punivano alcuni i gesti di collaborazione al suicidio. La Corte Costituzionale ritiene che debba essere assolto il radicale Marco Cappato, sottratto al processo cui lo stesso Cappato si sottopose dopo aver accompagnato un amico alla morte in una clinica svizzera. Ma se Cappato non può essere punito, perché mai da domani dovrebbero essere proibite le cliniche della morte in territorio italiano? E perché, da dopodomani, dovrebbe essere proibita l’eutanasia dei malati incapaci di esprimersi?
Per ora sono interrogativi, che a caldo esprimiamo nelle ore della sentenza. Domani vedremo, temiamo una deriva fuori controllo. A meno che il Parlamento, oltre i tempi supplementari, abbia un sussulto e si risvegli, si riappropri della materia. La politica conserva la facoltà di intervenire, potrebbe nuovamente modificare le regole. Ma interverrà? A chi conviene farlo? Non è più comodo lasciare la patata bollente ai tribunali?