Dopo oltre tre anni dalle prime occupazioni dell’ex polo logistico Gondrand in via Cigna, alla periferia nord di Torino, la scorsa settimana, a partire da martedì 7 novembre, la Questura di Torino, con la Città e la Prefettura, ha disposto un nuovo sgombero con la completa demolizione della struttura, che sta ultimandosi in questi giorni.
Il sindaco Stefano Lo Russo il 7 novembre si è recato sul luogo e contestualmente ha inviato una lettera al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi invitandolo a Torino «per accompagnarlo di persona nelle aree più critiche che, come amministrazione, riteniamo beneficerebbero in maniera sensibile, di un maggiore investimento sulla sicurezza da parte del Governo». «Siamo consapevoli», ha continuato Lo Russo, «che senza un’adeguata presenza delle forze dell’ordine e la repressione dei fenomeni criminali il lavoro sociale del Comune di Torino rischia di non centrare l’obiettivo di migliorare la città in modo strutturale».

Il prefetto di Torino Donato Cafagna, che l’8 novembre ha incontrato i presidenti delle Circoscrizioni cittadine sul rilancio dei quartieri di periferia, ha ricordato lo stanziamento a Torino da parte del ministero dell’Interno di 166 uomini e donne delle forze dell’ordine tra polizia, carabinieri e guardia di finanza che andrà ad aumentare nei prossimi mesi. «Non basta solo sgomberare, ha sottolineato il prefetto, «di concerto tra le istituzioni è necessario organizzare un metodo di lavoro per far sì che gli interventi delle forze dell’ordine, che ci sono e sono importanti, siano implementati con iniziative di recupero del territorio».
Soddisfazione per lo sgombero è stata espressa anche dal presidente della Circoscrizione 6 Valerio Lomanto: «Siamo felici che, nonostante il ritardo, la Città ed il sindaco abbiano ascoltato la Circoscrizione ed il territorio. Vigileremo affinché l’abbattimento sia portato a termine nel più breve tempo possibile». La Circoscrizione 6 ha poi proposto alla Città di destinare il sito dell’ex Gondrand ad un impianto sportivo di livello «che possa essere volano per tutto il quartiere e possa rispondere alle esigenze delle associazioni e dei cittadini del nostro territorio», una proposta alternativa a quella prospettata dell’ennesimo centro commerciale.
Mentre il dibattito politico sulla vicenda proseguiva i giovani disperati che occupavano l’ex Gondrand, la maggior parte italiani con gravi problemi di dipendenze da droga, come avvenuto svariate volte da tre anni a questa parte, si sono spostati di alcuni isolati. Ora la maggior parte di essi si trova sotto il ponte di corso Venezia, alcuni per una notte hanno occupato l’ex piscina Sempione da tempo abbandonata al degrado, prontamente sgomberata dalle forze dell’ordine.
Nel dibattito dell’ultima settimana sui giornali e i media non è intervenuto uno dei protagonisti della vicenda che in questi anni, fin dall’inizio, ha posto l’attenzione sulla necessità di accompagnare le persone che occupano gli stabilimenti dismessi verso l’autonomia, appello sempre caduto nel vuoto: è padre Nicholas Muthoka dei Missionari della Consolata, alla guida della parrocchia Maria Speranza Nostra in via Chatillon.
La parrocchia fin dalle prime occupazioni si è fatta carico della situazione mettendo in piedi un progetto che per alcuni mesi aveva accolto nelle case dei parrocchiani alcuni giovani accompagnandoli verso l’autonomia lavorativa e abitativa. Ora la comunità continua a seguire le persone rimaste sulla strada, «le più difficili», che presentano problematiche legate alle dipendenze da sostanze e che continuano a spostarsi da una fabbrica o struttura abbandonata all’altra.
«Certamente lo sgombero e l’abbattimento dell’ex stabilimento di via Cigna», sottolinea padre Nicholas a colloquio con La Voce e Il Tempo, «è un passo avanti, ma nuovamente non ha risolto il problema perché manca un tassello fondamentale: dal 2020 come comunità parrocchiale continuiamo a dire alle istituzioni che è essenziale avviare percorsi mirati di accompagnamento per portare fuori dalla strada queste persone senza tetto che, per scelte sbagliate, sono finite sul baratro. Se si fosse impostato subito un piano del genere, con una regia del Comune, ora non saremmo di nuovo qui a parlare degli stessi nodi che restano irrisolti, tanto che questi giovani ora sono in corso Venezia e in quella zona stanno nascendo gli stessi problemi, anche sulla sicurezza, che c’erano alla Gondrand fino a ieri. Sembra che su questo punto la Città sia sorda».
La parrocchia sa di cosa si parla in quanto è diventata la «casa», oltre alla strada, per questi senza dimora allo sbando: «due volte alla settimana», racconta padre Nicholas, «li accogliamo in parrocchia per la consegna di pacchi viveri con generi alimentari da consumare freddi, senza dover cucinare. E poi li curiamo perché oltre alle dipendenze presentano numerosi problemi di salute. Molti poi arrivano dopo risse, sanguinanti, e così la parrocchia diventa un vero e proprio ‘ospedale da campo’».
La «Speranza» è diventata il loro punto di approdo oltre la strada.
«Quest’estate», racconta padre Nicholas, «mi sono assentato per andare a casa mia in Kenya; al mio ritorno uno di loro mi ha chiesto dove fossi stato, dicendomi: ‘voi preti siete il nostro unico punto di riferimento’. Non intendeva solo per quanto riguarda la consegna del cibo, delle medicine o le cure, ma riconosceva un accompagnamento che trovano solo qui in parrocchia e da nessun’altra parte. Anche se da soli non possiamo farcela, occorre un lavoro sinergico con il territorio e le istituzioni come unica squadra in campo».
Ed ecco la proposta che padre Nicholas più volte ha rivolto alle istituzioni: «siccome questi giovani non si spostano da questa fetta della periferia nord sarebbe opportuno istituire qui una nuova struttura di accoglienza per persone senza dimora che presentano anche problemi di tossicodipendenza con un piano di accompagnamento mirato grazie a medici, psicologi, psicoterapeuti che li portino fuori dalla situazione di crisi». «Se i senza dimora vedono che da una parte c’è la parrocchia, dall’altra una comunità di accoglienza e altri servizi si sentono inseriti in percorsi e non più abbandonati a se stessi, e smetteranno, almeno la maggiore parte, di delinquere e di essere un problema serio per la sicurezza».
La parrocchia ha messo in campo un programma di prevenzione. «Appena ci accorgiamo che c’è una persona nuova che finisce sulla strada», prosegue padre Muthoka, «cerchiamo di accompagnarla perché trovi un’alternativa e non precipiti in un baratro da cui diventa difficile uscire».
Molti entrano ed escono dal carcere. «Quando escono dal penitenziario», racconta il parroco della Speranza, «tornano sulla strada e arrivano in parrocchia finalmente ‘puliti’ dalla droga, però poi ricominciano daccapo perché non vengono offerte loro possibilità. Dopo il carcere sono necessari percorsi di accompagnamento».
È imponente l’investimento della parrocchia sull’integrazione e l’inclusione. La comunità ospita un Cas (Centro di accoglienza straordinaria) che con la cooperativa Cisv accoglie tra le 15 e le 20 ragazze migranti che si inseriscono poi nelle attività parrocchiali e nella vita sociale: «un bell’esempio di come sia possibile vivere bene insieme».
Un altro esempio è rappresentato dall’oratorio, la «casa dei popoli», in cui bambini, ragazzi e giovani di numerose nazionalità crescono insieme. «Non solo nell’oratorio aperto tutti i pomeriggi», sottolinea padre Nicholas, «ma anche nei gruppi formativi e nelle attività di servizio: testimonianza di come sia possibile una buona convivenza che dà speranza a tutto il quartiere». Il parroco registra anche un considerevole aumento dei battesimi negli ultimi anni: «famiglie di diverse nazionalità che chiedono di iniziare un percorso nella comunità cristiana che dà vita, questo è un bel segno».
Padre Nicholas conclude con una storia che testimonia la vocazione missionaria della parrocchia: «alcuni mesi fa mi ero preso un pomeriggio libero per preparare le ordinazioni diaconali di alcuni Missionari della Consolata e stavo cercando un’immagine della ‘Lavanda dei piedi’ per il libretto della celebrazione. All’improvviso piomba nel mio ufficio un giovane che urlava dal dolore per un piede in condizioni igienico-sanitarie compromesse e che chiedeva aiuto. Lì ho capito che il Signore mi stava dando un segnale: mi chiedeva di spegnere il computer e andare sulla strada a ‘lavare i piedi’. Così ci siamo messi a medicare il piede di Mohamed e a continuare a portare il Vangelo con la nostra vita ai fratelli più poveri, emarginati e disperati, grazie alla fraternità che è forse l’ingrediente che ancora manca in tutta la vicenda dell’ex Gondrand».