«Un uomo solo è al comando; la sua maglia è bianco-celeste; il suo nome è Fausto Coppi». Mario Ferretti, giornalista Rai, nella radiocronaca della tappa Cuneo-Pinerolo dipinge la leggenda: i 70 anni dell’impresa, i 100 anni dalla nascita, i quasi 60 anni dalla morte del «campionissimo».
Nato nel 1919 a Castellania (Alessandria) è il corridore più famoso e vincente dell’epoca d’oro del ciclismo ed è uno dei più grandi e popolari atleti, insieme all’eterno rivale, il toscanaccio Gino Bartali, salvatore di ebrei e «giusto fra le Nazioni». I due si combattono, si rispettano, si aiutano, si scambiano la borraccia, non possono fare a meno l’uno dell’altro. Ma sono rivalissimi. La Cuneo-Pinerolo entra nel mito.
Settnt’anni fa, nel 1949 il Giro d’Italia è alla 32ª edizione dopo 19 anni di assenza a causa della dittatura e poi della guerra. Parte dalla Sicilia il 21 maggio e approda a Monza il 12 giugno per un totale di 4.088 chilometri. Nella favolosa 17ª tappa il 10 giugno Coppi va in fuga e scala i Colli della Maddalena, de Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere. A Pinerolo, dopo 254 chilometri dalla partenza, infligge 11 minuti e 52 secondi a Bartali e porta la maglia rosa al traguardo della 19ª tappa, la Torino-Monza di 267 chilometri. In luglio vince il Tour de France (Grande Boucle).
Il «campionissimo» o l’«airone» nasce il 15 settembre 1919 a Castellania (Alessandria), che dal 19 gennaio 2019 si chiama Castellania Coppi. Angelo Fausto Coppi – dicono gli specialisti di ciclismo – è un formidabile passista, un eccezionale scalatore ed è dotato di un buono spunto veloce. Un corridore completo e adatto a ogni tipo di gara su strada e su pista. Professionista dal 1939, si impone sia nelle più importanti corse a tappe sia nelle maggiori «classiche» di un giorno.
Uno dei maggiori e più completi ciclisti di tutti i tempi, vince 5 Giri d’Italia (1940, 1947, 1949, 1952, 1953), un primato condiviso con il varesotto Alfredo Binda e con il belga Édouard Louis Joseph (Eddy) Merckx; 2 Giri di Francia (1949, 1952), primo ciclista a conquistare le due competizioni (Italia e Francia) nello stesso anno; 4 campionati italiani e un campionato mondiale su strada (1953); primatista mondiale dell’ora su pista (con 45,798 chilometri) dal 1942 al 1956; 2 volte campione del mondo d’inseguimento (1947 e 1949). Vince anche 5 Giri di Lombardia (1946, 1947, 1948, 1949 e 1954), anche qui un primato; 3 Milano-Sanremo (1946, 1948 e 1949); nel 1950 vince la Parigi-Roubaix e la Freccia Vallone.
Leggendaria la rivalità con Gino Bartali, che divide in due l’Italia nell’immediato dopoguerra anche per le presunte diverse posizioni politiche: Bartali cattolico e democristiano, Coppi uomo di sinistra, se non comunista. Celeberrima la foto dei due che si scambiano la borraccia durante una salita al Tour del 1952. Coppi è anche noto per aver cambiato l’approccio alle competizioni ciclistiche, grazie al suo interesse per la dieta, per gli sviluppi tecnici della bicicletta, per i metodi di allenamento e la medicina sportiva. Famosa anche la frase di mamma Angiolina: «Faustino, vinci ma vai piano».
Il Grande Torino, perito a Superga 70 anni fa, e Fausto Coppi rappresentano l’Italia che rinasce dalla lugubre dittatura fascista, dalla seconda guerra mondiale e dalla Resistenza. Le sue imprese e le tragiche circostanze della morte ne fanno un’icona della storia d’Italia e dello sport italiano. La sua popolarità resta intatta sessant’anni dopo la morte.
Il 10 dicembre del 1959 – dopo l’ingaggio della San Pellegrino Sport, squadra appena costituita dall’amico ed ex-rivale Gino Bartali – Coppi parte con alcuni amici ciclisti francesi per un viaggio nell’Alto Volta (oggi Burkina Faso) dove il 13 dicembre è in programma una corsa ciclistica.
Tornato in Italia, il 27 dicembre il «campionissimo» si mette a letto con febbre alta, nausea e brividi. I medici non riescono a formulare una diagnosi. Nel pomeriggio del 1º gennaio 1960 le condizioni si aggravano: Coppi viene ricoverato all’ospedale di Novi e poi di Tortona, perde conoscenza, entra in coma e alle 8:45 del 2 gennaio 1960 muore a 40 anni. I medici sbagliano la diagnosi: scambiano la malaria per un’influenza più grave del consueto. Cinquantamila persone – dicono i giornali – partecipano ai funerali di Fausto Coppi a Castellania.