Dal 14 settembre al 31 ottobre si tiene a Torino la terza edizione del Festival dell’Accoglienza «E mi avete accolto», promosso dalla Pastorale dei Migranti. Nell’arco di quasi due mesi sono previste decine di incontri sui temi dell’immigrazione, dell’integrazione e del dialogo interculturale con tanti ospiti tante esperienze di gruppi, associazioni, realtà ecclesiali, scuole, ambienti di lavoro, comunità di origine straniera che si racconteranno. Sarà anche quest’anno per molti un’occasione di formazione, di scambio di esperienze, di ascolto, di riflessione, di ricerca di senso, di arte e di celebrazioni condivise. Ne parliamo con Sergio Durando della Pastorale Migranti, curatore dell’importante rassegna.
Si aprono due mesi intensi, è tutto pronto?
Si parte. Abbiamo una bella carica di energia, certo anche qualche timore, come ogni volta che si intraprende un cammino importante. Fra le preoccupazioni c’è quella che in questi due mesi di Festival non vengano sottratte troppe energie alle persone, che rimangono il centro e il senso del nostro agire e che ogni giorno arrivano all’Ufficio della Pastorale Migranti in via Cottolengo. Il Festival si aggiunge a una quotidianità già molto impegnativa.
La costruzione del programma del Festival parte dai contenuti, poi si individuano testimoni e relatori, si scelgono i film, si definiscono le sedi, si incastrano giorni e orari di chi interverrà: tutto questo significa mesi di lavoro. Il Festival vuole essere uno strumento dinamico a servizio della città, delle nostre comunità e delle nostre diocesi.
Quali i numeri di questa terza edizione?
Gli eventi promossi da questo Festival 2023 sono 70, oltre 100 i partner, 48 le giornate complessive. Le persone che porteranno un loro contributo sono oltre 200, le sedi 40, non solo a Torino ma ad Asti, Alba, Chieri, Pino Torinese e Vercelli. È prevista anche una giornata a Ventimiglia e due presso il Festival delle Migrazioni di Modena.
Giovedì 14 la rassegna viene presentata nel palazzo comunale di Torino. Avvenimento civile, oltre che ecclesiale?
Il Festival entra nel vivo subito dopo la conferenza stampa di giovedì mattina, nella quale il programma vien presentato ai giornalisti e a tutti gli amici. L’incontro si tiene nella Sala Colonne di Palazzo Civico, sede significativa per sottolineare che non è una iniziativa solo per «noi», per le nostre reti o le nostre comunità, ma è un festival per la città. Interviene il Vescovo mons. Roberto Repole con il Sindaco Stefano Lo Russo, il direttore generale della Fondazione Migrantes don Pierpaolo Felicolo, Fabrizio Palenzona (presidente della Fondazione Crt) e Francesco Profumo (presidente della Compagnia di San Paolo). Io presento il programma di questa terza edizione, consultabile anche sul Web in rete.
Come nacque tre anni fa l’idea di un Festival dell’Accoglienza?
Ogni anno, a settembre, la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (Gmmr) è accompagnata da un messaggio sempre molto bello, forte e chiaro del Papa, ma abbiamo forti perplessità su quanto questo messaggio venga pienamente recepito dalle nostre comunità. L’’Ufficio Missionario condivide questo punto di vista in relazione alla Giornata Missionaria Mondiale di ottobre e per questo partecipa al Festival fin dalla prima edizione. Abbiamo integrato nel progetto anche altre due date, non specificamente ecclesiali ma importanti: la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza il 3 ottobre e la Giornata Europea contro la Tratta di Esseri Umani il 18 ottobre.
Il tema di questo anno?
È la «libertà». L’abbiamo scelto a partire dal titolo voluto dal Papa per il suo Messaggio della 109° Gmmr: «Liberi di scegliere se migrare o restare». È un Messaggio che consiglio di leggere e di approfondire. Papa Francesco intende promuovere una rinnovata riflessione su un diritto non ancora codificato a livello internazionale: il diritto a non dover emigrare, ossia a poter rimanere nella propria terra, come pure il diritto a partire senza trovare «muri» che sbarrano la strada.
Chi pensa, chi realizza, chi sostiene il Festival?
È difficile rispondere a questa domanda perché il Festival è il risultato di tanti livelli diversi di partecipazione: io mi occupo del coordinamento generale con un volontario, Walter Vergnano, che mette a disposizione tempo, competenze e passione; poi c’è una cabina di regia all’interno della Pastorale dei Migranti e un gruppo operativo. Colleghi giovani e volontari ci credono e si spendono, convinti che il mondo si cambia partendo da noi. C’è poi un livello regionale dove ci sono iniziative coordinate dagli uffici Migrantes in rete con altri soggetti dei loro territori.
Sostengono il Festival dell’Accoglienza la Diocesi di Torino con fondi destinati all’Ufficio Migranti, la Compagnia di San Paolo, la Fondazione Crt e la Fondazione Migrantes. Ma anche tutti coloro che mettono a disposizione le loro sedi gratuitamente, chi regala il proprio tempo, tutti i volontari impegnati nell’organizzazione, gli enti che propongono iniziative autofinanziandole, gli artisti che regalano concerti.
C’è condivisione e collaborazione con altri Uffici diocesani e con eventi culturali in diversi territori. Collaboriamo con il Festival della Migrazione di Modena e con il Festival delle Migrazioni che si svolgerà a Torino dal 20 al 24, con il quale avremo sia appuntamenti congiunti che altri ospitati presso il nostro giardino. Continua anche la collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti, con alcune scuole e con tantissimi partner. Potremmo dire, una grande esperienza di «sinodalità» che parte dalla città.
Quali le novità di quest’anno?
Ci sono molte collaborazioni nuove, per esempio con le Biblioteche Civiche Torinesi che ospiteranno molti eventi, con la Comunità Ebraica e con Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione) per approfondire le normative in un tempo di smantellamento del diritto di Asilo in Italia e in Europa e di forte indebolimento delle politiche di accoglienza.
Poi il Festival, come ho detto, sarà presente su nuovi territori: non è più solo un evento torinese, ma regionale. Approfondiremo la situazione di 5 Paesi: guerre dimenticate in Sudan, Somalia, Eritrea, Etiopia e Afghanistan e ascolteremo testimonianze di vicinanza con le comunità Rom e Sinte.
Inoltre: ricorrono quest’anno i 10 anni della tragedia di Lampedusa, per cui il 3 ottobre allo Stadio ci sarà una iniziativa con le scuole e celebreremo i 25 anni della Comunità cattolica Filippina. Avremo infine una giornata di animazione e di festa a Porta Palazzo con BallaTorino.
Il Festival risponde a un grande bisogno di riflessione su temi delicati e attualissimi. Quanto ne è consapevole la società civile?
Il Festival nasce per arginare una cultura dell’indifferenza e dello scarto, una pericolosa tendenza alla chiusura e alla disumanizzazione. I fatti parlano. Le nostre città sembrano produrre nuovi ghetti, ineguaglianze, barriere, solitudini. Le politiche dividono e sono sempre più miopi di fronte ai cambiamenti. I muri nel mondo crescono. Il viaggio per molti è morte: c’è un grande vuoto di accoglienza.
Occorre il coraggio di fermarsi, di fare pulizia nella nostra testa e nel nostro cuore di pensieri giudicanti, superficiali e dannosi: quanto le nostre scelte aprono o chiudono, accolgono o allontanano, valorizzano o svalutano?
Il Festival propone una visione di società che vuole mettere al centro la dignità di ogni persona: un invito, nonostante le fatiche, a sognare un futuro di accoglienza per tutti, nessuno escluso. Il Festival vuol condividere e rilanciare questo sogno, e raccontare il buono, il bello che esiste!