Nel 1991, anno di svolta della storia dell’auto, Fiat Auto aveva 8 stabilimenti in Italia; dava lavoro a 65 mila e produceva 1 milione e 600 mila autoveicoli. Nel 2017, a poco più di un quarto di secolo di distanza, gli stabilimenti sono scesi a 4; gli occupati sono poco più di 26 mila e si sono ridotti del 41%: la produzione è scesa a poco più di 700 mila unità con un calo del 44%. La crisi si è concentrata soprattutto nel Nord Ovest con la chiusura di 4 stabilimenti (Rivalta, Chivasso, Desio e Arese) e una drastica riduzione della forza lavoro passata da 46 mila a poco meno di 4 mila. Ma il prezzo più alto lo ha pagato il Piemonte: nel 1991 forniva il 50% circa della produzione totale; nel 2001 il 31,3%, nel 2017 solo il 7%. Nel 1991 Mirafiori era il più importante stabilimento con il 38% del totale degli addetti; nel 2017 ne occupa solo il 18%, cioè poco più di 5 mila dei quali 3 mila dichiarati esuberi gestiti con i contratti di solidarietà.
Per effetto della pesante deindustrializzazione oggi in Piemonte l’auto rappresenta poco più del 5% del totale degli addetti industriali; percentuale che sale al 17,5% se si considerano anche gli occupati dell’indotto.
Un «sistema» che raccoglie circa 700 imprese che (per fortuna) destinano più della metà della loro produzione fuori dai confini nazionali.
Nei giorni scorsi Sergio Marchionne e i suoi manager hanno presentato a Balocco il Piano industriale di FCA per il 2018-2022. Un piano molto ambizioso che prevede 25 miliardi di investimento per 28 nuovi modelli. Un grande impegno economico è previsto per il passaggio dal diesel (che cesserà in Europa nel 2022) al motore elettrico; per la propulsione pulita si spenderanno 9 miliardi, il 20% dell’intero investimento. La strategia complessiva prevede un nuovo cambio di pelle al Gruppo che punta su modelli premium, in grado di garantire alti margini. In prospettiva fine delle utilitarie ma via ad una nuova famiglia di 500 elettriche. Tra le new entry anche una nuova versione della Giardinetta, la 500 famigliare degli anni sessanta. In questa logica FCA punterà su quattro brand globali: Alfa, Maserati Jeep e Ram, il marchio dei pick up venduto in America. Fiat sarà un marchio regionale venduto in Europa e America Latina, mentre Chrysler rimarrà come oggi solo un brand del Nord America.
Sui contenuti del Piano da noi, come in altre aree sedi di stabilimenti Fiat o di aziende dell’indotto, si è creata una grande e forse troppa attesa visti i precedenti; si è alimentata la speranza di avere delle risposte chiare sul futuro dei nostri stabilimenti così fortemente compromessi. Una speranza che è andata nel complesso delusa, come in occasione della presentazione di altri Piani, larga parte dei quali non sono stai realizzati.
Da parte di Marchionne sono venute delle rassicurazioni generiche sull’impegno a raggiungere la piena occupazione ma nessuna indicazione chiara e di dettaglio su come intende perseguire questo obbiettivo. Molte sono quindi le domande rimaste senza risposta: dei modelli annunciati quali, quanti e dove saranno prodotti? Quanti lavoratoti occuperanno? Per gli stabilimenti del diesel come sarà affrontata la transizione? La Ricerca e Sviluppo sarà realizzata in Italia? Su quali modelli e quali motorizzazioni?
In attesa di indicazioni di dettaglio si è scatenata la corsa a interpretare il verbo di Marchionne; a raccogliere indiscrezioni o retroscena.
La platea si è divisa tra ottimisti e pessimisti. C’è chi sostiene che a Torino sarà assegnata la produzione di un nuovo Suv Alfa Romeo di segmento e questo rappresenterebbe per tutto il sistema dell’indotto un grosso vantaggio e, come sostiene il presidente dell’Amma Giorgio Marsiaj, una grossa sfida ad innovare con l’aiuto dei Centri di ricerca di cui il Piemonte va fiero. Ci sono altri, come la Fiom-Cgil, che valuta negativamente la possibilità che in Italia si producano solo vetture premium perché questa gamma garantisce alta redditività ma non garantisce la piena occupazione promessa, almeno a parole, dallo stesso Marchionne che ha dato appuntamento a tutti dopo l’estate per permetterci di trascorrere serene vacanze.
In attesa del giorno della verità non sarebbe male provare ad assumere una posizione condivisa sul futuro del «sistema auto» nella nostra regione; avanzare delle proposte capaci di coniugare la competitività delle imprese e la salvaguardia e la creazione di nuovi posti di lavoro. Non è un’impresa facile, ma di fronte alle migliaia di giovani in cerca di lavoro e di lavoratori che rischiano di perderlo non vi sono alternative. D’altra parte l’elaborazione di una posizione forte e condivisa da tutti gli attori in gioco potrebbe forse (il condizionale è d’obbligo) indurre Marchionne a prestare un po’ più di ascolto alle sollecitazioni che vengono da una regione che può ancora fare tanto per lo sviluppo dell’auto.