Flick, “perchè le Regioni denuciano il Decreto Sicurezza”

Il presidente emerito della Corte Costituzionale commenta la protesta dei sindaci e dei governatori contro il Decreto Sicurezza. Editoriale

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Giovanni Maria Flick

Giovedì 14 febbraio alle 21 a Palazzo Carignano – Museo Nazionale del Risorgimento, ove nacque l’Italia unita, «La Voce e Il Tempo» organizza un incontro pubblico con Giovanni Maria Flick sui fondamenti della  «Costituzione Italiana, manuale di convivenza». Sono invitati, a ingresso libero, tutti i lettori e la popolazione

Prof. Flick, la Regione Piemonte ha annunciato insieme alla Toscana l’intenzione di presentare ricorso alla Corte Costituzionale contro il Decreto Sicurezza, considerato lesivo dei diritti dei migranti in materie di competenza regionale oltre che statale. Lei ritiene che questo ricorso sia fondato?

Il giudizio spetta alla Corte Costituzionale, non a me. Ma certo il Decreto Sicurezza suscita molti dubbi di costituzionalità. Le Regioni, se ritengono di essere state scavalcate nelle loro competenze (salute, lavoro, prestazioni sociali), hanno pieno titolo per sollevare questioni di costituzionalità.

Quali questioni?

A me sembra che stabilendo un nesso diretto fra «insicurezza» e «immigrazione», il Decreto si sia posto in contrasto con i principi generali della Costituzione Italiana: una intera categoria di persone, i migranti, viene classificata come «pericolo» sociale, il ché calpesta il principio di pari dignità sociale.

Questo in via generale. Rilievi particolari?

Il Decreto ha annullato la concessione del certificato di residenza ai richiedenti asilo politico, sostituendo la residenza con il domicilio presso l’indirizzo del centro ove essi siano trattenuti o accolti. Con questo colpo di spugna – secondo le Regioni e a giudizio mio e di altri – l’Italia finirà, in diritto e in fatto, per escludere i profughi da molti fondamentali servizi sociali e sanitari, per i quali è necessario possedere proprio il requisito della residenza. Ritengo che le Regioni chiederanno che la Corte Costituzionale dichiari la violazione delle sue competenze legislative concorrenti con quella dello Stato secondo la Costituzione Italiana, in materia di formazione, lavoro, servizi sociali a favore dei richiedenti asilo.

Ricordo a questo proposito, che nell’art. 10 della Costituzione il diritto di asilo è  riconosciuto non solo a chi fugge dalla guerra, dalla fame, ma anche a chi non può esercitare le libertà fondamentali nel Paese d’origine; e che lo stesso articolo impone il rispetto delle norme e trattati internazionali che equiparano il trattamento dello straniero a quello del cittadino.

Quali diritti e servizi rischiano di venir meno con la negazione della residenza in Italia?

I servizi scolastici. Le prestazioni sociali del welfare pubblico (asili, scuole materne, tariffe agevolate nei trasporti…). Il diritto di aprire un conto corrente. Il diritto di accedere a procedure di assunzione lavorativa. Il diritto di iscriversi ai centri per l’impiego. Il diritto di ottenere lo status di disoccupato o di accedere alle politiche attive per il lavoro.

Non ha citato il diritto alla salute.

No, non l’ho citato perché le prestazioni sanitarie di base restano tecnicamente garantite ad ogni persona.

Ma l’assistenza sanitaria ai richiedenti asilo è preservata solo in parte. I richiedenti asilo conservano il diritto universale alle prestazioni urgenti, di base. Le altre prestazioni sanitarie divengono di fatto molto più incerte, aleatorie.

Da cosa dipende l’incertezza?

Dal fatto che il Decreto Sicurezza, abolendo il riconoscimento della residenza, non ha cancellato in via assoluta l’accesso ai servizi che abbiamo appena elencato (quelli sanitari e tutti gli altri); però li ha resi difficilmente esigibili. Ha stabilito che i richiedenti asilo possano accedere ai servizi solo più nel luogo in cui hanno presentato la domanda d’asilo; e ciò per il tempo necessario alla istruzione e alla decisione sulla richiesta di asilo, nonché all’eventuale reclamo, che non è certo breve e può protrarsi oltre ad un anno.

Questa limitazione comporterà numerose complicazioni, logistiche e procedurali, tali da compromettere probabilmente l’esercizio effettivo dei diritti. Oltretutto, la norma sul passaggio dalla residenza al domicilio per accedere ai servizi è estremamente generica e richiede una serie di precisazioni per poter essere effettivamente applicata.

Un gruppo di sindaci ha annunciato l’intenzione di non applicare il Decreto…

Alcuni sindaci, in testa Leoluca Orlando a Palermo, hanno compreso che rischiano di andare incontro a situazioni ingestibili. E che i richiedenti asilo sono candidati a divenire fantasmi: senza accesso ai percorsi lavorativi, senza accesso al welfare, privi di conto corrente…

Ma i sindaci hanno il potere di non applicare il Decreto?

No, non l’hanno.

Quindi?

I sindaci non possono sottrarsi all’applicazione di una legge. Se lo faranno, dovranno mettere in conto la reazione del Governo.

L’hanno considerata?

Questo non posso saperlo. Credo però che il loro gesto voglia avere il sapore di una denuncia forte contro la perdita di umanità dell’Italia e contro i problemi di sicurezza e pratici, molto consistenti, cui stiamo andando tutti incontro; credo sia una denuncia pronta a pagare conseguenze. Desidero sottolineare che non ne condivido il metodo in termini di disapplicazione della legge, ma solidarizzo pienamente con il contenuto e le ragioni di essa. Intendo cioè sottolineare che non si tratta di obbedire sempre e comunque alla legge, compresa quella che conduceva gli Ebrei in campo di sterminio, ma di cambiarla se possibile attraverso iniziative e scelte politiche, e sennò col ricorso al giudice costituzionale. Evidentemente, se la legge dovesse ordinare qualche cosa di palesemente e macroscopicamente illecito, si può porre un problema di disobbedienza civile.

Se i sindaci rinunciassero alla disobbedienza, avrebbero altri strumenti di opposizione?

Come tutti i cittadini, compresi ovviamente i migranti, possono ricorrere a un giudice denunciando la violazione di un diritto previsto dalla Costituzione. Di fronte al giudice possono sollevare questioni di costituzionalità e chiedere che il giudice le faccia proprie, ricorrendo esso (e non loro direttamente) alla Corte Costituzionale.

In questo caso la denunzia del vizio di costituzionalità non si limita alla sola ipotesi della violazione della competenza legislativa regionale, ma può avere ad oggetto anche altre materie. Devo dire, però, che la via del ricorso promosso dalle Regioni resta più rapida.

Perché?

Perché le Regioni hanno la facoltà di ricorrere direttamente alla Corte Costituzionale, senza passare attraverso un giudice. Aggiungo che le due vie del ricorso incidentale (da parte del giudice, su richiesta del cittadino) e di quello principale (diretto della Regione) possono concorrere e non si escludono a vicenda. D’altronde il ricorso può essere proposto anche da più Regioni, come mi sembra stia accadendo.

Il ricorso delle Regioni ha tempi più rapidi?

Senza dubbio. Se una Regione chiama in causa la Corte Costituzionale, questa ha il dovere di fissare l’udienza entro 90 giorni. Se la Corte ravvisa il rischio di violazioni irreparabili dei diritti, può addirittura sospendere l’applicazione del Decreto. Poi di solito nel giro di 6 mesi, massimo un anno, arriva il giudizio di costituzionalità, che può dichiarare l’incostituzionalità del Decreto oppure confermarlo.

Esistono scadenze temporali per il ricorso delle Regioni?

Dev’essere presentato entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge di convalida del Decreto Sicurezza, quindi entro il prossimo 3 febbraio.

Prof. Flick, se esistono forti dubbi di costituzionalità, perché il presidente Mattarella ha firmato e promulgato il Decreto Sicurezza?

Il Presidente della Repubblica può rifiutare di promulgare una legge solo quando ravvisa conclamate situazioni di incostituzionalità, come lui stesso ha precisato recentemente; i dubbi non bastano. Come ha spiegato lo stesso Presidente, la promulgazione non significa che egli approvi il contenuto di una legge. Essa riassume una valutazione globale politico-istituzionale e non necessariamente analitica; la nostra storia costituzionale è ricca di leggi promulgate e poi dichiarate incostituzionali in tutto o in parte.

Nel caso del Decreto Sicurezza è molto eloquente che la firma sia stata accompagnata da una lettera dello stesso Presidente: ha raccomandato che le istituzioni dello Stato vigilino sulla tutela dei diritti e sul rispetto dei trattati internazionali, che l’Italia sottoscrisse liberamente. È un rispetto che comporta un vincolo costituzionale, sottolineato reiteratamente dalla Corte Costituzionale e richiamato più volte in questi tempi, sia a proposito della legge finanziaria e dei rapporti fra l’Italia e l’Unione Europea; sia a proposito della discussione sul reddito di cittadinanza e della sua estensione o meno agli stranieri.

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