Folla alla Consolata per il dibattito sul suicidio assistito

Torino – I dibattiti che il Santuario della Consolata organizza ogni secondo lunedì del mese in collaborazione con «La Voce e il Tempo» sono ripresi lunedì 14 ottobre con un tema di massima attualità: «Eutanasia e suicidio assistito, tutte le ombre». Ne hanno discusso don Carmine Arice, padre generale del Cottolengo, e Pier Paolo Donadio, anestesista rianimatore

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Avevamo assistito a grandi polemiche dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul suicidio assistito (24 settembre), ma sono poi state poche le occasioni per approfondire: cosa accadrà dopo il verdetto di assoluzione per chi collabora, i casi specifici, al suicidio di persone gravemente malate? I Radicali non fanno segreto di puntare alla completa legalizzazione dell’Eutanasia, sul modello Olandese. Le organizzazioni di medici e molti osservatori nella Chiesa Cattolica si oppongono, stanno suonando l’allarme. L’opinione pubblica assiste, si divide in favorevoli e contrari, senza troppo comprendere i termini della questione.

Una occasione per capire è stata offerta a Torino la sera di lunedì 14 ottobre dal nostro giornale «La Voce e il Tempo» in collaborazione con il Santuario della Consolata. Nell’ambito dei Lunedì della Consolata, queste nostre conferenze in programma ogni secondo lunedì del mese, il medico rianimatore Pier Paolo Donadio e il superiore della Piccola Casa della Divina Provvidenza (Cottolengo) don Carmine Arice hanno discusso e soprattutto chiarito i delicati termini delle questioni sollevate dalla sentenza sul suicidio assistito.

Molto affollato l’incontro nell’aula del Santuario: pubblico delle parrocchie e del volontariato, ma anche tanti estranei alla vita della Chiesa. Donadio ha aperto evidenziando il grosso problema di intendersi sul vocabolario: «l’espressione ‘Eutanasia’ – ha detto – sta confondendo le idee della gente, non dovrebbe essere usata; Eutanasia significa ‘buona morte’ e nessuno oggi vuole negare una buona morte ai malati, ci mancherebbe! La medicina moderna è ormai in grado di togliere ogni sofferenza, fino alla sedazione profonda. Non c’è bisogno di chiedere la morte. Gli elementi di inquietudine riguardano invece le apertura al suicidio assistito, all’omicidio di persona consenziente, e allora chiamiamo le cose con il loro nome. Di questo dobbiamo parlare».

Molti gli argomenti sviluppati nel corso della serata, con domande del pubblico e del direttore de «La Voce e il Tempo» Alberto Riccadonna. Sullo sfondo la triste cultura che si profila dietro ai movimenti per la morte, una cultura che dichiara di difendere i malati in condizioni di estrema sofferenza ma in verità li abbandona al loro destino, accettando che escano di scena uccidendosi.

Don Arice ha portato l’esperienza tutta diversa del Cottolengo, l’ospedale che si fa carico delle vite più fragili e abbandonate, quelle di fronte alle quali la società civile è tentata di arrendersi. «Nelle corsie del Cottolengo – ha detto Arice – ogni vita è preziosa, si fa di tutto perché nessuno si senta abbandonato. Ebbene, in 190 anni di storia nessun ospite del Cottolengo ha mai espresso sentimenti di morte. Quando un malato chiede di morire spesso intende solo dire che non vuole più soffrire. Dietro al suo grido spesso c’è la sensazione di essere rimasto solo, di non interessare più a nessuno. Ecco, è su questo versante che la società civile può impegnarsi molto, molto di più».

Foto gallery a cura di Renzo Bussio 

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