Papa Francesco in Kazakistan dal 13 al 15 settembre all’insegna del dialogo tra le religioni, mentre non si placa la guerra nel cuore dell’Europa in seguito alla brutale aggressione, sei mesi fa, della Russia all’Ucraina: 3.400 chilometri separano Kiev dalla capitale della repubblica asiatica Nur-Sultan, Astana fino al marzo 2019. Nella modernissima metropoli, che sorge sulle rive del fiume Išim e conta circa un milione di abitanti, con una media di età molto giovane e appartenente a circa 130 diverse nazionalità, il Papa partecipa e parla al VII Congresso mondiale dei capi delle religioni mondiali e tradizionali a favore della pace e contro l’uso della religione per i conflitti, concluso da una «Dichiarazione finale».
Piccolo gregge con milioni di martiri – In Kazakistan la comunità cattolica conta 150 mila fedeli, 120 preti e 130 suore di varie nazionalità e congregazioni. L’evento che ha segnato la rinascita della Chiesa dopo le persecuzioni sovietiche è stata la visita di Giovanni Paolo II nel 2001: definì il Kazakistan «il Paese che ha come missione essere un ponte tra le religioni e le nazioni». Intervistato da AsiaNews l’Arcivescovo Tomasz Peta definisce la sua Chiesa «piccolo gregge benedetto dal sangue e dalle lacrime di milioni di martiri delle persecuzioni sovietiche. Chiesa giovane, piccola nel numero, ma vivace, attiva, internazionale», Chiesa che dalle preghiere in russo passa gradualmente al kazako a mano a mano che vengono tradotti i libri liturgici.
Nel 2003 è stata creata la Conferenza episcopale, composta dalla diocesi di Nur-Sultan, retta da Peta; Karaganda, guidata da mons. Adelio Dell’Oro; della Santissima Trinità di Almaty, guidata da mons. Jose Luis Mumbiela Sierra; l’amministrazione apostolica di Atyrau, retta da p. Dariusz Buras, e quella dei cattolici di rito bizantino in Kazakistan e Asia Centrale, guidata dal gesuita Vasyl Hovera.
Il Paese gode di libertà religiosa – «Possiamo costruire chiese, cappelle e monasteri. Invitiamo sacerdoti e suore da tutto il mondo» per seguire i cattolici che arrivano da Filippine, India e da altri Paesi. La Chiesa è riconosciuta da un accordo tra Santa Sede e Repubblica del Kazakistan. Il 70 per cento degli abitanti è musulmano e circa il 20 per cento è cristiano (cattolici e piccole comunità di luterani e protestanti), il restante segue altre religioni o si dichiara ateo.
«La composizione demografica delle steppe kazake è stata segnata dalle deportazioni forzate dei comunisti negli anni Trenta e Quaranta». La Chiesa cattolica è stata segnata da un evento importante: «La visita di Giovanni Paolo II il 22-25 settembre del 2010, 11 giorni dagli attentati contro le Torri Gemelle di New York. Alla Messa celebrata ad Astana c’erano 40mila persone. Dice mons. Peta: «Adesso ogni tre anni si tiene un Congresso dei rappresentanti di tutte le fedi». Quello appunto cui presenzia Francesco che continua la strategia di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI per il dialogo interreligioso.
Messaggeri di pace e unità – È il motto del viaggio del Papa. Il logo – una colomba con un ramo d’ulivo – simboleggia la pace che, insieme all’unità, sono i temi centrali del settimo Congresso dei capi delle religioni mondiali e tradizionali (14-15 settembre). Nel logo le ali sono raffigurate da due mani giunte a simboleggiare quelle dei messaggeri di pace e di unità. Il cuore, all’interno delle ali, rappresenta l’amore, frutto della comprensione reciproca, della cooperazione e del dialogo. Il ramo d’ulivo è rappresentato da un’immagine ornamentale tipica kazaka. All’interno la croce. I colori celeste e giallo sono della bandiera del Kazakistan; il giallo e il bianco della bandiera vaticana. Il motto «Messaggeri di pace e di unità» è riportato in kazako e in russo. Quattro i discorsi del Papa previsti nei diversi incontri e l’omelia della messa mercoledì 14 settembre nel Piazzale dell’Expo.
Nella capitale si svolgerà la visita di cortesia al presidente della Repubblica, Kassim-Jomart Tokayev, con il successivo incontro con autorità, società civile e corpo diplomatico nella Qazaq Concert Hall. In questa occasione il Papa pronuncerà il primo dei suoi discorsi pubblici. Come tradizione di ogni viaggio apostolico, poi, giovedì 15 Francesco incontrerà i confratelli della Compagnia di Gesù presso la Nunziatura apostolica. In mattinata, nella cattedrale Madre di Dio del Perpetuo Soccorso, incontrerà vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, seminaristi e operatori pastorali.
Camminiamo come fratelli – Il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi Francesco e Ahmad al-Tayyib, grande imam di al-Azhar, firmarono il «Documento sulla fratellanza umana». Questo manifesto ribadisce il valore del dialogo tra le religioni, ponti fra popoli e culture; condanna ogni violenza nel nome di Dio; sottolinea che «la convivenza fraterna si fonda sull’educazione e sulla giustizia»; rievoca l’incontro 800 anni fa tra Francesco d’Assisi e il sultano al-Malik al-Kamil.
«Va condannata ogni violenza perché è una grave profanazione utilizzare il nome di Dio per giustificare odio e violenza». Educare vuol dire disinnescare violenza, odio e pregiudizio: «Le religioni siano voce degli ultimi e stiano dalla parte dei poveri; veglino come sentinelle di fraternità nella notte dei conflitti e non si rassegnino ai drammi» perché «la guerra non crea altro che miseria, le armi nient’altro che morte. È tempo di bandire ogni guerra. Dio sta con l’uomo che cerca la pace e non con la potenza armata, l’armamento dei confini, l’innalzamento di muri».
Fratellanza per la pace e la convivenza – «Dio non vuole che il suo nome venga usato per terrorizzare la gente»; parlano «in nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, in nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, in nome dei poveri, degli orfani e delle vedove, dei rifugiati ed esiliati, di tutte le vittime delle guerre e delle persecuzioni»; chiedono ai capi del mondo, della politica e dell’economia «di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire per fermare lo spargimento di sangue innocente; di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale del mondo».
No al fondamentalismo – «Condanniamo tutte le pratiche che minacciano la vita come i genocidi, il terrorismo, gli spostamenti forzati, il traffico di organi umani, l’aborto e l’eutanasia. Le religioni non incitano mai alla guerra; non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo; non invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni. Chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare omicidio, esilio, terrorismo, oppressione».
Libertà, un diritto di ogni persona – Il documento di Abu Dhabi attesta che «la libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina». Per questo condanna «il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura»; dichiara che «la protezione dei luoghi di culto è un dovere garantito dalle religioni, dai valori umani, dalle leggi e dalle convenzioni internazionali». Riconosce «il diritto della donna all’istruzione, al lavoro, all’esercizio dei diritti politici, liberarla dalle pressioni storiche e sociali, proteggerla dallo sfruttamento».
«Lesa umanità» – Tra i peggiori crimini «c’è la schiavitù moderna, che è un crimine di lesa umanità. Le sue vittime si riscontrano tra i più poveri e i più vulnerabili». Bergoglio con i capi delle Chiese cristiane – cattolici, ortodossi e anglicani, assenti protestanti ed evangelici – e i capi di alcune grandi religioni: il 2 dicembre 2014 firmano la dichiarazione congiunta delle religioni che si impegnano a sradicare ogni forma di schiavitù.