Un Papa giornalista. E’ un esempio per chi, come noi, è impegnato sul fronte della verità, da una vita o da un anno, ed è un segnale di speranza in questa epoca segnata dall’odio che attraversa la politica, maggioranza ed opposizione compresi, dalla faziosità che impregna le pagine dei giornali e le frasi del nostro parlare, dalle spine dell’odio di classe in crescita, da quello verso gli immigrati, ancora tra nord e sud del mondo, tra intellettuali, tra diversi orientamenti sessuali, nel calcio, specie quello giovanile.
Fare il giornalista vuol dire raccontare ciò che si vede e si conosce. Francesco lo fa da dieci anni, con alti e bassi, ma con serena franchezza. Lo abbiamo visto quella sera piovigginosa in piazza San Pietro deserta, quando imperava il Covid; in Africa sui sentieri degli schiavi, una delle vergogne più incancellabili dell’umanità; lo ricordiamo nell’abbraccio ad Assisi, e altrove, ai fratelli credenti di altre religioni; lo abbiamo colto, stanco, anziano, ma felice nella Lisbona della Giornata mondiale della gioventù. Dovunque, ha espresso la curiosità gentile e genuina del giornalismo: voleva sentire, sapere, cogliere, imparare. Lo ha fatto senza preconcetti (quanti giornali, oggi, sono orientati e spesso difficili da reggere e leggere!), senza paraocchi, senza paura. Lo ha fatto. E, soprattutto i giovani, lo hanno capito. Un milione e mezzo lo hanno applaudito e tutti sappiamo che non lo fanno come nei talk show a comando.
Ben venga, dunque, un premio all’autenticità, alla trasparenza, alla verità che non sempre è una carezza, anzi a volte è urticante, ma vera. Il Papa ha ricevuto il premio «È giornalismo» da una giuria composta da Giulio Anselmi, Mario Calabresi, Paolo Mieli, Gianni Riotta, Gian Antonio Stella. In passato era stato assegnato, tra gli altri, anche a Fiorello, che fu tra i premiati nel 2015.
Quella di conferire il riconoscimento «È giornalismo» al Papa è una scelta che si inquadra perfettamente in quello che si erano posti Indro Montanelli, Enzo Biagi, Giorgio Bocca e Giancarlo Aneri quando fondarono il Premio nel lontano 1995: aiutare il giornalismo ad essere più consapevole del suo ruolo di libera espressione e di contributo alla costruzione della giustizia attraverso il servizio alla verità. Con il suo messaggio Papa Francesco interpreta, unica voce, il coraggio di usare il dialogo per dire parole di pace.
«Mi preoccupano le manipolazioni di chi propaganda interessatamente fake news per orientare l’opinione pubblica. Per favore, non cediamo alla logica della contrapposizione, non lasciamoci condizionare dai linguaggi di odio», le parole del Papa. «Nel drammatico frangente che l’Europa sta vivendo con il protrarsi della guerra in Ucraina, siamo chiamati a un sussulto di responsabilità. La mia speranza è che si dia spazio alle voci di pace».
Al Papa «giornalista», premiato per il suo coraggio, le ‘voci’ di tutti coloro che di questa professione hanno fatto una mission ed una ragione di vita. Francesco è un esempio per tutti coloro che sono impegnati sul fronte della verità, giornalisti in testa. Il suo invito a guardare alla realtà dei fatti e a non farsi influenzare dai linguaggi d’odio ci richiama al senso più profondo della nostra professione che, come diceva Montanelli, è una delle più belle del mondo. «Io, figlio di un manovale, vi dico che, davvero, è così!»