Gino Stefani, le parole (in musica) per la preghiera

Lutto – La scomparsa a 89 anni del musicologo, docente universitario e pedagogo, figura importante nel rinnovamento post-conciliare dei canti liturgici. Da «Io credo: risorgerò» a «Noi canteremo gloria a te», le testimonianze di un percorso spirituale maturo

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Lo scorso 7 aprile a Roma all’età di 89 anni è morto Gino Stefani, musicista e musicologo, docente universitario e pedagogo, semiologo della musica e tra i fondatori della disciplina in Italia. Stefani, nato a Samarate (Varese) nel 1929, ha avuto un ruolo importante anche nell’avvio della Riforma liturgica post-conciliare nell’ambito musicale, come scrive il liturgista padre Eugenio Costa, gesuita, a cui abbiamo chiesto un ricordo dell’amico di una vita.

 «Io credo: risorgerò/questo mio corpo vedrà il Salvatore»: parole di fede! Quante volte le abbiamo cantate! L’autore, che è Gino Stefani, riscrive probabilmente il testo del libro di Giobbe (19, 25-27) e ci mette sulla bocca un forte grido di speranza, inciso in una melodia semplice, slanciata, indimenticabile. Siamo nel 1966, a ridosso dalla fine del Concilio, e inizia il rinnovamento dei canti liturgici: testi e melodie, densità letteraria e robusta semplicità. Stefani è in prima linea, e il tocco è subito alto: «…l’uomo è come l’erba, come il fiore del campo… conserva in me, Signore, il segno della tua gloria… rimani in me, Signore, rimani oltre le morte…». Giungeva a questo traguardo avendo già alle spalle un’esperienza culturale (lettere, filosofia) e musicale importante, con significativi contatti: Giorgio Gaslini con la pratica del jazz, Luciano Berio per il mondo classico contemporaneo, seriamente coltivato sulla base dei diplomi di conservatorio (clarinetto, composizione, polifonia vocale).

I suoi testi di canti per la preghiera (e anche alcune melodie) sono sicuramente frutto di un percorso spirituale maturo. Ne troviamo una buona ventina nella raccolta «Nella casa del Padre» (tutti conosciamo bene ad esempio «Noi canteremo gloria a te», «Mistero della cena», «Quanta sete nel mio cuore», «Te lodiamo, o Trinità», insieme ad altri che, da quegli anni ’60 in poi, continuano a farci pregare), di cui circa la metà è stata accolta nel Repertorio nazionale Cei del 2009.

Il contributo di Gino Stefani alla Riforma post-conciliare della liturgia si è espresso anche sul piano della riflessione, particolarmente attraverso il suo volume, divenuto un classico («L’espressione vocale e musicale nella liturgia», Elledici, Torino-Leumann, 1967), che, come apripista, era stato preceduto dalla traduzione, per opera sua, di un primo grande classico: Joseph Gelineau, «Canto e musica nel culto cristiano» (Elledici, Torino-Leumann, 1963). Riflessione da lui proposta anche sul piano dell’insegnamento, specialmente a Roma e a Parigi.

Ma l’università che lo ha visto più a lungo in cattedra è stata quella di Bologna, nel dipartimento, giustamente diventato celebre, del Dams, dove insegnò dal 1977 al 2001. I suoi campi di ricerca furono la così detta «popular music», con le sue forti ricadute nel sociale e nella pedagogia, ma specialmente la «semiotica musicale», disciplina che, accanto a Umberto Eco, Stefani ha contribuito a impiantare solidamente nel campo accademico. Citiamo almeno uno dei suoi punti chiave: l’elaborazione operativa della «competenza comune», che porta a riconoscere in tutti e ciascuno una capacità musicale, quella che permette di «fare cose con la musica», dall’ascolto al canto, dal comprendere al produrre, nei mille modi di cui, da un minimo a un massimo, ogni persona è «musicalmente competente». È chiaro come, e quanto, queste prese di posizione, approfondite e sperimentate, siano di assoluto interesse per chi vuole abbordare l’atto musicale nella liturgia, dove il «senso» di ciò che vi si fa, il suo «funzionamento» e la sua corretta ricerca, sono una linea-guida fondamentale. Per chi lo intende, questo segna la fine di ogni accademismo tradizionalista e di qualsiasi banalità mass-mediale, sia nelle scelte che nell’atto celebrativo.

Vita e ricerca, vicende familiari e messa a punto delle acquisizioni scientifiche, hanno portato Gino, nell’ultima, feconda parte della sua vita, ormai residente a Roma e di comune intesa con la consorte Stefania Guerra Lisi, a costruire in maniera estremamente accurata un’iniziativa, composta di studi, terapie, formazione di operatori, informazione pubblica, destinate a ottenere che il «far musica» sia, a certe condizioni, un contributo a meglio vivere per persone indebolite da diverse forme di disabilità. La sigla che riassume l’ottica di questo distinto tipo di musicoterapia è «Globalità dei linguaggi», che lascia in parte intuire quali piste vengano perseguite. Si condensa qui, citando l’autore, il modo in cui «la ‘competenza comune’ e i ‘codici generali’ [vengono] ampliati e approfonditi come ‘potenziali umani’».  Dalla liturgia alla semiotica, dalla docenza alla terapia, ritroviamo il medesimo uomo di scienza, credente e dedito a offrire piste valide per un «buona scuola» del vivere.

Il suo passaggio alla Casa del Padre non deve lasciarci sfuggire un, benché rapidissimo, ricordo di tutta la generazione di cultori della liturgia e della musica, che si sono mossi, dal pre-al post-Concilio, per dare contributi creativi al rinnovamento del celebrare, soprattutto nel campo musicale. Di loro ha fatto certamente parte Gino Stefani, da tutti tenuto per grande amico e prezioso autore. La compagine più robusta è stata chiaramente quella dei salesiani, con la loro editrice di Torino-Leumann come punto di riferimento: Dusan Stefani e Antonio Fant (ambedue attivissimi, basta scorrere l’indice del repertorio «Nella casa del Padre»), con i loro colleghi catecheti/liturgisti Luciano Borello e Giuseppe Sobrero, a cui vanno aggiunti diversi loro confratelli. A seguire, solo un elenco, quasi imbarazzante nella sua secchezza, ma denso di memorie e di affetti: Giovanni Maria Rossi, Luigi Picchi, Felice Rainoldi, Luigi Agustoni, Silvano Albisetti, Beppe Cerino, Mario Piatti, Giuseppe Liberto, Luciano Migliavacca, Gian Franco Poma, Terenzio Zardini, Francesco Filisetti, Antonio Parisi, Marco Frisina, Massimo Palombella, Anna Maria Galliano, Pierangelo Sequeri, Domenico Machetta, Marcello Giombini, Marco Deflorian. Se una buona parte di loro già canta con gli Angeli, un’altra sempre valida prosegue fra noi con grinta, tenendo vivo il repertorio disponibile. L’impressione diffusa è che si debba continuamente ancora stare all’erta: non bastano i migliori animatori se mancano autori e compositori.

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