«Negli ultimi mesi del 2020 e nei primi del 2021 al centro d’ascolto diocesano ‘Le due tuniche’ l’incremento delle richieste d’aiuto è stato costante; in un anno il Covid si è diffuso a ondate, i bisogni no, mai una flessione…». In occasione della XXXII Giornata Caritas di sabato 13 marzo (9-12 on line, attraverso il sito www.caritas.torino.it) il direttore della Caritas diocesana, Pierluigi Dovis, rilancia l’allarme: conferma il quadro che emerge dal rapporto nazionale dell’Istat pubblicato nei giorni scorsi (secondo il quale ci sono un milione di nuovi poveri e l’incidenza della povertà assoluta cresce sia in termini di nuclei familiari in stato di profondo disagio che raggiungono quota 2 milioni, sia in termini di individui che salgono a 5,6 milioni), e richiama all’attenzione su una particolare categoria di poveri nei confronti dei quali è più che mai necessario quello stile e quello sguardo che saranno sviluppati e approfonditi nel corso della Giornata intitolata «Vicini con cura. Figli Suoi, fratelli tutti».
«C’è sempre in crescita la povertà estrema», precisa Dovis, «ma oggi c’è una nuova povertà che preoccupa molto e che va affrontata prima che diventi estrema, prima che i soggetti interessati scivolino nel disagio totale e repentino come nei casi che sempre più verifichiamo». Chi sono dunque questi nuovi poveri da intercettare? «Ci sono i titolari di imprese individuali che hanno partita iva che prima avevano flussi di lavoro scarsi ma sufficienti e che invece ora non hanno più nulla… Poi ci sono gli operatori stagionali e soprattutto operatori del turismo e proprietari di piccoli esercizi commerciali, o di esercizi artigianali più di nicchia: c’è, a chiedere aiuto, chi confezionava vestiti da cerimonia, chi vendeva bijoux». E ancora: colf, pasticcerie il cui bilancio era legato alla forniture di colazioni per alberghi. Poi ancora le piccole realtà escluse dagli ammortizzatori sociali…
«L’avvio della richiesta di riscossione di alcune tabelle esattoriali», prosegue Dovis, «e l’ormai prossima scadenza della cassa integrazione certamente metteranno in difficoltà un ulteriore numero di famiglie e persone già fragilizzate. E la fatica con cui si reperiscono i fondi per i cosiddetti ristori mette a rischio anche fasce di popolazione che pensavamo abbastanza al riparo. Lo stiamo vedendo nei colloqui nei vari centri di ascolto – non solo in città – dove si stanno affacciando anche persone normalmente poco avvezze a chiedere aiuto».
Persone per le quali urge un approccio ‘preventivo’ allo scivolamento in povertà e delle quali prendersi cura globalmente, «perché», prosegue Dovis, «i fattori in gioco sono tanti e perché spesso sono i più invisibili per la vergogna di chiedere aiuto, per l’incapacità di gestire una situazione di bisogno che non apparteneva alla loro vita precedente». Se il tema della Giornata è dunque quello del prendersi cura, l’invito è a cogliere con delicatezza e attenzione la difficoltà di queste persone, vincendo anche il pregiudizio, che spesso le riguarda, sulle effettive condizioni di povertà e cercando sempre una ‘cura’ adatta che non sia assistenzialismo, ma accompagnamento per il quale «attrezzarsi».

«Siamo di fronte non solo ad un corso storico che prevede al proprio interno un aumento della povertà, ma stiamo assistendo ad uno spostamento dell’asse di equilibrio della nostra società nei suoi elementi più strategici. Cambieranno le categorie interpretative e, dunque, dovranno modificarsi le modalità di presa in carico, le modalità della cura. Non per nulla il convengo nella XXXII Giornata Caritas di sabato 13 punta l’obiettivo su questo tema.
Perché la cura e il prendersi cura dovranno essere il punto di partenza per rinnovare il patto dell’intera società con modalità centrate maggiormente sui percorsi delle persone. Non possiamo pensare che la questione della cura sia un semplice fatto etico che riguarda il modo con cui la persona si rapporta all’altro, specie se afflitto.
La cura – e ce lo sta insegnando la pandemia – è un insieme di azioni sinergiche e sincrone intorno alla persona e alla rete delle sue relazioni primarie». Dunque, non una mera questione di metodo ma «una strategia di costruzione del bene comune. La vicinanza è lo stile personale e comunitario, ma la cura è la strategia politica da mettere in atto sui nostri territori. E come c’è voluta molta buona volontà per fare in fretta nel diventare vicini a chi stava soffrendo in vario modo, così non possiamo permetterci il lusso di perdere tempo procrastinando le decisioni che mettiamo la cura a fattor comune delle politiche di sviluppo della nostra città e di tutto il nostro mondo. Uno tra gli elementi che dovrà guidare la nostra cura è la capacità di vedere al di là del visibile.
Questa pandemia sta causando processi di impoverimento e carriere di povertà che coinvolgono soggetti nuovi ma anche forme del tutto nuove. Il rischio è indirizzare la cura solo sugli aspetti chiari, palesi, evidenti di povertà». Occorre secondo la prospettiva della Caritas diocesana più che mai la capacità di pensiero parallelo «che sappia identificare le nuove forme di povertà dentro ad una categoria molto più vasta: l’abbandono. Ce lo ha ben chiarito Papa Francesco nella Fratelli Tutti quando cambia il nome del malcapitato della parabola del Buona Samaritano, chiamandolo appunto ‘abbandonato’. La nostra attenzione di carità, ma anche le politiche sociali e di sviluppo devono guardare non più al semplice ‘povero’ ma allagarsi all’abbandonato.
Vale a dire che la sfida della cura forse si gioca più sul recupero del periferico che sull’inclusione dell’ultimo. Perché in ciò che sa di periferia c’è anche l’ultimo, ma non sempre nell’ultimo ci sono tutti coloro che sanno di periferia. Abbandonarli sarebbe un grave errore strategico che porterebbe a vedere inevitabilmente allargarsi le fila di coloro che hanno come casa la strada e come prospettiva l’incerto».
Il taglio dell’incontro di sabato sarà dunque orientato a cogliere i tanti aspetti spirituali della cura: «ma questa inclinazione è necessaria», conclude Dovis, «per poi sapere affondare il coltello in modo preciso, forte, adatto e far emergere con parresia – con sincera verità – i crepacci che sottendono il nostro cammino in questi tempi. E ne abbiamo visti molti, lontano e vicino, dalla questione dei profughi a quella delle persone senza dimora. Come sempre cercheremo di tradurre la cura in azioni concrete. Ne partirà una tra pochissimi giorni, a nome di tutta la nostra Chiesa, per non lasciare a metà il discorso che inizieremo nella Giornata Caritas».
Il programma
A partire dalle 9 il tema della Giornata sarà introdotto da una lectio divina con suor Benedetta Rossi delle Suore Missionarie di Maria su «La parola che cura». E dalla Scrittura si passerà ad una serie di differenti «sguardi di cura»: saranno offerti dai quattro Vescovi che nella Conferenza piemontese hanno responsabilità per la pastorale del Lavoro (mons. Marco Arnolfo), per la pastorale dei Migranti (mons. Marco Prastaro), per la pastorale della Carità (mons. Piero Delbosco) e per la pastorale della Salute (mons. Marco Brunetti). «Sguardi» che saranno intervallati anche da testimonianze concrete di cura e vicinanza alle fatiche e fragilità del territorio. Nella mattinata interverrà infatti la Delegazione Caritas di Piemonte e Valle d’Aosta che parlerà di #Ripartire insieme, un progetto di «solidarietà circolare» e ci sarà l’opportunità di conoscere «Le querce di Mamre», progetto di accoglienza della parrocchia San Marcello di Ascoli Piceno. Non mancheranno la riflessione di mons. Cesare Nosiglia sulla «Chiesa vicina agli ultimi» e le conclusioni a cura di Pierluigi Dovis. Per informazioni: 011.5156350; caritas@diocesi.torino.it; www.caritas.torino.it.