Il 27 gennaio 1945, 77 anni fa, i sovietici della 60ª armata del maresciallo Ivan Konev arrivano nella città polacca di Oświęcim e scoprono l’orrore del «lager» nazista, lo stesso dei «gulag» con i quali i compagni comunisti dal Cremlino avevano disseminato l’immensa Unione Sovietica. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelano al mondo l’orrore del genocidio nazifascista. Il 27 gennaio è il «giorno della memoria»
«Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam». Pio XII il 15 maggio 1956 scrive il testamento sul retro di una busta riciclata: «Queste parole, che conscio di esserne immeritevole e impari, pronunciai nel momento in cui diedi tremando la mia accettazione all’elezione a Sommo Pontefice, con tanto maggiore fondamento le ripeto ora, in cui la consapevolezza delle deficienze, delle manchevolezze, delle colpe commesse durante il lungo pontificato e in un’epoca così grave ha reso più chiare alla mia mente la mia insufficienza e indegnità».
Una stagione lunga 19 anni dal 2 marzo 1939 al 9 ottobre 1958. Alla sua morte prima gli elogi da Israele e dagli ebrei di tutto il mondo per averne salvati migliaia dalla deportazione e dalla morte nei campi di concentramento. Poi le accuse di «responsabile morale» dell’Olocausto: il «Pastor angelicus» è sommerso dal fango di infamanti accuse a scoppio ritardato.
Tutto parte il 20 febbraio 1963: al teatro Kurfürstendamm di Berlino va in scena «Stallvertreter, Il Vicario» di Rolf Hochhuth: descrive Pio XII correo degli stermini hitleriani, per non aver protestato pubblicamente contro il genocidio fino ai farneticanti «Il Papa di Hitler» di John Cornwell e «Under his very windows. The Vatican and the Holocaust in Italy» di Susan Zuccotti. Gli storici più accreditati sostengono che la cascata di fango è manovrata dal Cremlino che vuole vendicarsi dell’acerrismo anticomunismo pacelliano. Un’ubriacatura propagandistica con scivoloni. Come quello di Meir Lau, rabbino capo ashkenazita di Gerusalemme, che nel 1998 a Berlino, per i cinquant’anni della «Notte dei cristalli», accusa: «Dov’era il Papa quel giorno? Dov’era Pio XII il 9 novembre 1938, quando i nazisti distruggevano sinagoghe e negozi degli ebrei? Perché non condannò la “Kristallnacht?”». Il Particolare è che Eugenio Pacelli è eletto Papa quattro mesi dopo il 2 marzo 1939.
In «Pio XII, il Papa degli ebrei», Andrea Tornielli, rimette le cose a posto con una documentazione più che esauriente. Racconta le infinite attestazioni di stima e riconoscenza da membri, autorità e organismi ebraici. Pinchas Lapide, ex console israeliano di Milano: «Non c’è Papa nella storia che sia mai stato ringraziato tanto calorosamente dagli ebrei, per l’aiuto e la salvezza offerti ai loro fratelli in momenti di grave pericolo». Riconoscimenti che iniziano dopo l’elezione nel 1939 – «Una guida per la pace», titola «Palestine Post» – e dilagano alla fine del conflitto: la riconoscenza israelitica sommerge l’aristocratico Pontefice, come la stampa nazista lo aveva descritto «servo dell’Internazionale ebraica e massonica».
A conflitto ancora in corso, il 28 febbraio 1944, Isaac Herzog, gran rabbino di Gerusalemme, scrive al delegato apostolico in Turchia, Angelo Giuseppe Roncalli: «Il popolo d’Israele non dimenticherà mai i soccorsi apportati ai suoi sfortunati fratelli e sorelle da parte di Sua Santità e i suoi delegati, in uno dei momenti più tristi della nostra storia». Nel 1958 Golda Meir, ministro degli Esteri israeliano, nel messaggio inviato in Vaticano, scrive: «Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata in favore delle vittime».
Elio Toaff, rabbino capo di Roma, scampato grazie all’aiuto del sacerdote marchigiano Bernardino Piccinelli, rende omaggio: «Più di chiunque altro abbiamo avuto modo di beneficiare della grande e caritatevole bontà e della magnanimità del rimpianto Pontefice, durante gli anni della persecuzione e del terrore, quando ogni speranza sembrava morta per noi». Le critiche più feroci a «Il vicario» fioccano da esponenti ebraici. Il giurista americano Robert Kempner, accusatore dei nazisti al processo di Norimberga, ipotizza che lo scopo sia «distrarre l’attenzione dai problemi reali, come la cattura dei nazisti clandestini, per portarla su quelli artificiosi».
La «leggenda nera» su Pacelli ignora il coinvolgimento vaticano nel piano per rovesciare Hitler: alti ufficiali tedeschi nel novembre 1939 chiedono al Papa di intervenire su Londra per avere la garanzia che, caduto il dittatore, gli Alleati non vogliano smembrato la Germania. L’anticomunista Pacelli dà un indiretto «via libera» all’alleanza tra gli Stati Uniti capitalisti e la Russia stalinista in chiave antinazista. Nell’enciclica «Divini Redemptoris» (19 marzo 1937) il predecessore Pio XI condanna comunismo e bolscevismo ma non il popolo russo, che va aiutato contro il nazismo. Il cardinale segretario di Stato Pacelli e il cardinale arcivescovo di Monaco Michael von Faulhaber, acerrimo rivale del nazismo, sono i co-autori dell’enciclica di Pio XI «Mit brenneder sorge» che condanna il nazismo.
Nessuno nega i silenzi sulla Germania nazista. Pio XII ne è consapevole: Mons. Roncalli, nell’ottobre 1941 si sente chiedere dal Papa «se il silenzio sul nazismo non è giudicato male». Don Pirro Scavizzi, prete italiano che gira l’Europa a raccogliere notizie su profughi e perseguitati, nella primavera 1942 è invitato dal Papa: «Dica a tutti che, più volte, avevo pensato a fulminare con scomunica il nazismo, a denunciare al mondo civile la bestialità dello sterminio degli ebrei. Dopo molte lacrime e molte preghiere, ho giudicato che la mia protesta non solo non avrebbe giovato a nessuno, ma avrebbe suscitato le ire più feroci contro gli ebrei e moltiplicato gli atti di crudeltà perché sono indifesi. Forse, la mia protesta mi avrebbe procurato la lode del mondo civile, ma avrebbe procurato ai poveri ebrei una persecuzione anche più implacabile».
L’autocensura papale è l’opzione più ragionevole. Nel luglio 1942 i vescovi olandesi denunciano la persecuzione degli ebrei: i nazisti incrudeliscono la deportazione di cristiani e israeliti. Allora Pacelli brucia nella stufa gli appunti di un pronunciamento solenne contro il nazismo. Nel giugno 1943 al Collegio cardinalizio parla di sconforto «davanti a porte che nessuna chiave valeva ad aprire» e di timore che ogni mossa «renda più grave e insopportabile la situazione dei sofferenti».
Dietro le quinte continua l’azione di conventi, parrocchie, nunziature, Vaticano: salvare in ogni modo e con ogni sotterfugio le vittime dello sterminio. Le fonti ebraiche parlano di 7-800 mila individui salvati. Una cifra enorme in confronto alle omissioni, inazione e disinteresse degli organismi internazionali e degli Alleati che pressano il Vaticano per avere qualche dichiarazione ma poi respingono gli ebrei in fuga, come accade in Inghilterra e negli Stati Uniti.
I silenzi papali coprono l’intenzione di salvare quante più vite possibile. Riconosce Pinchas Lapide: «La prudenza e la circospezione del Pontefice salvarono più del 90 per cento della comunità ebraica». Pacelli il 2 giugno 1943 al Collegio cardinalizio parla di coloro che soffrono «per ragione della nazionalità o della stirpe, destinati talora a costrizioni sterminatrici»; condanna la dottrina razzistica che «rivendica determinati diritti per determinate stirpi». Nel radiomessaggio per il Natale 1942 deplora la sorte «di centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate a morte o ad un progressivo deperimento».