Giovanni XXIII, fra i suoi medici il torinese Achille Dogliotti

3 giugno 1963 – «La storia della morte di Giovanni XXIII prende avvio la sera del 27 ottobre 1962. A Roma sta per terminare l’annuale congresso dei chirurghi italiani. Uno tra i più autorevoli membri dell’assemblea, Pietro Valdoni, chiama in disparte tre colleghi, responsabili come lui di cliniche universitarie: Achille Dogliotti di Torino, Ettore Ruggieri di Napoli, Paride Stefanini di Roma…

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Papa Giovanni XXIII

«La storia della morte di Giovanni XXIII prende avvio la sera del 27 ottobre 1962. A Roma sta per terminare l’annuale congresso dei chirurghi italiani. Uno tra i più autorevoli membri dell’assemblea, Pietro Valdoni, chiama in disparte tre colleghi, responsabili come lui di cliniche universitarie: Achille Dogliotti di Torino, Ettore Ruggieri di Napoli, Paride Stefanini di Roma. Li informa di aver visitato nelle settimane precedenti Giovanni XXIII: il Papa ha un cancro allo stomaco. Ma Valdoni non vuole assumersi da solo la responsabilità di una qualsiasi decisione e chiede loro di partecipare ad una visita collegiale. Dogliotti, Ruggieri e Stefanini accettano di esaminare l’infermo e di discutere il caso».

Lo scrive Benny Lai, principe dei vaticanisti, nel libro «I segreti del Vaticano. Da Pio XII a Papa Wojtyla» pubblicato anni fa da Laterza, che rimane un classico e che non è mai stato smentito da nessuno. Papa Roncalli morì sessant’anni fa, nel vespro del 3 giugno 1963, che era lunedì di Pentecoste. Tra i medici curanti il luminare torinese Achille Dogliotti, che morirà tre anni dopo il 2 giugno 1966. Nel 1933 – informa Google – mette a punto la «procedura Dogliotti» sull’anestesia peridurale: «Fu tra i pionieri della cardiochirurgia in Italia, fondando un Centro di chirurgia cardiaca a Torino e contribuendo a perfezionare l’applicazione del cuore-polmone artificiale per la circolazione extracorporea. Fu fra i primi al mondo nel 1951 a utilizzare la tecnica dell’ipotermia controllata e di tecniche cardiochirurgiche originali. Diede importanti contributi anche alla trasfusione del sangue, all’anestesia, alla chirurgia addominale e alla cura dei tumori. Fu professore universitario dal 1938. Fu un insigne maestro e conquistò molta popolarità, non solo come uno dei protagonisti della nascente cardiochirurgia, ma anche per il suo fascino personale e le sue doti di umanità».

Il 28 ottobre 1963 i quattro medici sono puntuali all’appuntamento dato da Filippo Rocchi, direttore dei servizi sanitari e medico curante del Pontefice. Spiega Benny Lai: «Rocchi aspetta i quattro medici al volante della sua auto in piazza San Pietro. Non scende per salutarli; teme che qualcuno li noti e che la notizia divenga pubblica. Le due auto, si inoltrano velocemente in Vaticano. Li accoglie mons. Loris Francesco Capovilla. Li guida in un salottino e invita Rocchi a illustrare i particolari della malattia mentre lui avviserà Giovanni XXIII. Dopo alcuni minuti, Capovilla torna e annunzia che il Papa è pronto a riceverli. Giovanni XXIII li accoglie con un largo sorriso, chiede i loro nomi, dove risiedono, l’attività che svolgono». Papa Roncalli svela di appartenere a una famiglia contadina di bergamaschi longevi e che un fratelloe una sorella sono morti di tumore. Accenna ai suoi disturbi e risponde alle domande dei quattro chirurghi.

Dettagliata la cronaca di Benny Lai: «Dogliotti gli chiede se è disposto a farsi visitare. Il papa accetta senza mostrare sorpresa e fa passare gli ospiti nell’attigua stanza da letto. Il Papa si spoglia, aiutato dal cameriere veneto Guido Gusso. Sdraiato sul letto aspetta quietamente che, uno alla volta i chirurghi lo visitino. Appare come un povero vecchio indifeso. Tutto si svolge in silenzio. Poi scendono con Capovilla  nell’appartamento pontificio di rappresentanza ed entrano nella biblioteca privata. Comincia la discussione. Dogliotti si dichiara contrario all’idea di sottoporre il Papa a un intervento chirurgico perché difficilmente un tumore allo stomaco palpabile si riesce ad asportare. Stefanini invece ritiene che le buone condizioni del paziente consiglino un intervento radicale. Ruggieri non è contrario all’operazione, ma avverte che occorre valutarne i rischi. Valdoni sostiene che la parola ultima spetta al Papa, il quale va informato della sua infermità. Nessuno in Vaticano sospetta cosa ci sia dietro l’annuncio, apparso nella rubrica “Nostre informazioni” de “L’Osservatore Romano”,  che il papa ha ricevuto l’ufficio di presidenza della Società italiana di chirurgia».

Il 6 novembre i quattro medici si ritrovano con mons. Angelo Dell’Acqua, sostituto della Segreteria di Stato: «I risultati di ulteriori analisi sono ottimi. Non vi sono state alterazioni nei disturbi del Papa».

Passano quasi due mesi, occorre fare un ulteriore esame radiologico. Dogliotti – informa il vaticanista Lai – «prende una singolare iniziativa: senza avvertire i colleghi fa pervenire il suo parere negativo circa l’eventuale atto operatorio. Valdoni, Ruggieri e Stefanini avvertono che la malattia lasciata a sé stessa è certamente fatale mentre, in caso di successo dell’operazione, restano aperte possibilità di guarigione. La Segreteria di Stato decide di informare il Pontefice dopo l’8 dicembre, quando sarà  chiusa la prima sessione del Concilio Vaticano II. Il 29 novembre 1962 i quattro escono di scena.

Giovanni XXIII si spegnerà dopo una lunga agonia nel tardo pomeriggio del 3 giugno 1963. Racconta mons. Capovilla: «Dal vespero del 31 maggio il Papa iniziò l’agonia durata tre giorni. Momenti di lucidità si alternavano ad assopimenti. All’irruenza del morbo si opponevano forze fisiche ancor valide. Frattanto la stanza si trasformò in sacello per l’ininterrotta effusione di preghiera». Al termine della «Missa pro Pontifice infirmo» celebrata (in latino) sul sagrato di San Pietro dal cardinale Luigi Traglia, pro-vicario di Roma, un minuto dopo l’«Ite, Missa est», alle 19,49 Papa Giovanni spira come un patriarca, amato come un padre. La «Radio Vaticana» annuncia: «Il Sommo Pontefice Giovanni XXIII è morto. Il Papa della bontà è spirato religiosamente e serenamente, dopo aver ricevuto i Sacramenti nel suo appartamento del Palazzo Apostolico, alle ore 19.49 di oggi 3 giugno 1963, assistito dai collaboratori, dai congiunti, dai medici».

Per la morte, al «Palazzo di vetro» di New York la bandiera dell’Onu è abbassata a mezz’asta in segno di lutto universale. Quando, nel maggio 1965, viene pubblicata la traduzione in inglese del «Giornale dell’anima», la famosa filosofa ebrea-tedesca, naturalizzata statunitense, Hannah Arendt scrive una recensione sulla «The New York review of books» con un titolo fantastico: «Un cristiano sul trono di Pietro».

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