“Grandezza e miseria dell’uomo”, Papa Francesco su Pascal

400 anni dalla nascita – «Conosciamo la realtà non solo con la ragione, ma anche con il cuore». È uno dei «Pensieri» più celebri di Blaise Pascal (1623-1662) che Papa Francesco cita nella lettera apostolica «Sublimitas et miseria hominis» nel quarto centenario della nascita (1663-19 giugno-2023) del matematico e fisico, filosofo e teologo francese.

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«Conosciamo la realtà non solo con la ragione, ma anche con il cuore». È uno dei «Pensieri» più celebri di Blaise Pascal (1623-1662) che Papa Francesco cita nella lettera apostolica «Sublimitas et miseria hominis» nel quarto centenario della nascita (1663-19 giugno-2023) del matematico e fisico, filosofo e teologo francese. Ci voleva un Papa gesuita per portare all’onore nel mondo cattolico un pensatore come Blaise Pascal, del quale nessun Papa si è occupato, se non per fuggevoli citazioni.

«L’influenza di Pascal fu indiscutibilmente immensa: da Giacomo Leopardi ad Arthur Schopenhauer, da Alessandro Manzoni a Martin Heidegger: pochi pensatori e i filosofi dal XVII secolo a oggi non si sono confrontati con la sua antropologia» afferma il cardinale portoghese José Tolentino de Mendonça, prefetto del dicastero per la Cultura e l’Educazione.

«Le verità divine, come il fatto che il Dio che ci ha fatti è amore, è Padre, Figlio e Spirito Santo, si è incarnato in Gesù Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza, non sono dimostrabili con la ragione, ma possono essere conosciute con la certezza della fede, e passano poi dal cuore spirituale alla mente razionale, che le riconosce come vere e può esporle» spiega Francesco parafrasando il pensiero del filosofo e il suo invito a unire alla ragionevolezza della fede le ragioni del cuore con l’«intelligenza intuitiva». Pascal «non si è mai rassegnato al fatto che alcuni suoi fratelli in umanità non solo non conoscono Gesù Cristo, ma disdegnano per pigrizia, o per le loro passioni, di prendere sul serio il Vangelo. È in Gesù Cristo che si gioca la vita» e per Pascal «la fede cristiana non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla». Spiega il Pontefice: «Prima o poi, tutti andremo per quella porta. La vera luce che illumina il mistero della morte viene dalla risurrezione di Cristo. Solo la grazia di Dio permette al cuore dell’uomo di accedere alla conoscenza divina, alla carità: Pascal è profondamente attaccato alla ragionevolezza della fede in Dio, non solo perché la mente non può essere costretta a credere ciò che sa essere falso, ma perché se si urtano i principi della ragione, la nostra religione sarà assurda e ridicola». Sulla base del ragionamento del pensatore francese, il Vescovo di Roma aggiunge: «Se la fede è ragionevole, è anche un dono di Dio e non potrebbe imporsi. È impossibile credere se Dio non inclina il cuore. Se la fede è di un ordine superiore alla ragione, ciò non significa che vi si opponga, ma la supera infinitamente». Leggere la sua opera «è mettersi alla scuola di un cristiano di razionalità eccezionale, che ha saputo rendere conto di un ordine stabilito da Dio al di sopra della ragione».

Senza discernimento possiamo trasformarci in burattini. Non conosciamo la vita, la morte, se non tramite Gesù Cristo» detta la lettera apostolica. Secondo lui «fuori di Gesù Cristo non sappiamo cos’è né la nostra vita né la nostra morte né Dio né noi. Se Pascal parla dell’uomo e di Dio è perché è arrivato alla certezza che, non solo non conosciamo Dio se non tramite Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi se non tramite Gesù Cristo. Dobbiamo tenerci lontani dalla tentazione di brandire la nostra fede come una certezza incontestabile che si impone a tutti. Perciò propongo a tutti coloro che vogliono ricercare la verità di mettersi in ascolto di Pascal, uomo dall’intelligenza prodigiosa». Francesco mette in guardia da «false dottrine, superstizioni, libertinaggio». «Il dramma è che talvolta vediamo male e scegliamo male. Possiamo assaporare la felicità del Vangelo solo se lo Spirito Santo ci pervade e ci libera dalla debolezza dell’egoismo, della pigrizia, dell’orgoglio. Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento». Per il transalpino la religione cristiana «è venerabile perché ha conosciuto bene l’uomo; è amabile perché promette il vero bene». Questo – conclude il Pontefice – «ci aiuta ad avanzare attraverso le oscurità e le disgrazie del mondo».

Da una prima sommaria ricerca risulta che solo due Papi lo hanno citato. Paolo VI il 26 luglio 1970, esortando a fare buone vacanze, scoraggia a evitare «quello che Pascal chiamerebbe “divertissement”, non nel senso di divertimento sano e riposante, ma nel senso di diversione, di dispersione dai valori della vita». Benedetto XVI l’8 aprile 2009 afferma: «Come giustamente scrive Pascal, “Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire durante questo tempo”». Infine il teologo Romano Guardini, naturalizzato tedesco nel 1935 gli dedica un saggio.

Per il cardinale José Tolentino de Mendonça, Pascal «è un modello di riferimento per affrontare le complessità dell’uomo moderno». L’opera più conosciuta è «Les pensées» pubblicata nel 1670, capolavoro del pensiero occidentale. Per esempio «L’uomo non è che un giunco, il più debole della natura, ma un “roseau pensant”, un giunco pensante». Un altro è: «Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce». Il Papa – aggiunge il porporato – «da sempre innamorato dei “Pensieri”, li conosce e cita a memoria, ha deciso di onorarlo». La lettera apostolica sottolinea alcuni aspetti meno conosciuti, «la squisita carità verso i poveri e gli ammalati, i più deboli e i sofferenti». Pascal non separò mai la fede in Dio dalle opere in favore dei fratelli. Profondamente influenzato da Sant’Agostino, ritiene che «la consapevolezza e il riconoscimento del primato della grazia, fu anzitutto di ordine personale, interiore, intimistico e mistico. Da vero realista, seppe confrontarsi con la miseria e la grandezza dell’umano. Le risposte a questa miseria reale e questa sete di grandezza dell’uomo doveva trovarsi in una rivelazione individuale»: nella notte 23-24 novembre 1654 vive un’esperienza ascetica.

Pier Giuseppe Accornero

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