Le sue foto hanno segnato la storia della musica, per sempre. Dalla copertina di un album live di Bob Dylan, all’intimità della camera da letto di De Andrè, Guido Harari è stato capace di rappresentare al meglio la vera essenza di tutti gli artisti con cui ha collaborato, nel corso di quasi 50 anni di carriera. Sicuramente tanto intensa quanto appagante.
Il fotografo ha raggiunto la redazione del Salice (nella foto) nelle scorse settimane per presentare i suoi lavori e parlarci della strada che ha percorso per raggiungere la sua attuale grandezza.
Guido ha mostrato come agli albori dell’arte fotografica, utilizzata per immortalare il soggetto nella sua spontaneità e non creare solamente un prodotto da vendere, si cercava sinceramente di conoscere l’artista. Si era alla ricerca della foto perfetta, non solo dal punto di vista estetico, che talvolta passava in secondo piano, ma di quello umano. Infatti ha mostrato il famoso scatto scandaloso di Elvis Presley coinvolto in un momento di intimità con una fan.
O la malinconia di Janis Joplin seduta nel suo stato più vulnerabile sul divano, dietro alle quinte di uno show. La foto venne promossa da lei stessa, nonostante l’atmosfera patetica delle circostanze. La censura spesso non era un’opzione; soprattutto nel selvaggio rock ‘n’ roll dell’epoca, incentrato sulla libertà di essere se stessi in un mondo che voleva uniformare tutti.
Dalla seconda metà del ‘900 fino a qualche decennio fa era l’artista ad avere l’ultima parola sulla scelta della creazione della sua immagine. Come dimostra la copertina dell’album di Bob Dylan, considerata uno scarto da Guido, ma che al soggetto esprimeva tutto ciò che stava cercando.
Per quanto invece riguarda le foto scattate ai musicisti durante i concerti, ha evidenziato come inizialmente ci si limitava a ritrarre le rockstar frontalmente e solo col tempo si è poi cominciato a salire sul palco accanto ai cantanti per trovare inquadrature più interessanti e vicine. Tra le sue esperienze ci ha raccontato della volta in cui, al concerto del 1984 all’arena di Verona, approfittando della temporanea assenza del batterista, si infilò nel mezzo dello strumento per ottenere la foto che poi venne scelta da Bob come retro del suo album. In più, da quella prospettiva si potevano cogliere dettagli altrimenti impossibili da notare, come oggetti personali dei musicisti, ombre e luci diverse.
Nel corso degli anni Guido però non si è limitato al mondo del rock: ha anche collaborato con ballerini, per diverse riviste (musica, teatro, moda) e nel campo pubblicitario. Creando così uno stile eterogeneo ed originale derivato dal suo essere autodidatta, dalla conoscenza di tecniche diverse, dal contatto con personalità di ogni tipo e con quasi ogni forma d’arte principale.
Ha inoltre lavorato a più libri, scoprendo di poter «fare foto» anche senza la macchina fotografica, utilizzando le parole. Ha poi raccontato le vite di Mia Martini e Fabrizio De Andrè, con cui ha saputo stringere un legame di fiducia e complicità: nonostante il carattere scostante del cantautore, Harari è riuscito ad entrare in confidenza scoprendo e facendo conoscere al mondo aspetti che rendono l’ascolto delle sue composizioni ancora più autentica e personale.
Paola AMORUSO