È il 27 giugno sono passati due giorni dalla sua uccisione ad Haiti, sulla Delmas 19 di Port au Prince, ma i suoi bambini con gli animatori non hanno voluto farle mancare gli auguri per il compleanno. Riuniti di fronte a un cartellone cantano «Happy birthday to you», fissano commossi la fotografia di suor Luisa Dell’Orto, che avrebbe compiuto 65 anni. Il video arriva in Italia, agli amici e ai parenti, arriva a Torino, dove la congregazione di suor Luisa, le Piccole Sorelle del Vangelo, fondata nel 1963 da padre René Voillaume, che si ispira alla spiritualità di Charles de Foucauld, ha una piccola comunità di tre religiose nel quartiere di Barriera di Milano, dove collaborano con la parrocchia Maria Speranza Nostra. Arriva via WhatsApp sul telefono di suor Anna Mandrini, anche lei missionaria ad Haiti, prima dell’arrivo di suor Luisa nel 2002, ma che «conoscevo bene», racconta, «avevamo fatto un progetto insieme e le nostre famiglie sono originarie della stessa zona».
Si erano viste lo scorso anno. «Era rientrata in Italia per un periodo, ma nonostante la situazione ad Haiti era voluta tornare dai suoi bambini, alla sua missione. Sapeva che era pericoloso, sapeva il rischio che correva, ma non voleva abbandonare i ragazzi di Kay Chal, Casa Carlo. Anche negli ultimi mesi, quando ci sentivamo e descriveva la situazione, parlava dell’eventualità dei rapimenti: i missionari per le bande criminali, se sono bianchi, se arrivano dall’Europa, sono considerati una potenziale fonte di denaro. E così suor Luisa è stata uccisa per strada, vittima di un’aggressione armata, non sappiamo se per un rapimento o una rapina…».
Vittima di una situazione di sempre maggiore instabilità. «Purtroppo», prosegue suor Anna, «negli anni non abbiamo visto miglioramenti, anzi, cresce la violenza, aumentano le bande e questo perché nel Paese non c’è interesse alla stabilità: per le organizzazioni criminali e per chi fa affari con loro, per i trafficanti di droga, è conveniente così». Proprio un anno fa, tra il 6 e il 7 luglio, un gruppo armato uccideva il presidente Jovenale Moise e dal 20 luglio 2021 a capo del Paese c’è un presidente ad interim, Ariel Henry, che già lo scorso gennaio è sfuggito ad un attentato: membri di una banda armata avevano attaccato l’auto del Presidente a Gonaives, al termine di una messa in cattedrale, innescata una sparatoria ne era uscito illeso grazie alla scorta.
Non era scortata suor Luisa, che alla cultura della violenza opponeva quella della formazione dei piccoli a Casa Carlo, in particolare dei reste-avec, che ad Haiti sarebbero quasi 400 mila. «Si tratta di bambini», prosegue suor Anna, «che i genitori, spesso delle campagne, affidano a gente della capitale o dei grandi centri perché non possono mantenerli. Bambini, molti anche orfani, che finiscono in condizioni di schiavitù, costretti a lavorare, che non vanno a scuola, che diventano merce, per loro suor Luisa ha dato la vita». Bambini di strada che conoscono sin dai primi anni di vita la violenza e che poi, se lasciati a loro stessi, la useranno a loro volta.
Quando nel 2002 la religiosa arrivò ad Haiti, Casa Carlo esisteva già, ma fu lei ad occuparsi della sua ricostruzione dopo il terremoto del 2010 e a continuare il servizio di accoglienza, formazione e aiuto ai bambini di strada: «Ora speriamo che con la collaborazione dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle dell’Incarnazione che già collaboravano con suor Luisa, l’opera di Casa Carlo possa continuare…».
«Luisa», ricordano le religiose della congregazione, «in questi ultimi anni viveva sola, tutta dedita al servizio dei giovani e dei bambini del quartiere; offriva anche le sue competenze insegnando la Storia della filosofia ai seminaristi della Chiesa haitiana. Era cosciente del rischio che correva, ma aveva sempre desiderato rimanere accanto alla gente per condividere le loro paure, i loro dolori, per cercare di incoraggiarli a continuare a lottare per un futuro migliore». Ed è già un segnale – rilevano, rilanciando sui social un altro video arrivato da Haiti – il fatto che il 30 giugno proprio là dove è stata uccisa si sia tenuta una marcia con giovani che nel nome e nel ricordo di suor Luisa hanno espresso il loro «no» alla violenza.
«La luce della vita rimane accesa in noi», ha spiegato Jouvenel, un giovane di Kay Chal, «e per simboleggiare questa affermazione al termine della marcia in ricordo di Luisa e per la pace abbiamo acceso delle candele vicino alla croce piantata nel luogo della sua morte». «È un primo germoglio di vita», commentano ancora le religiose, «il fatto che tanti giovani si mettano in marcia per la pace e rifiutino di entrare nella spirale di odio e vendetta». E poi aggiunge suor Anna: «A testimonianza del bene che la gente voleva a suor Luisa e di quanto fosse apprezzato il suo servizio, tantissima gente ha voluto partecipare alla manifestazione: animatori, persone comuni, polizia. In tanti hanno riferito: ‘Non è facile accettare per noi come haitiani che una persona con tanta forza e coraggio, che ha dato se stessa per il Paese, sia stata uccisa da criminali che non capiscono cosa ha fatto per noi’. Tanti provano vergogna per questo assassinio, per non averla protetta».
E alle voci di dolore e di denuncia della marcia, il 4 luglio si è aggiunta una nota della la Conferenza dei religiosi di Haiti: «Questo atto efferato ci ha fatto precipitare nella confusione, nell’indignazione. Preoccupati per la ‘macchina assassina che porta via tutto’, assistiamo impotenti a un letargo che paralizza un intero popolo: quando finirà questa discesa all’inferno? Chi riuscirà a fermare questa spirale di violenza? Ancora una volta, nonostante l’inerzia delle nostre autorità, noi, religiosi e religiose, uniamo la nostra voce a quella della Chiesa e di tutte le persone di buona volontà per dire no a questa violenza inutile e senza volto che sta distruggendo il nostro Paese».
L’organismo si appella inoltre alle autorità competenti, affinché svolgano una «seria indagine per stabilire le circostanze e il motivo che hanno portato a questa barbarie, affinché gli autori del crimine siano arrestati e assicurati alla giustizia». Conclude la nota: «Suor Luisa ci ha lasciato in eredità una testimonianza di vita immensamente più forte del crimine che l’ha uccisa. Il suo sangue, ferocemente versato, rimarrà un seme di riconciliazione e di pace per la nuova Haiti sognata».