«I nostri figli sono partiti dalla Tunisia su barconi straripanti. Volevano raggiungere l’Europa. Hanno fatto naufragio e ne abbiamo perso le tracce. Alcuni siamo certi siano arrivati in Italia: li abbiamo visti in televisione, sui telegiornali nazionali, abbiamo ricevuto qualche telefonata. Poi più nulla. Nessuna notizia. Da allora viviamo nell’angoscia di non sapere quale sia stato il loro destino».
È questa la storia che raccogliamo ad ogni incontro dalle madri dei nuovi desaparecidos del Mediterraneo, in fuga dalla guerra ma soprattutto migranti economici. Siamo a Tunisi, dove si è fermata la prima tappa della CarovaneMigranti, coordinamento di attivisti per la difesa dei diritti dei migranti fondato in Italia nel 2014 da Gianfranco Crua. Lo scopo è favorire la creazione di una rete di collaborazione internazionale che permetta lo scambio di esperienze tra America centrale, Italia e Tunisia. Il coordinamento si ispira al Movimiento Migrante Mesoamericano nato quattordici anni fa dalla volontà di Marta Sanchez Soler, ospite quest’anno della Carovana in Tunisia. L’attivista messicana di origini spagnole lavora da sempre per i diritti dei migranti e per mobilitare le coscienze sul fenomeno dei desaparecidos che ogni anno rimangono vittime della tratta umana tra Messico e Usa. La maggior parte di loro proviene da Nicaragua, Salvador, Guatemala e Honduras.
La Carovana – che ha visto anche la partecipazione di Imed Soltani, attivo in territorio tunisino con l’associazione di madri La Terre pour Tous, e di Guadalupe Perez Rodriguez, membro del collettivo Hijos e di Huellas de la memoria – ha fatto tappa nei punti caldi della migrazione tunisina e nord africana: Tunisi, Raf Raf, Bizerte, Bir el Hafey, Zarzis, Sfax, Karkna. Oltre 150 le madri che hanno preso parte agli incontri, portando con sé le fotografie e le storie dei propri figli. «Per tre anni CarovaneMigranti ha attraversato lo Stivale lungo i percorsi della migrazione, da Lampedusa alle Alpi», ha spiegato il fondatore e coordinatore Crua. «Quest’anno ci siamo resi conto che la Carovana sarebbe stata incompleta senza la testimonianza diretta di chi vive quotidianamente il dramma umano dietro alle morti e alla scomparsa di chi parte. Siamo venuti in Tunisia per incontrare i famigliari delle vittime e dare voce a chi è rimasto inascoltato».
Le conseguenze della Primavera araba sull’economia tunisina sono state disastrose. Dopo Ben Alì non c’è più stata stabilità. Il welfare è collassato e nel 2017 650mila persone sono rimaste disoccupate. Oggi a far paura non è la guerra, ma la povertà, la mancanza di lavoro e di prospettive. La gente fugge perché anche dove c’è pace, non si può vivere dignitosamente. Oltre 580mila sono state le partenze dalle coste nordafricane dal 2016 ad oggi. Almeno 9mila sono i morti confermati. Incalcolabili quelli che sono scomparsi tra i flutti del Mare nostrum.
La tragedia che si sta consumando sulle coste del Mediterraneo non si può ridurre a un freddo numero. «La storia purtroppo si ripete», sottolinea Crua. «Troppo facilmente dimentichiamo le persone dietro al dramma. Le madri dei desaparecidos del Mediterraneo invece ci mostrano i loro volti e ci offrono i loro racconti. Viviamo in un’epoca storica fatta di politiche internazionali che mirano a difendere le frontiere a tutti i costi. Ci si dimentica troppo spesso di aiutare il prossimo per paura o ancora peggio per indifferenza». La Carovana torna a dare valore a ciò che realmente ne ha? «Sì», risponde sicuro Crua, «perché poniamo l’attenzione sulle storie degli uomini e delle donne che muoiono inseguendo il sogno di una vita migliore. Di fronte alle fotografie di quei ragazzi scomparsi, tutta l’Europa è responsabile».
I racconti delle madri tunisine sono rotti dal pianto. Lo stesso per cui ha dovuto trovare consolazione Marta Sanchez Soler, quando raccoglieva le testimonianze sui figli e sui mariti delle donne messicane spariti nel nulla. «Anche loro erano disperate come lo sono ora le madri tunisine. Due elementi le accomunano: l’incertezza che consuma le famiglie e non permette di metabolizzare la perdita, il pianto come sfogo di un dolore che non trova risposte». In Tunisia Soler si è impegnata con la Carovana per unire tutte le donne che chiedono al Governo la verità sul destino dei propri figli.
Una delegazione della Carovana ha incontrato il ministro tunisino degli Affari sociali Mohamad Trabelsi, a capo della Commissione d’inchiesta partita nel gennaio del 2018 con il compito di far luce sulle sorti delle migliaia di migranti scomparsi dal 2011 ad oggi. «Inizialmente è emersa una parziale apertura al dialogo», spiega Crua. «Poi, però, c’è stato un deciso passo indietro: l’instabilità politica del Paese ha purtroppo pregiudicato il rapporto di collaborazione con CarovaneMigranti. Trabelsi ha lasciato l’incarico e l’indagine preliminare in corso si è interrotta senza risultati».
«Abbiamo però già pianificato un secondo progetto, al quale stiamo lavorando da maggio e che auspichiamo riesca a vedere la luce a luglio», spiega Crua. «L’intenzione è di costruire un registro degli scomparsi con dati anagrafici, luoghi di partenza e tutte le informazioni forniteci dai famigliari. Esistono già registri simili compilati da organizzazioni governative e da Ong, prevalentemente per utilizzi interni. Noi invece pensiamo ad un documento realizzato dalle famiglie per le famiglie: questo aiuterà le madri ad esorcizzare il dolore e a trasformarlo in una testimonianza tangibile e concreta. Vogliamo stimolarle a diventare attiviste nella loro ricerca di verità».