«In questo Anno giubilare vi auguro di approfondire, alla scuola del vostro fondatore San Leonardo Murialdo, l’arte di cogliere le esigenze dei tempi e di provvedervi con la creatività dello Spirito Santo. Vi raccomando i più giovani, ì quali hanno bisogno di testimoni credibili. Nel vostro ministero lasciatevi guidare dall’esempio mite e concreto di San Giuseppe; come lui non smettete mai di sognare le sorprendenti meraviglie di Dio; come lui, che fece della propria vita il “segno” di una paternità più alta, quella del Padre celeste, accogliete la chiamata a essere padri dediti alla gioventù». Così Papa Francesco alla Famiglia Murialdina nel 150° di fondazione della Congregazione di San Giuseppe.
Il superiore generale, il bergamasco padre Tullio Locatelli, asserisce: «La storia continua e tocca a noi viverla secondo una fedeltà creativa». Oggi i Giuseppini sono 463, «piccola e ben unita famiglia», come auspicava Murialdo. Sono presenti in 16 Nazioni (1873); 1915 Brasile; 1922 Ecuador; 1936 Argentina; 1947 Cile; 1949 Stati Uniti; 1961 Spagna; 1979 Sierra Leone; 1983 Colombia; 1984 Guinea Bissau; 1990 Messico; 1994 Albania; 1998 Romania e India; 1999 Ghana; 2014 Nigeria. I Giuseppini hanno aperto 240 opere. In 150 anni i Giuseppini sono stati 2.740 e 12 i superiori generali: Leonardo Murialdo 1873-00; Giulio Costantino 1900-12; Eugenio Reffo 1912-25; Girolamo Apolloni 1925-31; Luigi Casaril 1931-58; Antonio Boschetti 1958-64; Vincenzo Minciacchi 1964-76; Girolamo Zanconato 1976-82; Paolo Mietto 1982-94; Luigi Pierini 1994-06; Mario Aldegani 2006-18; Tullio Locatelli 2018-… Don Eugenio Reffo, oggi venerabile, giornalista di vaglia, direttore de «La Voce dell’Operaio», «nonno» de «La Voce e il Tempo», fu superiore generale 1912-19 e superiore generale ad honorem e riconfermato nel 1925. I Capitoli generali fino al 2000 si sono svolti in Italia; nel 2006 a Fazenda Souza in Brasile; nel 2012 Buenos Aires (Argentina); nel 2018 a Quito (Ecuador).
Francesco sottolinea: «Tanti santi sociali nella Torino dei massoni e dei mangiapreti». Murialdo non è molto noto, nonostante la grandezza umana e spirituale: è il tipico caso in cui la popolarità non è proporzionata ai meriti. Si dedica alla formazione del laicato, come Giuseppe Cafasso al clero e Giovanni Bosco ai giovani. Spicca per intelligenza e bontà, apertura al nuovo e intuizioni profetiche, coraggio, tenacia e umiltà, per la vastissima gamma di problemi. Nella Torino dell’Ottocento, ormai città industriale, opera nell’educazione morale, religiosa, professionale di operai, apprendisti e giovani. Pioniere della religiosità popolare, promotore dell’apostolato sociale, difensore dei lavoratori, animatore della stampa cattolica e fondatore. Unisce azione e contemplazione, fedeltà ai doveri e genialità di iniziative, forza nelle difficoltà e serenità di spirito.
Il 19 marzo 1873 fonda la «Pia Società Torinese di San Giuseppe per la cura e la formazione dei giovani operai». Aggiunge Francesco: «Dobbiamo studiare perché in quel momento, proprio nel centro della massoneria e dei mangiapreti, tanti santi: ha raccolto la sfida e si è messo al lavoro. Lasciamoci amare da Dio per essere testimoni credibili del suo amore; lasciamo che sia il suo amore a guidare i nostri affetti, pensieri e azioni». Murialdo non fu indifferente alla povertà morale, culturale ed economica. Francesco ne evidenzia «la sensibilità ai bisogni degli uomini e delle donne, la capacità di accorgersi dei disagi intorno a sé, l’essere portavoce della parola profetica della Chiesa in un mondo dominato da interessi economici e di potere, dando voce ai più emarginati». Un torinese doc, come Michele Rua e Pier Giorgio Frassati, Murialdo è «da imitare da parte di laici, religiosi e religiose. Come senza fede non si piace a Dio, così senza dolcezza non si piace al prossimo».
Nella festa di San Giuseppe di 150 anni fa fonda la Congregazione, Nell’800 la devozione allo sposo di Maria e «padre putativo» di Gesù era molto estesa. Un altro subalpino, san Giuseppe Marello, fonda un’altra Congregazione giuseppina. Il Papa ricorda: «Dio ha affidato a San Giuseppe i suoi tesori più preziosi, Gesù e Maria». Ha oltre 150 anni (8 dicembre 1870) il decreto «Quemadmodum Deus» con il quale Pio IX, «mosso dalle gravi e luttuose circostanze in cui versava una Chiesa insidiata dall’ostilità», dichiarò San Giuseppe «patrono della Chiesa universale». Nel Concilio Vaticano I (1869-70) tra le diversi richieste, due riguardano San Giuseppe. Una, firmata da 153 vescovi, chiede che il suo culto assuma un posto più elevato nella liturgia; l’altra, sottoscritta da 43 superiori di Istituti religiosi, sollecita la proclamazione di San Giuseppe a «patrono della Chiesa universale». Nel luglio 1870 il Concilio Vaticano I è sospeso per gli eventi politico-militari: la guerra franco-prussiana e la «breccia di Porta Pia» attraverso la quale si scaraventano i Bersaglieri che tolgono Roma al Papa e la consegnano ai Savoia che ne fanno la capitale d’Italia.
La poderosa (oltre 500 pagine) «Storia della Congregazione di San Giuseppe (Giuseppini del Murialdo) dal 1873 al 2006» si deve all’appassionata e competente indagine di padre Giovenale Dotta, nato nel 1956 a Isola di Benevagienna (provincia di Cuneo, diocesi di Mondovì). Della fondazione – avverte – «si parlava anche nel terzo volume della biografia su Leonardo Murialdo». La «Storia», appena pubblicata dalla Libreria Editrice Murialdo riprende le vicende dei primi anni, dal 1867 – con l’istituzione della «Confraternita di San Giuseppe» – al 2006. L’autore sceglie (giustamente) di non entrare negli ultimi due decenni, in modo da assicurare alla trattazione «un certo distacco temporale che può facilitare la “decantazione” e un maggior equilibrio nel giudizio storico». Sulla Congregazione ritorna in mente quello che asseriva il fondatore Murialdo, citato spesso dal cardinale Michele Pellegrino, l’arcivescovo della canonizzazione nel 1970: «Siamo gli artigiani di Dio: operiamo a suo servizio, a quello della Chiesa e della società. Siamo gli agricoltori del Signore: seminiamo a larghe mani opere nuove secondo i segni di tempi e i nuovi bisogni delle anime, con ardimento di fede, di carità e di speranza. Per la messe e la mietitura confidiamo nella Provvidenza, nella buona causa e nell’avvenire».