Per l’Amazzonia, papa Francesco non ha ricette, ma «sogni». Tutt’altro che astratti ragionamenti per chi si pone nell’ottica biblica. Nell’Antico e nel Nuovo Testamento, il sogno è il luogo privilegiato in cui Dio manifesta la propria volontà. Querida Amazonia – esortazione post-sinodale appena diffusa – è, oltretutto, uno di quei sogni di un anziano – anagraficamente Bergoglio lo è – da cui scaturiscono le «visioni» dei giovani, come dice un brano del profeta Gioele caro al Pontefice. Perché è un sogno palpitante. Una confessione d’amore. Per l’Amazzonia, l’umanità e la Chiesa tutta. È questo fuoco – «non quello appiccato da interessi che distruggono», che «divampa quando si vogliono portare avanti solo le proprie idee, fare il proprio gruppo, bruciare le diversità per omologare tutti e tutto», bensì quello che «attira e raccoglie in unità. Si alimenta con la condivisione, non coi guadagni», aveva detto nella Messa di apertura dell’Assemblea – che Francesco vuole condividere con ogni donna e uomo di buona volontà.
«Un poema che piange per i crimini e le ingiustizie e che prova meraviglia contemplando la bellezza di queste giungle e dei suoi abitanti», ha detto David Martínez de Aguirre Guinea, segretario speciale del Sinodo sull’Amazzonia e Vescovo di Puerto Maldonado vicariato peruviano dove l’Assemblea è stata inaugurata, il 19 gennaio 2018.
Il testo – articolato in 111 punti – ha uno «sguardo contemplativo». L’unica prospettiva che ci consente, in modo autentico, di «piangere per l’Amazzonia», «gridare con essa di fronte al Signore», di accostarci a questo «mistero prezioso che ci supera». Lo sguardo di Dorothy Stang, la religiosa di Nostra Signora di Namur, nell’anniversario del cui omicidio in Brasile, l’Esortazione è stata pubblicata. Frutto di una conversione interiore, la «metanoia» che rende possibile avviare nuovi cammini di evangelizzazione, annunciare la Buona Notizia spogliata della propria cultura di appartenenza, dialogare con la spiritualità dei popoli indigeni, camminare al loro fianco, anche a costo di scontrarsi con il potere.
Alla luce di questa ermeneutica profondamente poetica e metaforica, si comprendono in tutta la loro forza profetica i quattro sogni – sociale, culturale, ecologico e pastorale – di Bergoglio.
Se il Sinodo è il ‘figlio’ della Laudato si’, Querida Amazonia ne è la ‘figlia’. Essa riflette l’intero cammino, iniziato a Puerto Maldonado e proseguito con la cui fase preparatoria che, grazie alla preziosa e decisiva collaborazione della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), ha visto la partecipazione di 87mile persone. Tutto questo lavoro è confluito nell’Instrumentum laboris, testo base per la discussione dell’Assemblea, cominciata a Roma il 6 ottobre e conclusa tre settimane dopo con la consegna del Documento finale al Papa. Querida Amazonia esprime «le risonanze che ha provocato in me questo percorso di dialogo e di discernimento», scrive Francesco.
Vaticanisti, teologici, commentatori di vario orientamento, più o meno onesti e informati, hanno profuso fiumi di inchiostro – reale o digitale – per analizzare il testo. Pochi, però, si sono preoccupati di vedere come i popoli dell’Amazzonia lo abbiano recepito, che cosa significhi per loro, che cosa rappresenti. La loro voce può aiutare nella comprensione.
«La nostra sofferenza è stata ascoltata. Il nostro dolore traspare in ogni parola di Querida Amazonia. Sono felice di poter considerare Papa Francesco un fratello mio e di tutto il popolo Arakbut», dice Yesica Patiachi. La giovane, 33 anni, è stata una dei sedici rappresentanti indigeni a partecipare come uditrice al Sinodo di ottobre. «Sono molto felice. Non poteva esserci coronamento più bello di tutto il lavoro fatto in questi anni. Nel Sinodo, noi rappresentanti indigeni avevamo chiesto al Papa di essere nostro alleato nella lotta quotidiana per la difesa della vita. Con questa Esortazione lo ha fatto in modo inequivocabile. È un momento storico», afferma Yesica. E prosegue: «È l’unico leader mondiale ad aver davvero compreso che in Amazzonia si gioca una partita cruciale per l’umanità. Da una parte c’è un sistema economico-politico predatorio e vorace che considera la regione come dispensa di risorse da saccheggiare. E, nel farlo, semina morte. Dall’altra, ci sono donne e uomini che rivendicano il diritto di vivere con dignità. ‘Il tema è promuovere l’Amazzonia; ciò però non significa colonizzarla culturalmente, bensì fare in modo che essa tragga il meglio di sé’, scrive il Papa: non poteva essere più chiaro».
L’incitamento a «farsi carico delle radici», contenuto nel paragrafo 33 dell’Esortazione, è anche ciò che maggiormente ha colpito Delio Siticonatzi, 28enne peruviano del popolo Ashaninka, uditore al Sinodo, designato nel Consiglio post-sinodale. Forse perché «farsi carico delle radici» non è stato facile per Delio. «Mia nonna è nata schiava. Certo, formalmente la schiavitù era illegale, ma questo non ha impedito che la sua famiglia fosse venduta a un latifondista. Quando ero bambino e adolescente ho vissuto sulla mia pelle la crudeltà della discriminazione. Crescendo, dunque, ho desiderato con forza smettere di essere indigeno per sentirmi accettato. Volevo essere come gli altri. Ho dovuto compiere un lungo percorso per imparare a vivere la mia ‘differenza’ come una ricchezza», racconta. «Per questo ritengo molto importante l’appello del Papa ai giovani. Siamo noi i primi custodi della ricchezza amazzonica». Delio dice anche di essere rimasto stupito dalla «rapidità» di Francesco nel scrivere l’Esortazione. «Ci ha messo qualche mese, incredibile. Certo, nel discorso conclusivo l’aveva detto. Ma non pensavo riuscisse, con tutto ciò che ha da fare. Invece, la sua rapidità dimostra il profondo interesse del Papa per l’Amazzonia. Gli stiamo a cuore. Ora tocca a noi, a me in primis, portare il suo affetto nei villaggi più remoti, dove si sentono soli e dimenticati. Per loro, Querida Amazonia sarà un vero balsamo di speranza».