Nella Lettera pastorale Quello che conta davvero, sulla base del dialogo svolto durante l’anno passato, ho provato a offrire alcune indicazioni di massima su cui camminare in questo e nei prossimi anni, al fine di ridisegnare il nostro modo di essere Chiesa a Torino e a Susa: in modo diversificato e con tempi differenziati, ovviamente, a seconda delle circostanze, delle comunità e delle persone concrete, a cominciare proprio dai preti e dai diaconi.
Come ho detto nell’incontro del 9 giugno a Torino e del 30 giugno a Susa e come ho inteso ribadire nella stessa Lettera, uno dei criteri di fondo è chiarire la stretta correlazione tra presidenza dell’Eucaristia da parte del presbitero e presidenza della comunità. È questo un punto nevralgico, che ci aiuta a evitare confusioni e ci consente di fare passi di cambiamento senza compromettere in alcun modo il ruolo del ministero del prete per l’esistenza della Chiesa.
Oggi vorrei cercare di chiarificare proprio questo aspetto, perché a partire da qui, potranno essere meglio compresi anche altri criteri che sono presenti nella Lettera: da un lato il fatto che il ministero ordinato non si esaurisce nel ministero di presidenza del sacerdote, contemplando anche il ministero del diacono, risorsa vitale per il presente e il futuro delle nostre Chiese; e dall’altro lato il fatto che il ministero ordinato non esaurisce la ministerialità e il servizio di cui abbiamo bisogno nelle nostre comunità. C’è bisogno infatti anche di ministeri di battezzati, a cui possiamo e dobbiamo dare una certa struttura. Va da sé – ma conviene dircelo e non dimenticarlo in alcun modo – che neppure il servizio di alcuni laici nella Chiesa esaurisce tutto il servizio a cui i cristiani sono chiamati. La Chiesa, infatti, non esiste per sé stessa, ma per rispondere al Padre che la convoca in Cristo e la abita nello Spirito e per rendere presente Dio nel mondo con l’annuncio del Vangelo e la testimonianza della vita. I laici in particolare sono chiamati ad abitare le realtà di questo mondo portando, con la loro stessa presenza, il Vangelo che trasfigura e salva.
È importante soffermarci come preti e diaconi su questi aspetti perché, come è evidente, nella misura in cui nelle nostre comunità ci saranno delle laiche e dei laici che svolgeranno dei servizi in modo più formalizzato e stabile, ciò avrà ricadute sul modo in cui esercitare tanto il ministero del sacerdote quanto quello del diacono. Il tempo che avremo a disposizione potrà servirci per riflettere concretamente sull’utilità dei ministeri laicali già proposti e per individuarne, se lo riteniamo utile, degli altri: senza smarrire la consapevolezza che è importante vivere bene come comunità perché il Vangelo possa meglio e più efficacemente raggiungere tutti.

Ministero della presidenza eucaristica e della comunità
Sin dalle origini, nella vita della Chiesa, il ministero dei presbiteri ha comportato non solo il servizio dell’annuncio autorevole della Parola, ma anche quello della presidenza dell’Eucaristia e della comunità.
Il Concilio Vaticano II, connettendo molto strettamente questi tre compiti (annuncio della Parola, presidenza dell’Eucaristia e della comunità), ci consegna l’immagine del prete che vive il momento culminante del suo ministero nella presidenza dell’Eucaristia, la quale tuttavia non può essere intesa come un evento cultuale a sé stante, bensì come momento centrale per la vita della Chiesa. Ne consegue che la presidenza dell’Eucaristia e la presidenza della comunità che da essa nasce e in essa trova il suo nutrimento e fondamento sono intimamente connesse.
Uno dei testi che ci aiuta di più a penetrare questo intimo collegamento si trova al centro di Presbyterorum Ordinis 5. Vi si legge: «la sinassi eucaristica è dunque il centro della comunità dei fedeli presieduta dal presbitero». La prospettiva in cui ci si colloca è quella della comunità che nasce ed è edificata dall’Eucaristia. Quest’ultima è vista, a sua volta, come ciò a cui sono collegati e ordinati tutti gli altri sacramenti e tutti i ministeri ecclesiastici. Il testo conciliare afferma infatti: «tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente connessi alla Sacra Eucaristia e ad essa ordinati».
Possiamo dunque dire che il ministero della presidenza eucaristica eccelle su tutti gli altri compiti del prete, perché è centrale rispetto a ogni altro aspetto della vita e dell’attività della Chiesa e, per ciò stesso, è centrale per la vita e la missione della Chiesa.
Il prete dunque che presiede l’eucaristia presiede la comunità nel momento più significativo della sua esistenza.
Questo implica che la presidenza di questo momento-vertice comporta e deve essere strettamente connesso alla presidenza della comunità anche in tutte le altre dimensioni: una presidenza che possiamo esprimere, proprio a partire da qui, come servizio al raduno della comunità in Cristo. Dunque, quanto di più lontano da un potere incondizionato e su tutto!
Guardando alla vita delle nostre Chiese, siamo invitati a portare il dono della nostra sapienza e del nostro discernimento per calare questo principio nel concreto delle nostre vite.
Mi pare che possiamo anzitutto domandarci con onestà se tutto quello che come preti facciamo sia riconducibile al compito della presidenza o se, per una serie di motivi, il nostro ministero si sia caricato di tanti compiti che potrebbero tranquillamente essere svolti da altri. Potremmo pensare a tale presidenza più nell’orizzonte di una supervisione sui diversi compiti svolti nella comunità e meno come un sobbarcarsi tutto e concentrare in sé ogni decisione? Quali ostacoli concreti troviamo nell’attuare questo cambio di mentalità e quali potenzialità potremmo invece sviluppare?
Pensando in particolare a quelle situazioni nelle quali un parroco presiede più parrocchie, mi chiedo cosa possiamo fare perché, ad esempio, l’amministrazione si attui più come vigilanza che i beni vengano gestiti secondo le finalità della Chiesa e meno come uno spendere gran parte delle energie nello svolgere tali attività.
Dobbiamo anche chiederci come realizzare la presidenza di più parrocchie in città e nelle zone rurali o montane. Credo che a Torino e nei centri più grandi della provincia ci si possa orientare verso l’unificazione delle comunità e la convergenza nell’Eucaristia domenicale, mentre nei paesi più piccoli ciò richieda un’attenzione maggiore e una certa gradualità, tenendo conto delle caratteristiche specifiche dei diversi tessuti urbani.
Ministero diaconale
Il ministero sacerdotale, nel quale sono intimamente connesse presidenza dell’Eucaristia e presidenza della comunità, non esaurisce tutto il ministero ordinato.
Sin dall’antichità, il ministero ordinato contempla figure diverse al suo interno. Chiediamoci ora qual è lo specifico del ministero diaconale, pur consapevoli che i testi del Vaticano II, a cui si deve la restaurazione del diaconato permanente, sono troppo scarni per consegnarci una visione completa e collaudata di questo ministero. Né ciò è avvenuto in modo compiuto nella teologia e nella prassi dei decenni post-conciliari.
Cionondimeno uno dei pochi testi conciliari che ci parlano del diaconato permanente è utile ancor oggi a darci qualche indicazione di massima: si tratta di Ad Gentes 16. Esso ci orienta a cogliere un tratto comune per caratterizzare tale ministero; e, nelle esemplificazioni che fa, ci fa capire che non si tratta di un ministero di presidenza.
Il tratto comune è espresso con la formula: «un ministero veramente diaconale». Si deve intendere un servizio in ordine a ciò che viene prodotto dall’Eucaristia: dunque un servizio a favore della Chiesa e della sua carità.
Il testo poi esemplifica tre possibili servizi o compiti: il ministero della predicazione come catechisti; quello di governo di comunità disperse a nome del parroco e del vescovo; ed infine il ministero della carità in opere assistenziali di promozione umana.
Fa un po’ specie il secondo compito, che sembrerebbe ricalcare proprio quello della presidenza. Esso è pensato, immaginando quel che accade nei territori di missione, intesi in senso classico. Ma i padri conciliari erano consapevoli che non si trattava del ministero della presidenza e che era necessario non fare alcuna confusione. Pertanto, per esprimere questo servizio del diaconato usarono il verbo latino moderare e non i verbi praesidere o praesse, che vengono invece utilizzati per esprimere la presidenza. Dunque, è chiaro che il servizio del diacono, anche quando governa una comunità in modo diretto, non è in alcun modo un servizio di presidenza o che possa sostituire il servizio di presidenza del presbitero.
Ciò detto, il diacono svolge un ruolo fondamentale nelle comunità cristiane, dove amministra alcuni sacramenti, celebra i funerali, guida le liturgie della Parola. Un ruolo che diventerà sempre più importante.
Esistono per i diaconi spazi di grande attività pastorale nella cura e anche nella responsabilità di servizi caritativi, a tutti i livelli della vita della diocesi. Ugualmente ampi sono gli spazi di collaborazione nelle diverse attività pastorali delle comunità, sulla scia di quanto già con grande generosità molti diaconi hanno fatto e fanno.
Mi chiedo ad esempio se, laddove ci siano soggetti competenti, non possa essere realizzato un servizio più diretto e autonomo proprio nel campo amministrativo o nella gestione delle strutture. Così come si può pensare sempre di più – come accennavo nella Lettera – a un ministero che si prenda cura del legame tra coloro che partecipano alla medesima Eucaristia, tra i diversi gruppi e nel creare un tessuto di relazioni tra le persone che dovranno formare la comunità cristiana: qualcosa di cui c’è oggi un grande bisogno in un contesto nel quale la convivenza sociale primaria è sempre più fragile e a rischio e nel quale cresce sempre più un forte individualismo. In questo orizzonte, ritengo che sarebbe un grande servizio per il futuro delle nostre Chiese pensare a diaconi costantemente attenti a scovare e promuovere chi possa svolgere dei servizi per il bene delle comunità. Mi pare anche che dovremo accettare con realismo (a cominciare dalla formazione) un diaconato componibile con la vita lavorativa e familiare di ciascuno, per non escludere a priori chi è nel pieno delle attività.
Ciò che comunque non ci deve sfuggire, in quanto decisivo per la nostra riflessione, è che dobbiamo ormai mettere in conto che il ministero ordinato si dà in questa duplice dimensione; e ciò obbliga tutti, preti e diaconi, a capire che si deve collaborare e a lavorare concretamente perché questa collaborazione sia vera ed efficace. Già lo facciamo; siamo chiamati ad affinare questa collaborazione fraterna, a vedere con lucidità ciò che la ostacola, a farci carico di realizzarla al meglio, per il bene della Chiesa.
Ministeri battesimali
Come accennavo in precedenza, il ministero ordinato non esaurisce, tuttavia, tutta la ministerialità di cui una Chiesa e le comunità cristiane hanno bisogno per vivere e svolgere la loro missione.
Siamo purtroppo tentati di pensare e vivere così perché, per una serie di motivi che sarebbe lungo esplicare, per molti secoli l’unico ministero che abbiamo conosciuto nei fatti e nel quale si è poco per volta concentrato tutto è stato quello del prete. Ma, a partire dallo stesso Nuovo Testamento (si pensi a passi come 1 Cor 12, Rm 12 o Ef 4, senza contare quel che si può evincere dagli Atti degli Apostoli), è evidente che la Chiesa esiste contando su una pluralità di ministeri.
Pur non avendo sviluppato una riflessione compiuta al riguardo, anche su questo tema l’ultimo Concilio ci offre degli spunti per riprendere confidenza con ciò e accogliere ministeri non ordinati. Basterebbe fare riferimento a ciò che è implicato nell’idea che la Chiesa sia il popolo di Dio, formato da tutti i cristiani dotati di identica dignità e corresponsabili della vita e della missione, pur in modo differenziato. Ugualmente significativi possono essere due numeri del primo capitolo di Lumen gentium, il 4 e il 7, nei quali si fa cenno allo Spirito che guida ed edifica la Chiesa con doni e ministeri diversi.
Non è dunque certo un caso che nel messaggio del 15 agosto 2022, papa Francesco – in linea con i testi conciliari appena evocati – richiami la radice pneumatologica dei ministeri laicali e ne specifichi la finalità nel bene comune e nella edificazione della comunità. Si dice, infatti, al n. 3: «all’origine di ogni ministero vi è sempre Dio che con il suo Santo Spirito opera tutto in tutti (cfr. 1Cor 12,4-6); la finalità di ogni ministero è sempre il bene comune (cfr. 1Cor 12,7), l’edificazione della comunità (cfr. 1Cor 14,12). Ogni ministero è una chiamata di Dio per il bene della comunità».
Nel Concilio, tuttavia, vi sono anche abbozzi di riflessione in ordine a specifici ministeri da affidare a battezzati non ordinati, sia in campo liturgico sia in campo catechetico. Non ci deve stupire che sia soprattutto Ad gentes, il decreto sulle missioni, a fare riferimento al ministero del catechista, già esistente nelle giovani Chiese.
Questi accenni ancora acerbi del Concilio troveranno nuovi stimoli nel motu proprio di Paolo VI Ministeria quaedam, con cui si prospettava, all’indomani del Vaticano II, la possibilità di istituire il ministero di lettore e di accolito, destinato ai laici; e si faceva cenno alla possibilità che le Chiese particolari – se lo avessero ritenuto necessario – chiedessero alla Santa Sede di istituire altri ministeri. Complice anche il fatto che il documento escludeva le donne dal ministero di lettore e di accolito, le possibilità aperte da Paolo VI non sortirono grandi effetti. Certamente nelle nostre Chiese abbiamo perciò avuto in questi anni diversi ministeri svolti da laici o consacrati e consacrate, ma in rarissime occasioni essi sono stati istituiti.
Il recente magistero di Francesco, che dà la possibilità di istituire come lettori e accoliti anche le donne e rilancia in maniera nuova il ministero del catechista, apre nuove opportunità per le nostre Chiese, tenendo anche conto della ricezione che dei documenti di Francesco è stata fatta dai vescovi italiani nell’assemblea del maggio 2022.
Questa è dunque la duplice domanda: di quali ministeri battesimali le nostre Chiese hanno bisogno in un modo che contempli una certa stabilità e come la loro istituzione può cambiare il nostro modo di essere preti e diaconi? Per questo – pur riguardando soprattutto le cristiane e i cristiani laici – tale questione ci coinvolge da vicino.
Nella Lettera pastorale indico alcuni ministeri possibili: quello del lettore, dell’accolito, del coordinatore dell’annuncio e della catechesi, dell’animatore-coordinatore della carità e quello, particolarmente importante, di membro dell’équipe-guida di comunità, nelle comunità in cui non c’è il prete residente e tenendo conto che si tratta di un ministero da svolgere in équipe. Possiamo riflettere insieme per verificare dove questi ministeri siano da avviare nella loro totalità e dove invece sia importante la presenza di alcuni di essi. Questa mattina potremo anche dare un contributo alla ricerca di altri possibili ministeri battesimali di cui potrebbe esserci bisogno. Anche in questo caso, può essere che nelle zone rurali ci siano necessità diverse rispetto alle città.
Nel riflettere su questi temi, può essere utile tenere conto di due dati essenziali. Il primo è che – come suggerisce papa Francesco – dobbiamo pensare a tali ministeri come frutto dell’agire dello Spirito e dunque radicati nei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Non si tratta di mere funzioni; si tratta semmai di compiti che vengono assunti sulla base di doni che provengono sempre dallo Spirito di Dio, che ci inabita in quanto battezzati. Proprio per questo, tali ministeri servono all’utilità comune e al bene della Chiesa: non servono al benessere di chi assume un ministero. Ciò dovrà essere un aspetto da ritenere centrale nel processo di discernimento di chi dovrà assumere un ministero. Il secondo è che tali ministeri debbono essere a servizio del fatto che la Chiesa e le comunità cristiane svolgano bene il loro ministero, che è quello di rendere gloria a Dio e di rendere disponibile il Vangelo, soprattutto con la testimonianza della vita caritativa, a tutte le donne e gli uomini di oggi.
Tutto ciò ci obbliga a ripensare il nostro modo di essere preti e diaconi. Credo che come preti dovremo abituarci, ad esempio, a considerare che la presidenza della comunità contempli come cosa normale la presidenza di una équipe di ministri, con cui condividere le scelte importanti e le più immediate responsabilità.
Concludo con una questione cui accennavo all’inizio. Ragionando di ministeri laicali, dobbiamo pensare ad alcuni battezzati (laici o consacrati) che assumono un servizio istituito e, dunque, riconoscibile, affinché però tutta la Chiesa offra il servizio dell’annuncio evangelico al mondo. Va da sé, perciò, che la maggioranza dei cristiani laici servirà la Chiesa abitando con fede le diverse e complesse realtà di questo mondo; servirà la Chiesa, portando il Vangelo in quel mondo che non è Chiesa.
Ciò è troppo importante al fine di evitare che il clericalismo contagi i laici e una chiusura in sé stessa della Chiesa. È proprio all’opposto che dobbiamo puntare.
+ Roberto REPOLE, Arcivescovo di Torino e Vescovo di Susa