Bashir (nome di fantasia) 24 anni, è pakistano. Non parla volentieri del suo passato ma la sofferenza che ha vissuto prima di arrivare fin qui gliela leggi negli occhi nerissimi che non sorridono neppure quando gli dai 5 euro di mancia, quasi il doppio di quello che guadagna per la consegna di cibo cinese che ti ha appena lasciato sul pianerottolo, dopo aver pedalato per mezz’ora con lo zaino termico di Glovo, Just Eat, Deliveroo o Uber Eats che sia. Provo a fargli qualche domanda, mi fa segno che non sente, «non possiamo toglierci la mascherina»: è evidente che ha paura appena gli chiedo come ha accolto la notizia che la Procura di Milano, qualche giorno fa, ha disposto una multa di 733 milioni di euro per le piattaforme come la sua per la consegna del cibo a domicilio.
«Non lo sapevo, per me non cambia nulla, io devo lavorare» mi dice rassegnato. «Ma finalmente verranno riconosciuti i vostri diritti, vi faranno un contratto, se vi fate male mentre portate i pasti sarete tutelati» provo a replicare… Gli occhi di Bashir ora accennano a un sorriso ironico, come se lo stessi raggirando… «Adesso devo andare mi chiamano in una pizzeria: sai dov’è via Monterosa?». Glielo spiego. Accenna a un inchino, risale sulla sua bici, senza casco né luci di posizione e sparisce nel buio.

Bashir è un «rider» ovvero un ciclofattorino»: sono giovani che per 3,5 euro a consegna (quando va bene) portano nelle nostre case cibo da asporto: dalla pizza al sushi ma anche gelati, colazioni o aperitivi. In tempo di Pandemia con la chiusura di ristoranti, bar, fast food e cremerie le richieste delle consegne di piatti pronti a domicilio sono lievitate del 30% ma le condizioni di lavoro dei riders non sono cambiate. Tanto che il Procuratore Francesco Greco – al termine dell’indagine della magistratura milanese, presentata alla stampa lo scorso 24 febbraio, con cui si dispone di multare le piattaforme digitali per la consegna di cibo per le irregolarità contrattuali e delle norme di sicurezza sul lavoro – ha detto che i «fattorini non sono schiavi ma cittadini». E come tali vanno trattati: pertanto le piattaforme indagate, se entro 90 giorni dalla prescrizione della Procura non si mettono in regola, dovranno pagare multe per 733 milioni di euro per mancata tutela della sicurezza dei lavoratori e per le irregolarità delle assunzioni.
I provvedimenti della magistratura milanese riguardano 60 mila fattorini addetti alla consegna di cibo nella Penisola (qualche migliaio nel torinese): i riders dovranno essere regolarizzati con contratti di collaborazione coordinata e continuativa e non potranno più essere pagati a cottimo. Inoltre le aziende avranno 90 giorni di tempo per sottoporre i riders a visita medica, dotarli di caschi e protezioni.
Al momento, sono sei (datori di lavoro o legali rappresentanti delle piattaforme digitali che organizzano le consegne dei fattorini) le persone indagate dalla Procura di Milano per aver violato le norme del D.Lgs.81/2008, il testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Le piattaforme sono accusate di non aver regolarizzato le assunzioni dei fattorini neppure dopo la recente sentenza della Sezione lavoro della Corte di Cassazione (n.1663/2020 del 24/1/2020) con la quale è stato respinto il ricorso proposto dalla società Foodinho contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino che, accogliendo l’appello di cinque riders, aveva riconosciuto applicabile in loro favore la disciplina del lavoro subordinato in quanto i rapporti di collaborazione si erano concretizzati «in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». La causa pilota proposta dai cinque riders era peraltro partita dal Tribunale di Torino nel 2018.
Sergio Bonetto, giuslavorista torinese di fama internazionale, difensore di parte civile in processi come Eternit, Thyssen e Ilva di Taranto, è uno degli avvocati che ha assistito i cinque fattorini di Foodinho, prima causa in Italia, e dalle cui carte ha preso spunto la maxi indagine della Procura milanese che dovrebbe mettere fine al «caporalato digitale» nato dalla «gig-economy»: le piattaforme per ordinare pasti on line sono nate nel 1995 nella Silicon Valley in Usa e si sono diffuse nel pianeta «creando spesso condizioni di lavoro schiavile» commenta l’avvocato Bonetto che sottolinea come l’indagine sul capolarato digitale condotta dalla magistratura milanese su tutto il territorio nazionale, in seguito a denunce di incidenti sul lavoro dei riders «sia solo l’inizio di una presa di coscienza della necessità di un approccio giuridico per mettere fine allo sfruttamento». Sergio Bonetto precisa che le prime denunce partite da Torino sono state inviate a Milano dove poi è partita l’indagine: «i riders torinesi al momento sono parti lese nei processi milanesi perché a Torino, benché avessimo iniziato quattro anni fa le cause da cui è derivata la sentenza della Cassazione, non si è mosso più nulla: da quando il giudice Guariniello è andato in pensione, la Procura di Torino in materia di salute e sicurezza sul lavoro è meno incisiva. Sotto la Mole sul tema dei riders sono state comminate multe solo ai poveri fattorini perché non avevano le luci di posizione nelle loro sgangherate biciclette e, più in generale, la sentenza della Cassazione seguita alla nostra vittoria, in Italia non è mai stata applicata: ciò che si è fatto a Milano poteva partire già quattro anni fa…».

Secondo l’avvocato Bonetto il lavoro dei riders rimane sommerso perché «non c’è nessuna organizzazione sociale che rappresenti queste persone ai margini. Le organizzazioni sindacali non hanno mai preso davvero a cuore la difesa dei fattorini che, nel nord Italia, sono per la maggior parte immigrati. Non così al Sud dove i riders sono per lo più italiani: 500 euro al mese dove non c’è lavoro sono una cifra di tutto rispetto».
Per regolarizzare il settore occorrerebbe pagare molto di più il cibo e il servizio ma difficilmente il sistema sarebbe sostenibile: «le piattaforme dai ristoranti riscuotono dal 30 al 35 % del valore del trasportato, qualche euro dall’utente finale e poi ci sono i 3, 3,50 euro destinati ai fattorini per le consegne che, quando va bene, riescono a farne due o tre a serata senza contare che bicicletta o motociclo sono a carico del rider… E la pressione del mercato con la Pandemia si sta diversificando» aggiunge Bonetto: «oltre alla ristorazione da asporto c’è la spesa a domicilio: Amazon promette il servizio in due ore con i riders ovviamente. Se i sindacati confederali non prendono in carico la tutela di questi lavoratori una soluzione potrebbe essere la capacità di organizzarsi dei ciclofattorini: un punto di equilibrio potrebbe nascere da formule di tipo cooperativo, con condizioni di lavoro almeno possibili e tariffe comunque competitive. C’è dunque molto lavoro da fare. Ma quanti di noi sono disposti a farsi portare a casa il sushi pagandolo il doppio perché quella tariffa garantisca un lavoro dignitoso per Bashir?».