I Papi non benedicono guerre, armi ed eserciti. Kirill sì. Occorre ribadirlo chiaramente. Il Patriarca ortodosso di Mosca, «braccio religioso» di Vladimir Putin, benedice e legittima l’aggressione russa all’Ucraina come «guerra giusta» contro l’Occidente che protegge gli omosessuali; manda in crisi la voglia di dialogo ecumenico di un uomo di buona volontà e di rette intenzioni come Papa Francesco: con quale faccia il mondo cristiano tornerà (se tornerà) al dialogo con un guerrafondaio come Kirill? L’aggressione della Russia all’Ucraina è già costata migliaia di morti. «Fiumi di sangue e di lacrime» dice Francesco. Un’altra «inutile strage», «in nome della volontà di potenza – scrive Gianfranco Brunelli nell’editoriale de «Il Regno Attualità» – che è diventata, oltre ogni previsione, l’esercizio brutale della potenza. Il potere di un autocrate torna a mostrare la propria forza demoniaca. Putin ha riportato la guerra in Europa in violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite», compromettendo la sicurezza europea e la stabilità mondiale, causando sofferenze indicibili alla popolazione.
Nella Grande Guerra (1914-18) i Paesi belligeranti tiravano Benedetto XV per la tonaca: lo invitano a denunciare e condannare gli avversari. Già Pio X nel 1914, all’ambasciatore tedesco che gli chiede di benedire i suoi soldati, replica secco: «Il Papa non benedice la guerra». È quello che, nell’atroce guerra in Vietnam, il 23 dicembre 1967 Paolo VI disse al presidente statunitense Lyndon B. Johnson, in visita in Vaticano: «Il nostro dovere è quello di far conoscere al mondo le nostre posizioni come quelle di amici della pace e nemici della guerra». Il messaggio più angosciato e appassionato di Benedetto XV è la breve «Nota ai capi dei popoli belligeranti» in francese «Des le debut» (1° agosto 1917). Ha una grande risonanza pubblica ma non produce conseguenze pratiche né diplomatiche per la netta chiusura dei governi. Denuncia la guerra «lutte terrible, qui apparaît de plus en plus comme un massacre inutile, inutile strage, follia e suicidio dell’Europa. Il mondo civile dovrà ridursi a un campo di morte? E l’Europa correrà, quasi travolta da una follia universale, incontro a un vero e proprio suicidio?».
Nei giorni che portarono, il 27 gennaio 2009, all’elezione di Kirill come Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, il quotidiano «Vedomosti» lo chiamò «il candidato del potere». Kirill ha trasformato la Chiesa ortodossa russa in una macchina politico-religiosa al servizio di Vladimir Putin arrivando a definirlo «un miracolo di Dio». Il Patriarca è molto più di «un capo religioso», come ha dichiarato il presidente ungherese Viktor Orbán che ha voluto a tutti costi che fosse risparmiato dal sesto pacchetto di sanzioni varate dalla Ue. Kirill ha rianimato il vecchio concetto bizantino di «symphonia», dove Chiesa e Stato si completano a vicenda, al cui confronto l’alleanza trono-altare impallidisce. Agita il turibolo per benedire ogni guerra di Putin come «santa», dalle crociate anti-omosessuali alle offensive in Cecenia, Siria e Crimea fino alla «operazione militare speciale» in Ucraina che altro non è che una brutale aggressione a uno Stato libero, sovrano e indipendente. Kirill definisce «forze del male» quelle che le autorità russe classificano come «Paesi ostili» e invita i russi a «riunirsi» attorno allo «zar»-capo per combattere i «nemici esterni e interni».
Kirill, da laico Vladimir Mikhailovich Gundjaev, viene come Vladimir Putin da quella che era Leningrado e che, con la fine del comunismo, è tornata San Pietroburgo. Seminarista a 19 anni, a soli 42 anni diventa capo del potentissimo Dipartimento delle relazioni esterne. Una carriera folgorante tanto da alimentare i sospetti di una sua militanza nel Kgb e per nulla immacolata. Ben presto si guadagna il soprannome di «metropolita del tabacco» perché avrebbe approfittato delle esenzioni fiscali per commerciare sigarette e accumulare enormi ricchezze. Accuse sempre smentite a dispetto dei costosissimi orologi esibiti al polso. Quando nel 2009 Kirill succede al defunto Patriarca Alessio II – che aveva ricostruito la Chiesa ortodossa dopo il crollo dell’Urss e dell’ateismo di Stato – definisce il femminismo «pericoloso» e le nozze gay «un segnale dell’Apocalisse». Diventa subito chiara la sua sintonia con il Cremlino nella difesa dell’identità nazionale russa e dei valori conservatori in contrapposizione al liberalismo occidentale. Una «sinfonia» che nel 2012 un gruppo punk prova a stigmatizzare cantando una preghiera anti-Putin nella Cattedrale di Cristo Salvatore. Kirill rifiuta le richieste di grazia e anzi li denuncia per «blasfemia».
Dal 2009 ricorda regolarmente ai fedeli che non devono protestare. Il 2020 è stato l’anno della consacrazione definitiva dell’alleanza tra Kirill e Putin con l’inserimento di un riferimento a Dio nella riformata Costituzione, la stessa che mantiene Putin al potere fino al 2036. Come Putin, il Patriarca Kirill considera l’Ucraina e la Bielorussia come Paesi «fratelli» che devono rimanere sotto il tallone di Mosca e non essere Nazioni separate, libere, indipendenti. Si batte per il «Russkij Mir, il Mondo russo», con Mosca come centro politico. Cosa c’entri questo, che è tipicamente politico, con la religione, il Patriarca non lo spiega e non lo sa spiegare. Kirill considera Kiev la «culla spirituale» dell’ortodossia russa perché è in Ucraina. E al battesimo nel 988 del principe Vladimir I di Kiev e del suo popolo risale l’origine della civiltà russa e il mondo ortodosso russo. Certo Putin non è spinto da motivazioni religiose ma da volgare sete di potere. Per questo hanno chiesto alla Corte penale internazionale di incriminarlo «per inspirare, incitare, giustificare, aiutare e sostenere crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati dalle forze armate russe in Ucraina».