«Marino e Mario carissimi, siatemi vicini in questi giorni con la vostra forte preghiera. Pensate il bisogno che ne ho, e la fiducia di trovare in casa Martinelli l’appoggio cristiano che deve supplire alla mia debolezza. Io che ricordo e apprezzo i vostri esempi, e le prove senza numero d’amicizia, vi terrò presenti nel prossimo mio incontro con Cristo». Così scrive don Giovanni Battista Montini – futuro Paolo VI – a due amici alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta il 29 maggio 1920. Ed è al 29 maggio che Papa Francesco ha fissato la festa di San Paolo VI, che egli ha canonizzato il 14 ottobre 2018.
Con decreto del 25 gennaio 2019 della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti, Francesco stabilisce che la memoria sia inserita nel calendario della Chiesa di rito romano, «considerata la santità di vita di questo Sommo Pontefice, testimoniata nelle opere e nelle parole, tenendo conto del grande influsso esercitato dal suo ministero apostolico per la Chiesa sparsa su tutta la terra»
La memoria deve essere inserita nei calendari e libri liturgici per la Messa e la Liturgia delle ore.
Perché il 29 maggio? Perché è la data dell’ordinazione presbiterale nel 1920, essendo il 6 agosto – giorno della sua morte (nascita al cielo) 1978 – la festa della Trasfigurazione del Signore e il 21 giugno, giorno della sua elezione pontificale nel 1963, la festa di San Luigi Gonzaga. Paolo VI ha sempre conformato la propria vita a Cristo come battezzato, sacerdote, vescovo, Sommo Pontefice. Nel discorso al Collegio dei cardinali del 1976 sottolinea: «Soltanto nella ricerca sincera di Dio, fatta con la preghiera, la penitenza, la metánoia di tutto l’essere, si possono assicurare i successi veri della vita cristiana e apostolica».
La mamma Giuditta Alghisi per l’ordinazione toglie dal cassettone il vestito da sposa e lo affida alle suore che ne ricavano la pianeta per la Messa. Sabato 29 maggio 1920 il vescovo di Brescia Giacinto Gaggia ordina in Cattedrale 14 nuovi sacerdoti. «Il Cittadino di Brescia», diretto per tanti anni dal papà Giorgio Montini, dedica un articolo entusiasta: «Salutiamo col cuore aperto alle più liete speranze la comparsa sul campo dell’azione dei nuovi sacerdoti. Li salutiamo con gioia. Il nostro saluto si rivolge specialmente a uno che è della famiglia nostra, perché crebbe fra noi, perché porta un nome a noi caro e venerato. A don Battista Montini corre il nostro saluto augurale, al padre suo onorevole Giorgio, alla sua mamma diletta». Don Luigi Sturzo, fondatore del Partito popolare italiano, telegrafa da Roma al padre: «Assisto spirito consacrazione sacerdotale tuo figlio Battista augurando fervidamente sua alta missione».
Nel 1931 don Battista si impegna a coltivare «un particolare amore a ciò che è essenziale e comune nella vita spirituale cattolica. Avrò la Chiesa madre di carità: la sua liturgia sarà la regola preferita per la mia spiritualità religiosa».
La Colletta della Messa prega: «O Dio, che hai affidato la tua Chiesa alla guida del Papa San Paolo VI, coraggioso apostolo del Vangelo del tuo Figlio, fa’ che, illuminati dai suoi insegnamenti, possiamo cooperare con te per dilatare nel mondo la civiltà dell’amore». Come lettura per l’Ufficio delle letture sono proposti alcuni passi dell’omelia tenuta nell’ultima sessione pubblica del Concilio, il 7 dicembre 1965, sintetizzata dal tema: «Per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo», come afferma anche nel 1955 nella prima lettera pastorale da arcivescovo di Milano, riecheggiando Sant’Ambrogio, «Omnia nobis est Christus».
In una riflessione del 5 agosto 1963, un mese e mezzo dopo l’elezione al soglio di Pietro, scrive: «Devo ritornare al principio: il rapporto con Cristo che deve essere fonte di sincerissima umiltà: “allontanati da me; che sono uomo peccatore”; sia nella disponibilità: “vi farò diventare pescatori”; sia nella simbiosi della volontà e della grazia: “per me la vita è Cristo…”». E nel «Pensiero alla morte» (reso noto il 10 agosto 1978) scrive: «Prego il Signore che mi dia la grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa. Potrei dire che l’ho sempre amata e che per essa, e non per altro, mi pare d’aver vissuto».
Affascinato dalla figura e attività apostolica di San Paolo, come successore di San Pietro, non risparmia energie a servizio del Vangelo di Cristo, della Chiesa e dell’umanità, vista alla luce del piano divino di salvezza. Difensore della vita umana, della pace e del vero progresso dell’umanità, come mostrano i suoi insegnamenti, vuole che la Chiesa, ispirandosi al Concilio e mettendone in pratica i principi, riscopra sempre più la sua identità, superando le divisioni del passato e attenta ai nuovi tempi: Chiesa di Cristo, che mette al primo posto Dio, l’annuncio del Vangelo, anche quando si prodiga per i fratelli, per costruire la «civiltà dell’amore».
Nelle «Note per il mio testamento» Paolo VI ordina: «Niente monumento per me». Anche se nell’ottobre 1989 un monumento gli è eretto nel Duomo di Milano, «il vero monumento – spiega il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione del culto divino – Paolo VI se l’è costruito con la testimonianza, con le opere, con i viaggi, con il suo ecumenismo, con il lavoro per la “Nova Vulgata”, con il rinnovamento liturgico e con i suoi molteplici insegnamenti ed esempi, mostrando il volto di Cristo, la missione della Chiesa, la vocazione dell’uomo moderno e conciliando il pensiero cristiano con le esigenze dell’ora difficile nella quale ha dovuto guidare, soffrendo molto, la Chiesa».