Josyf Slipyj, metropolita (arcieparca) di Leopoli degli Ucraini e capo della Chiesa greco-cattolica, incarna l’anima della Chiesa ucraina. Nasce il 17 febbraio 1892 a Zazdrist e morirà a Roma il 7 settembre 1984.
Il 22 dicembre 1939 il Sinodo della Chiesa greco-cattolica, con l’approvazione di Pio XII, lo nomina arcivescovo coadiutore e riceve l’ordinazione episcopale in grande segreto per evitare la persecuzione dei sovietici. Il 30 giugno 1941 sostiene la dichiarazione d’indipendenza promossa dall’Organizzazione dei nazionalisti ucraini. Il 1º novembre 1944 diventa metropolita. Le autorità sovietiche convocano forzatamente un gruppo di 216 sacerdoti e il 9 marzo 1946 nella Cattedrale San Giorgio viene aperto il fasullo sinodo di Leopoli che revoca la dichiarazione con cui la Chiesa greco-cattolica entrava in comunione con il Papa e la Chiesa cattolica e dichiara l’annessione forzata alla Chiesa ortodossa russa. Il metropolita Slipyj rifiuta e subisce pesanti condanne.
Con la brutale invasione dell’Armata Rossa, vescovi, sacerdoti e fedeli sono arrestati e deportati; i luoghi di culto distrutti o regalati agli ortodossi; i pochi cattolici costretti alla clandestinità. Slipyj è arrestato la notte dell’11 aprile 1945 insieme ad altri vescovi dal Commissariato del popolo per gli affari interni con l’accusa di collaborazionismo con il regime nazista: è il primo passo nella liquidazione della Chiesa greco-cattolica da parte delle autorità sovietiche. Dopo essere stato in carcere a Leopoli, Kiev e Mosca, un tribunale lo condanna a 8 anni di lavori forzati in un «gulag». Insieme a lui sono condannati per tradimento a lunghi periodi di carcere e lavori forzati anche altri tre vescovi: è un processo-farsa con la solita accusa: collaborazionismo con i nazisti e attività anti-sovietica.
I campi di lavoro e i trasferimenti da un «gulag» all’altro non spezzano la sua resistenza. Nel 1954 lo condannano, senza processo, all’esilio in Siberia e nel 1959 altri 7 anni di «gulag» a Novosibirsk nell’Estremo Oriente. I suoi scritti circolano comunque. Nel 1957 Pio XII gli scrive per il 40º di sacerdozio ma la lettera gli viene confiscata. Nel 1963 Slipyj è liberato ed espulso, come gesto di buona volontà verso Papa Giovanni XXIII. Le cose, infatti, cominciano a cambiare. In un lungo rapporto sulla convocazione del Concilio Vaticano II (1962-65), un funzionario del Consiglio per gli Affari della Chiesa ortodossa russa, si sofferma sull’impegno per la pace di Giovanni XXIII: «È difficile immaginare che il Vaticano abbia cambiato la sua tradizionale politica di servizio dei più aggressivi circoli dell’imperialismo e sia diventato un sincero difensore della pace. La linea pacifista del Vaticano è un tentativo dell’Occidente di soffocare il movimento della pace. Gli interventi dei rappresentanti della Chiesa cattolica in difesa della pace sono indirizzati contro la politica aggressiva delle potenze occidentali. È necessario utilizzare la loro comparsa nel nostro interesse e sostenere i movimenti e gli interventi dei cattolici e del clero cattolico per la pace e contro la morte atomica».
Da Nikita Chruščёv, capo incontrastato in Urss, arrivano elogi al Papa, come nell’intervista rilasciata il 21 settembre 1961 a «Pravda» e «Jzvestija»: «Giovanni XXIII si attiene al buon senso, quando preavverte i governi della catastrofe generale e li richiama ad avere coscienza dell’enorme responsabilità, che portano di fronte alla storia. Tale appello è un buon segno. Noi abbiamo sempre sottolineato e sottolineiamo che siamo per la risoluzione pacifica attraverso trattative di tutti i problemi internazionali e possiamo solo salutare ogni appello alle trattative negli interessi della pace da qualsiasi parte provenga». Il Concilio si inserisce in questo rapporto a distanza fra Chruščёv e Giovanni XXIII. Il Politbjuro del Partito comunista approva l’invio al Concilio di due «osservatori» della Chiesa russa. Una presenza significativa, che permette di stabilire un canale di comunicazione, che è utilizzato con successo per la liberazione di Slipyi. Infatti, i due «osservatori» ortodossi, l’arciprete Vitalij Borovoj e l’archimandrita Viadamir, sono latori di un messaggio del Papa. Messaggio decisivo perché il metropolita il 23 gennaio 1963 è liberato e il 10 febbraio 1963 si prostra ai piedi di Giovanni XXIII, in tempo per partecipare agli ultimi due anni del Vaticano II. Paolo VI il 23 dicembre 1963 lo nomina arcivescovo maggiore e il 22 febbraio 1965 cardinale. Egli leva durissime accuse contro il regime comunista al Concilio e ai Sinodi (1967 e 1971); denuncia la tragedia dei cristiani sotto il tallone di Mosca; chiede una definizione di libertà religiosa vincolante per lo Stato; partecipa come parte lesa al Tribunale Sacharov sulle violazioni dei diritti umani in Urss.
Il legame tra Concilio e impegno per la pace è messo in risalto dagli analisti sovietici. Un’informativa del presidente del Consiglio per gli Affari religiosi del gennaio 1963 individua una «tendenza progressista nell’assemblea conciliare, favorevole alla coesistenza pacifica». L’importanza dei lavori conciliari per il rafforzamento della pace è segnalata in un rapporto del Dipartimento agitazione e propaganda del Comitato centrale. La crisi dei missili a Cuba, nell’ottobre 1962, e l’intervento del Papa sollecitano l’attenzione dei sovietici. Chruščёv in una lettera al cancelliere tedesco Konrad Adenauer si dichiara d’accordo con Giovanni XXIII: «Io sono comunista e ateo e non posso, mi sembra, condividere la visione filosofica del mondo del Papa ma io sostengo e approvo il suo appello per la pace». Anche all’editore statunitense Norman Cousins, durante un incontro il 13 dicembre 1962, Chruščёv esprime la sua stima per il Papa: «Lui e io possiamo divergere su molte questioni, ma siamo uniti nel desiderio della pace. Il suo intervento per la pace è stato umanistico e sarà ricordato nella storia». Nel 1991 l’Ucraina indipendente, sganciata da Mosca, riabilita l’arcivescovo Slipyi. È in corso la causa di beatificazione. Sembra che la sua storia abbia ispirato lo scrittore australiano Morris West per il romanzo «Nei panni di Pietro», e poi il film: Kiril Pavlovich Lakota, metropolita di Leopoli, liberato dai sovietici dopo 17 anni in un «gulag», diventa Papa Kiril.