La croce che apre la processione per l’incoronazione di Carlo III d’Inghilterra nell’abbazia di Westminster contiene incastonate due frammenti della croce di Cristo, di 1 e di 5 centimetri finora conservati nei Musei Vaticani. È il regalo di Papa Francesco a re Carlo, un «segno ecumenico», un simbolo prezioso e un gesto di amicizia davvero fuori dal comune. Le reliquie più famose e più preziose sono custodite e venerate a Roma nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Dono tanto più significativo perché fatto a un «collega», si fa per dire. Il titolo del sovrano è «re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e Supremo governatore (o reggitore) della Chiesa anglicana» e anche «Difensore della fede», titolo che Papa Leone X conferì a Enrico VIII nel 1521 per aver difeso l’insegnamento cattolico nelle prime fasi della Riforma protestante. Nel 1534 Enrico VIII si separò da Roma, dichiarandosi «capo della Chiesa» e quella anglicana è Chiesa di Stato, subordinata al governo del sovrano. In sostanza a Londra prospera l’alleanza trono-altare, tanto vituperata quando si trattava della Chiesa di Roma nei secoli passati, esaltata come simbolo «english» che perdura nel ventunesimo secolo. Alla faccia del laicismo e della separazione dei poteri, il sovrano d’Inghilterra nomina l’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana; dà l’assenso alla nomina dei vescovi e dell’alto clero. Così decise quasi mezzo millennio fa Enrico VIII che si staccò da Roma, fondò una Chiesa nazionale, fece approvare dal Parlamento l’«Atto di supremazia» e si autoproclamò «capo della Church of England» nella quale convivono tendenze teologiche e forme liturgiche diverse.
Anglicanesimo e ruolo del sovrano risalgono a Enrico VIII: in risposta alla scomunica per aver rotto il matrimonio e aver sposato Anna Bolena, formalizza il distacco da Roma. L’indipendenza formale dal Pontefice è dichiarata da Elisabetta I Tudor, figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, la quale assume il titolo di «Supremo governatore della Chiesa» e nel 1563 pubblica i «39 articoli di religione», testo ufficiale e confessione di fede. Evento importante è il «Quadrilatero di Lambeth» del 1884, dichiarazione sulle dottrine essenziali che uniscono le diverse Chiese, nazionali e regionali, nell’«Anglican Communion, Comunione anglicana» formata da 45 Chiese sparse nel mondo, tutte indipendenti. Il ruolo della monarchia riguarda solo la Chiesa d’Inghilterra, una delle tante Chiese della Comunione, per quanto la più importante. Il primate della Comunione è l’arcivescovo di Canterbury.
Molte differenze con la Chiesa cattolica ma la liturgia è simile a quella cattolica. Riconosce solo due Sacramenti – Battesimo e Cena del Signore – rispetto ai 7 dei cattolici. Per la cosiddetta «inter-comunione non ci sono difficoltà tra luterani, anglicani, riformati, calvinisti ma i cattolici non la ammettono. Giovanni Paolo Il nell’enciclica «Ecclesia de Eucharistia» (2003) lo ribadisce. Già Leone XIII nel 1896 spiega che gli anglicani relegano l’Eucaristia a livello commemorativo. Sempre aperte le questioni della successione apostolica e delle ordinazioni anglicane, oggetto di accesso dibattito. Leone XIII nella bolla «Apostolicae curae» (1896) dichiarò le ordinazioni anglicane nulle rifacendosi ai precedenti interventi papali. Paolo IV nella bolla «Praeclara charissimi» (1555) dichiara che i sacerdoti devono essere ordinati dai vescovi e i vescovi sono nominati solo dal Papa, stabilendo così l’invalidità delle ordinazioni anglicane. Le differenze si sono accentuate negli ultimi decenni. Gli anglicani hanno aperto al sacerdozio delle donne (1992): nel 2019 sono state ordinate preti più donne (51 per cento) che uomini; le donne possono divenire vescovi; riconoscono le nozze omosessuali, anche se il Sinodo anglicano è ancora diviso.
«Santità, sono quattro secoli che non ci vediamo», disse Geoffrey Francis Fisher, arcivescovo di Canterbury, entrando nella biblioteca privata dove lo attendeva un sorridente Giovanni XXIII. Quello del 2 dicembre 1960 era un incontro strettamente privato e «di cortesia», ma fu un evento storico. Era il primo incontro – dallo scisma di Enrico VIII consumato tra il 1531 e 1538 – tra un Pontefice Romano e il capo degli anglicani. La Segreteria di Stato vaticana volle però mettere il silenziatore a una visita che si svolse in un clima di grande cordialità ma con un cerimoniale ridotto all’osso: non ci fu foto né comunicato, né una riga su «L’Osservatore Romano» e nelle biografie di Roncalli non è neppure citato. Invece fu la pietra miliare del dialogo: nel viaggio in Gran Bretagna il 17 settembre 2010 Benedetto XVI rese omaggio ai protagonisti: «Il contesto nel quale ha luogo il dialogo fra la Comunione anglicana e la Chiesa cattolica si è evoluto in maniera impressionante dall’incontro privato fra Papa Giovanni XXIII e l’arcivescovo Geoffrey Fisher nel 1960».
Il dialogo continua nella Commissione internazionale anglicano-cattolica (1970) e nella Commissione internazionale anglicano-cattolica per l’Unità e la missione (2000) che trattano temi teologici. Più agevole l’ecumenismo dei fatti: nel 2016 Papa Francesco e Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury, hanno firmato a Roma una dichiarazione comune. Nel settembre 2021 Papa Francesco, Bartolomeo I Patriarca ecumenico di Costantinopoli e l’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby hanno firmato la dichiarazione per la protezione del creato. La regina Elisabetta (1926-2022) ha incontrato quattro Papi da regina – Giovanni XXIII (niente Paolo VI) Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – cinque nella vita: Pio XII da principessa. La regina è stata accolta in Vaticano da Francesco il 3 aprile 2014. Per il giubileo di platino del regno e per il 96° compleanno (21 aprile 2022) Francesco le scrisse: «Dio conceda a voi, ai membri della famiglia reale e al popolo benedizioni di unità, prosperità e pace».