Il torinese Carlo Tancredi di Barolo è venerabile

Santa Sede – Il 21 dicembre Papa Francesco ha autorizzato il decreto sulle virtù eroiche del marchese torinese Carlo Tancredi Falletti di Barolo, marito di Giulia, venerabile dal 5 maggio 2015. Fu sindaco di Torino e cofondatore delle Suore di Sant’Anna

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Venerabile Carlo Tancredi di Barolo

I sindaci potrebbero avere presto un collega «beato». Il 21 dicembre 2018 Papa Francesco ha autorizzato il decreto sulle virtù eroiche di Carlo Tancredi Falletti di Barolo, filantropo, ex sindaco di Torino e cofondatore delle Suore di Sant’Anna. È  «venerabile», come la moglie Giulia lo è dal 5 maggio 2015. I coniugi più ricchi di Torino, dopo i Savoia, potrebbero essere proclamati beati insieme.

Carlo Tancredi nasce a Torino il 26 ottobre 1782 da Ottavio Alessandro Falletti di Barolo e Maria Ester Paolina d’Oncieu de Chaffàrdon e de la Bâthie, ultimo discendente di una casata che risale al 1300; nel Settecento il marchese Gerolamo IV è il primo viceré di Sardegna. Il padre è un illuminista; studioso di storia, economia e letteratura; amico del «principe giacobino» Carlo Emanuele di Savoia-Carignano, padre di Carlo Alberto; vicino ai futuri rivoluzionari; difende Vittorio Alfieri e le sue tragedie; membro dell’Accademia delle Scienze nella classe letteratura e belle arti.

Il Piemonte nel 1797 è occupato da Napoleone: come molti nobili piemontesi, Carlo Tancredi emigra con la famiglia a Parigi, paggio e ciambellano alla corte dell’imperatore Bonaparte. Si innamora perdutamente della giovane e bellissima Juliette Françoise Victurnie Colbert de Maulévrier, di famiglia cattolica vandeana, tornata in Francia dopo la Rivoluzione e l’esilio in Germania, Olanda e Belgio. Pronipote di Jean-Baptiste Colbert, famoso ministro delle Finanze di Luigi XIV (Re Sole), conosce l’opera «Madelonettes» per le ex carcerate, creata dall’abate Légris Duval e dalla marchesa di Croisy. Carlo Tancredi e Giulia si sposano il 10 agosto 1806 a Parigi. Vivono tra Francia e Italia e anche in Toscana alla corte dell’amica granduchessa Maria Teresa.

I PIÙ RICCHI DI TORINO DOPO I SAVOIA – Dopo la caduta di Napoleone, nel 1814 i Barolo si trasferiscono a Torino e vivono nel più bel palazzo privato in via delle Orfane. I loro patrimoni formano una fortuna sconfinata, seconda solo a quella dei Savoia. Non hanno figli e si dedicano a quelli degli altri. Sotto l’influsso dei grandi santi Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giuseppe Cafasso (suo confessore), Giovanni Bosco (per qualche tempo cappellano delle sue opere), Pio Brunone Lanteri (suo direttore spirituale), Giulia avvia il recupero delle detenute; si impegna a rendere più umano il carcere femminile; istituisce il Rifugio; accoglie le ragazze abbandonate prima del matrimonio; promuove il monastero delle Maddalene e l’Orfanotrofio. Il salotto Barolo si anima con i personaggi del Risorgimento: Cesare Balbo, Federico Sclopis, Camillo Benso di Cavour, Cesare Alfieri di Sostegno, Pietro di Santarosa, Joseph-Marie De Maistre. Eletto decurione il 31 dicembre 1816, il marchese nel 1821 firma la petizione per chiedere al reggente Carlo Alberto la Costituzione ed entra nella Consulta di governo. Eletto sindaco il 31dicembre 1825, fa distribuire seimila razioni di legna ai poveri.

EDUCARE I BAMBINI INDIGENTI DALL’INFANZIA – L’istruzione, la scuola, la formazione professionale, la cura dei più poveri sono gli obiettivi dei Barolo in una situazione di diffusa miseria e ignoranza. Nel 1832, in un opuscolo anonimo, sollecita le «persone caritatevoli a provvedere all’educazione della prima infanzia». Per i figli del popolo promuove scuole gratuite primarie e anche  professionali e tecniche di disegno applicato alle arti e ai mestieri e d’incisione sul rame: le scuole tecniche e commerciali saranno istituite dalla riforma di Gabrio Casati nel 1859. Il marchese redige il regolamento: ammissione, orari, insegnamento, disciplina per classi superaffollate di 60-70, talora 100 bambini. Nelle elementari inferiori (due-tre anni) la novità principale è l’assenza del latino, rinviato alla grammatica (scuola media). Lo accusano di «spregiudicatezza» perché apre la scuola ai figli dei poveri.

I FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE – Negli anni segnati dalla grigia restaurazione di Carlo Felice, Torino è all’avanguardia nella pubblica istruzione. La ventata liberale non passa invano: nel 1822 Carlo Felice ordina «che sorga in tutte le città, nei borghi e nei capoluoghi di mandamento e, per quanto possibile, in tutte le terre, una scuola per istruire i fanciulli nella lettura, scrittura, dottrina cristiana e negli elementi di lingua italiana e aritmetica con il titolo di Scuola comunale». Si aprono scuole primarie presso le chiese del Carmine, San Filippo, San Carlo, a Borgo Dora e in Borgo Po per 1.477 alunni. Perché l’istruzione sia valida, occorrono buoni maestri. E nel 1824 Carlo Felice, sotto le pressioni anche del marchese, chiama a Torino i Fratelli delle Scuole Cristiane per le scuole della Mendicità Istruita. Nel 1831 i religiosi francesi assumono la direzione delle scuole comunali, fino al 1856; il loro insegnamento è all’avanguardia perché si basa sulla lingua materna.

CASSA DI RISPARMIO, CIMITERO, SILVIO PELLICO – Ai fanciulli sopra i 6 anni il marchese provvede la scuola elementare gratuita; prevede che la scuola dei sordomuti accolga, a spese del Comune, i bambini indigenti; riforma le Scuole di disegno e di geometria pratica; concede di aprire scuole private. Confermato sindaco nel 1827, è tra i fondatori della Cassa di Risparmio di Torino per il progresso economico del popolo; dispone lavori per i poveri in inverno. Di nuovo decurione nel 1828, alla morte del padre, risolve il problema del Monumentale. La Municipalità è dissanguata dalla costruzione della chiesa-monumento Gran Madre di Dio, sul modello del Pantheon di Roma, decisa nel 1815 per il ritorno di Vittorio Emanuele I «Ordo populusque taurinus ob adventum regis. La nobiltà e il popolo di Torino per il ritorno del re». Carlo onora la memoria paterna donando il terreno e 300mila lire, una somma enorme. Nominato da Carlo Alberto nel 1831nel Consiglio di Stato, chiede l’esonero per salute cagionevole. Il 5 novembre 1832 accoglie come bibliotecario-segretario Silvio Pellico, reduce dal durissimo carcere austriaco dello Spielberg in Boemia, raccontato ne «Le mie prigioni».

LA SALA D’ASILO A PALAZZO BAROLO – A Palazzo Barolo nel 1825 apre la «Sala d’asilo per figli dei poveri incapaci di frequentare le scuole ordinarie»: prima in Piemonte e in Italia, anticipa di qualche anno l’abate cremonese Ferrante Aporti, il creatore della scuola infantile in Italia. Nasce dalla  necessità «del ricovero e dell’educazione dell’infanzia più tenera già staccata dalla madre a due anni». Molte famiglie vivono in estrema povertà: pessima alimentazione, assenza di igiene, abitazioni malsane. Per il passaggio dal sistema artigianale al manifatturiero-operaio, sempre più uomini, donne e ragazzi lavorano fuori casa anche 12 ore al giorno e i più piccoli restano soli in casa o vagano per le strade in preda alla fame, al freddo e ai pericoli. La «Sala d’asilo» punta sulla crescita fisica e morale di bambini e bambine di 2-6 anni in locali luminosi e ventilati, una sala a parte per la refezione, aule con banchi ad anfiteatro, quadri a colori per facilitare l’apprendimento. Lo studio della storia sacra si svolge anche con immagini, il canto, uso di strumenti musicali e molto gioco libero e guidato.

INVESTIRE PRIMA PER RISPARMIARE DOPO – Carlo nello scritto per le persone caritatevoli «Sull’educazione della prima infanzia della classe indigente», sostiene che «un soccorso ben ordinato a favore dell’infanzia serve in seguito a risparmiare tante altre limosine a pro di madri senza lavoro, di giovani senza mestiere, di persone inette o traviate, d’altre indisposte, deboli e malaticcie, contribuendo per vie direttissime all’abolizione della mendicità, al miglioramento della morale pubblica e alla vera prosperità dello Stato. Bisogna sottrarli ai pericoli, ai patimenti corporali e ai cattivi esempi che incontrano con procurar loro una buona educazione primaria sì fisica onde sviluppare le loro forze e antivenire a tanti malanni frutti di un’infanzia abbandonata, sì morale onde infondere i principi di religione e imprimere le pratiche in quelle menti tenerissime, l’insegnamento viene considerato come mezzo per avvezzare l’infanzia a qualche, applicazione che poi avrà cominciamento nelle vere scuole della puerizia. Esso è ridotto al conoscere le lettere e i numeri, a sillabare e a qualche piccolo lavoro manuale, premesso sempre il catechismo, colle principali preghiere della nostra santa religione».

DALLE SALE D’ASILO ALLE SUORE DI SANT’ANNA – Gli aristocratici devono uscire dall’egoismo di casta per promuovere la rigenerazione sociale e morale delle masse popolari: non è beneficienza ma politica accorta. Autore di libri di testo, il marchese compila un trattatello di geografia dimostrando intuizioni didattiche: usa parole ed espressioni comprensibili e descrive i più importanti edifici del territorio. Nello scritto «Brevissimi cenni diretti alla gioventù che frequenta le scuole italiane intorno agli stati (professioni)» sostiene l’importanza dell’educazione professionale; insiste sul dovere di scegliere un lavoro; si rivolge non solo ai sudditi sabaudi ma ai ragazzi delle «scuole italiane». È uomo del Risorgimento, anche se non ne vede gli inizi. Dalle «Sale d’asilo» alle Suore di Sant’Anna il passo è breve. La marchesa Giulia chiama dalla Francia le Dame del Sacro Cuore per istruire le giovani di «civile condizione», ma pensa soprattutto a quelle povere. I marchesi il 10 dicembre 1834 fondano le Suore di Sant’Anna, Tancredi ne traccia i primi lineamenti e Giulia completerà la fondazione. Madre Maria Enrichetta (Caterina) Dominici ne favorisce il consolidamento spirituale e lo slancio missionario: Paolo VI la beatifica il 7 maggio 1978. L’Istituto deve garantire un’educazione qualificata nelle sale d’asilo, nelle scuole, nell’istruzione e formazione cristiana dell’infanzia e della gioventù. Su pressione dei marchesi aprono «Sale d’asilo»: la contessa Eufrasia Valperga di Masino (1833); re Carlo Alberto nel palazzo adiacente alle scuderie reali (1838); la consorte regina Maria Teresa in Borgo Dora (1844).

LA MORTE LO COGLIE «SULLA VIA DEI PEZZENT» – Allo scoppio nel 1835 del colera Carlo organizza i soccorsi; con i decurioni promuove il voto della città alla Consolata; apre la sua villa di Moncalieri agli orfani e ai bimbi rachitici. Per riprendersi dalle malattie e dalle fatiche, va con la moglie verso il Tirolo e il 4 settembre 1838 muore: «Nella pianura lombarda assolata dagli ultimi calori estivi una carrozza porta un malato, sua moglie e un medico. All’improvviso la tragedia. Avevano fatto poca strada quando arrivando a Chiari nel Bresciano, lo credevano addormentato ed ebbero l’orribile sorpresa d’accorgersi che non era sonno, né svenimento, ma vera agonia. Fermarono la carrozza alla casa del parroco, ebbe l’Olio Santo e spirò nelle braccia della desolatissima moglie». Così racconta Silvio Pellico racconta nelle sue «Memorie». In una lettera a un amico inglese Giulia scrive: «Sapete come ha chiuso la vita l’ultimo dei marchesi di Barolo? La morte lo ha sorpreso a tradimento lungo la faticosa via maestra: la via dei pezzenti. Egli ha agonizzato in una locanda miserabile, l’albergo dei poveri. Ho veduto spezzarsi la mia ragione di vita e, in un’ora cupa di silenzio, dinanzi al mistero della morte, nella tragica veglia funebre, che mi consentiva per l’ultima volta la contemplazione di un volto indicibilmente caro, ho sofferto con lucidità spaventosa e ho sentito l’anima mia trasformarsi. In nome di colui che è finito come un pezzente, io devo dedicarmi a tutti i miserabili».

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