Il mese di giugno è, per la Chiesa torinese, il centro delle celebrazioni più sentite e più «nostre»: Consolata e san Giovanni Battista, ma anche Cafasso e san Massimo, e il ricordo del «miracolo eucaristico di Torino». Alle celebrazioni ricorrenti si aggiunge quest’anno il Giubileo sacerdotale dell’Arcivescovo, ordinato prete per la diocesi di Acqui Terme il 29 giugno 1968. Per l’occasione ci ha concesso un’intervista… diversa dalle solite, tra i ricordi di questi 50 anni e gli elementi per un bilancio. Un’intervista, ci pare, che sta sotto il segno della speranza.
Seminarista negli anni del Concilio, prete nel ’68. Quale «speranza di primavera», nella Chiesa e nel mondo, si può raccontare e testimoniare oggi?
Ricordo il 68 come l’intuizione di un cambiamento repentino voluto dai giovani sia nella Chiesa che nella società. Non era ancora l’era dell’autonoma violenta ma quella di sogni e visioni comunque cariche di speranze che hanno inciso profondamente nel mio animo. Studiavo all’Istituto Biblico dove ho conseguito la licenza in Sacra Scrittura e nello stesso tempo abitavo in parrocchia seguendo appunto i gruppi giovanili, turbolenti ma molto recettivi del messaggio del Vangelo, quello vero e concreto che metteva al centro la persona con tutte le sue criticità e donava forza e fiducia anche nei momenti difficili. La Messa dei giovani con le chitarre, la batteria e le riflessioni che i giovani stessi facevano sul Vangelo prima della omelia erano novità assolute anche se a volte poco rispettose della liturgia (le canzoni di De André non erano certe «sacre»). Ma erano celebrazioni molto partecipate da una marea di giovani e giovanissimi che arrivano ore prima per non perdere il posto in chiesa tanta era la folla .Si respirava un clima di cambiamento sia per la Chiesa che per la società.
In un mondo diviso dalla Cortina di ferro sembrava possibile battersi per l’uguaglianza, per una più giusta distribuzione dei beni; il Papa firmava un’enciclica sul «progresso dei popoli». Oggi, nel mondo globale, il Vescovo di Torino deve andare davanti ai cancelli delle fabbriche per difendere i diritti minimi dei lavoratori; e la Chiesa deve «dare il buon esempio» impegnando le sue risorse verso i più poveri, per combattere la cultura dello scarto. Che cosa è successo?
Si è perduto lo slancio forse un po’ utopistico ma certo ricco di speranze positive, che si sono infrante su un sistema di potere finanziario ed economico che ha cercato con tutti i mezzi di stemperare gli slanci del cuore dei giovani in particolare. E così loro, delusi, si sono lasciati catturare dal fascino del benessere, dello sballo e della promessa di una felicità a buon mercato, ma effimera e portatrice al contrario di noia e non senso della vita. Oggi prevalgono le delusione, le paure, l’assolutezza dell’io rispetto al noi. Allora niente si diceva e si faceva che non fosse condiviso e comune, oggi tutto deve ruotare attorno al proprio interesse e tornaconto sia essa economico che sociale; e al piacere immediato, al consumo di esperienze. La solidarietà nel mondo operaio come tra gli studenti e tra le persone sembra un lusso che non ci si può permettere e comunque poco produttivo perché i poteri forti fanno prevalere le loro posizioni con un fascino che sembra invincibile. La Chiesa sta reagendo con forza a partire dagli ultimi e da ogni forma di sopruso e ingiustizia verso di loro e sono certo che alla lunga il nostro comune impegno darà i suoi frutti. Papa Francesco ci spinge su questa via, l’unica che può assicurare un futuro alla Chiesa e alla società.
Genova vista dall’Appennino e poi Roma, Vicenza, Torino. come è vissuta, e come è cambiata l’Italia nel bilancio di vita di un Vescovo?
Le tre città che mi hanno visto esercitare il mio ministero di Vescovo hanno lasciato in me una traccia indelebile ed esperienze certamente indimenticabili. Mi hanno insegnato a non temere di fronte a situazioni difficili e che sembrano avere la meglio e ipotecare il futuro del nostro Paese. La storia cambia rapidamente nel nostro tempo e quello che appariva una tragedia viene superato da altri tempi non dico meno faticosi ma completamente diversi . Per questo la saggezza di un Vescovo che ha attraversato periodi belli e ricchi di speranza come è stato il dopo Concilio, a periodi oscuri come l’uccisione di Moro, il terrorismo e lo stragismo mi fa guardare all’oggi con serenità e meno apprensione anche se motivi di preoccupazione ce ne sono tanti. Ma altrettanto ci sono segni positivi di tanti che operano magari nel silenzio per una mondo nuovo. Per cui malgrado tutto semino ovunque la fiducia nella forza del bene che so che alla fine vince sempre perché la storia è guidata da Dio che vuole il bene del mondo che ha creato per amore e lo ama anche così com’è se pure spesso appare lontano da lui .
Che cos’era la Sindone per un vescovo italiano, prima di diventare il Custode? Oggi ci si prepara ad accogliere il pellegrinaggio straordinario dei giovani: segno che finalmente quell’immagine diventa anche «qualcosa di pastorale»?
La Sindone per me prima di venire a Torino era una testimonianza forte e chiara della passione del Signore ma non avevo certo la consapevolezza della sua importanza per la mia fede e la fede di tutti coloro che hanno la grazia di contemplarla e frequentarla come mi è capitato spesso in questi anni del mio episcopato a Torino. Le due ostensioni che abbiamo fatto, quella televisiva nel 2013 e quella di tre anni con la visita di papa Francesco mi hanno permesso di riflettere su questo grande dono che il Signore ha voluto fosse custodito a Torino con la mia responsabilità di Custode. Una responsabilità che vivo con intensità spirituale e pastorale insieme non priva di timore come ben si comprende, ma anche ricca di una gioia grande se penso al privilegio che mi è stato concesso . A luglio andrò a Malta dove l’arcivescovo mons. Scicluna mia ha invitato per una settimana di incontri e celebrazioni incentrati sulla Sindone e rivolti a tutta la sua comunità diocesana. Sarà come il preludio per me di quello che succederà al 10 agosto con la contemplazione, unica nel suo genere rispetto alle Ostensioni della Sindone, da parte dei giovani piemontesi (ma anche di altre diocesi italiane e straniere che, saputo dell’avvenimento, hanno chiesto di partecipare con i loro giovani). Del resto la CEI ha deciso di offrire a tutti i giovani italiani che in confluiranno a Roma dopo i pellegrinaggi diocesani una piccola ma significativa copia del telo sindonico con un video illustrativo della stessa. Sono tutti segnali di quanto la Sindone sia considerata anche dalla pastorale giovanile una via pastorale da percorrere nella formazione cristiana delle nuove generazioni quale segno di quell’amore più grande che Cristo ci ha offerto nella sua passione e morte.
Da esperto di catechesi, come si immaginerebbe un «cammino di senso» da inventare per gli adulti laici di oggi? Un cammino di Chiesa, non una qualche via di salvezza solitaria.
Ho lavorato vent’anni alla CEI nella stagione dei nuovi catechismi e ho potuto visitare tutte le diocesi italiane per presentarli: dunque ho potuto realizzare una esperienza certamente eccezionale in questo ambito pastorale. Ho sempre avuto come finalità quella di puntare molto sugli adulti per cui anche nei Catechismi dei bambini e dei fanciulli ho insistito perché ci fossero apposite pagine rivolte alla famiglia. Il catechismo poi degli adulti è stato un lavoro che mi ha impegnato molto insieme all’équipe che collaborava per avere uno strumento che rilanciasse la catechesi allora pensata sola per i ragazzi anche nelle età superiori dei giovani e adulti. Oggi credo che un cammino di senso per i laici adulti debba trovare modalità, linguaggi ed esperienze nuove non limitate alla classica lezione o incontro ma più aperte alla ricerca personale e comunitaria insieme della fede incentrata su Gesù Cristo e il Kerygma della sua morte e risurrezione. Bisogna che l’adulto ritrovi il cuore della fede che pensa di avere o di non avere partendo dal suo centro vivo che è appunto la conoscenza, incontro e sequela di Gesù Cristo. Diceva già il Documento di base dei vescovi italiani dopo il Concilio che «cristiano è chi sceglie Gesù Cristo come suo Signore e lo segue pregando, amando e vivendo come ha pregato, amato e ha vissuto lui in tutta la sua concreta esistenza». È quanto si fa nel cammino che accompagna gli adulti non battezzati che chiedono di diventare cristiani. In fondo ogni adulto credente o non necessita di questo stesso cammino se vuole trovare il senso della sua vita e del suo impegno anche familiare e sociale.