Esistono luoghi che sono come metafore. Dicono cosa sono stati e le strade nuove che hanno incrociato. Rendono visibile il dolore del passato e al tempo stesso la possibilità di riscatto. L’Arsenale della Pace di Torino dal 2 agosto del 1983 è fatto di questa sostanza. La vecchia fabbrica di armi che produsse gran parte dell’artiglieria delle guerre del Risorgimento e delle due guerre mondiali trasformata dal lavoro gratuito di milioni di giovani e adulti in una testimonianza concreta di pace. Per usare le parole di Papa Francesco, un «fatto che parla da solo», un «messaggio purtroppo drammaticamente attuale» in un mondo in cui soffiano forte i venti di guerra.
Francesco ne ha parlato sabato 7 gennaio nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico in Vaticano. L’ha fatto ricevendo in udienza la Fraternità e gli amici del Sermig, accompagnati dall’Arcivescovo di Torino mons. Roberto Repole e dall’emerito mons. Cesare Nosiglia. Una rappresentanza del popolo che ha condiviso gli ideali di Ernesto Olivero, sua moglie Maria e dei loro amici che negli anni ’60 fondarono il primo gruppo con il sogno di «sconfiggere» la fame nel mondo. «Il Sermig – ha detto il Papa – è una specie di grande albero cresciuto a partire da un piccolo seme. Così sono le realtà del Regno di Dio».
All’inizio dell’incontro con il Papa ha preso la parola Olivero, emozionato per un incontro inseguito da anni. Ha fatto la sintesi della sua vita da sposato, papà, adesso nonno. Un legame mai interrotto con la moglie Maria, «ora in Cielo». L’aneddoto di una giovane moglie che chiede al marito di scegliere un unico gruppo per impegnarsi per gli altri e conciliare così gli impegni di famiglia. «Il Sermig è nato perché le ho obbedito, – racconta – volevamo aiutare i più poveri e combattere la fame nel mondo». Poi il ricordo degli incontri con il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, che fece scoprire ai primi giovani del Sermig la profezia di Isaia di un tempo in cui le armi non sarebbero state più costruite e i popoli non si sarebbero più esercitati nell’arte della guerra. Così il dialogo a tu per tu con Papa Paolo VI che chiese di far partire da Torino una rivoluzione d’amore. «Quando scoprimmo i ruderi del vecchio arsenale, – ricorda Ernesto – con stupore pensammo che forse era quello il luogo dove far vivere insieme la profezia di Isaia e la rivoluzione d’amore che sperava il Papa».
Il resto è la storia: la scelta del sindaco Diego Novelli di affidare un primo pezzo della struttura al gruppo, poi l’arrivo di altri spazi, oggi di oltre 40 mila quadrati, il movimento di bene che dal 1983 al 2019 portò alla riconversione delle vecchie rovine nel luogo che tutti oggi possono ammirare, tra il Cottolengo e la Dora: l’angolo benedetto di Torino, tra la Piccola Casa della Divina Provvidenza e il Valdocco di san Giovanni Bosco. Lì, vicino ad un ponte di ferro che guarda verso l’anima operaia, sobria e fragile di Torino, c’è una scia di bene alimentata da migliaia di volontari insieme alla Fraternità della Speranza, formata da chi ha visto nel Sermig il compimento della propria vocazione: famiglie, singoli, sacerdoti, consacrati e consacrate, giovani, ogni stato di vita. Tutti rappresentati nell’incontro di sabato scorso in Vaticano, guidati da Rosanna Tabasso, la prima ragazza che chiese di vivere la sua consacrazione al Sermig, oggi responsabile del gruppo, dopo la scelta di Ernesto Olivero di rassegnare le dimissioni.
Il Papa ha ascoltato con semplicità, per affidare poi ai presenti una riflessione intensa: il Sermig visto come frutto buono della stagione del Concilio Vaticano II, una risposta ai segni dei tempi radicata nel Vangelo e nella fede in Dio. «Dai frutti – ha detto Francesco – si vede chiaramente che al Sermig non si è fatto mero attivismo, ma si è lasciato spazio a Lui: a Lui pregato, a Lui adorato, a Lui riconosciuto nei piccoli e nei poveri, a Lui accolto negli emarginati». Quello che l’Arsenale della Pace ha da dire parte proprio da qui, «è frutto del sogno di Dio», «un sogno che ha mosso braccia e gambe, ha animato i progetti, le azioni e si è concretizzato nella conversione di un arsenale di armi» dove oggi «si fabbricano artigianalmente le armi della pace, che sono l’incontro, il dialogo, l’accoglienza». «E in che modo si fabbricano?», si è domanda5to il Papa. «Attraverso l’esperienza: nell’Arsenale i giovani possono imparare concretamente a incontrare, a dialogare, ad accogliere».
È ciò che l’Arsenale della Pace cerca di fare dall’inizio della sua storia, attraverso quella che Ernesto Olivero chiama la regola dell’imprevisto, incarnata dal campanello e da chi bussa alla porta. In fondo le tragedie del mondo sono entrate così in piazza Borgo Dora, 61. Dagli appelli dei missionari alle spedizioni umanitarie in ogni continente, dal dialogo con il mondo del carcere all’accoglienza degli stranieri, il Sermig non si è mai sottratto. Da ultimo, di fronte al precipitare degli eventi nella guerra in Ucraina quando l’Arsenale è stato invaso da un fiume di solidarietà e di aiuti che ha permesso di distribuire nelle zone colpite oltre 1500 tonnellate di cibo e farmaci.
«Questa è la strada, – ha sottolineato Francesco – perché il mondo cambia nella misura in cui noi cambiamo. Mentre i signori della guerra costringono tanti giovani a combattere i loro fratelli e sorelle, ci vogliono luoghi in cui si possa sperimentare la fraternità».
Una parola sottolineata più volte. «Il Sermig si chiama ‘fraternità della speranza’ – ha commentato – ma si può dire anche l’inverso, cioè ‘la speranza della fraternità’. Il sogno che anima i cuori degli amici del Sermig è la speranza di un mondo fraterno». Ma tutte queste realtà: «la pace, la speranza, l’incontro, l’armonia, si costruiscono solo con lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio. È Lui che crea la pace, la speranza, l’incontro, l’armonia. E i cantieri vanno avanti se chi ci lavora si lascia lavorare dentro dallo Spirito».
Al termine del suo discorso, il Papa ha voluto salutare i presenti uno a uno: persone di tutte le età, di diversi Paesi e religioni, nella semplicità di uno stile che non fa alcuna differenza. Ecco la cronaca di una nuova pagina della storia del Sermig: parole da custodire che confermano la responsabilità ad avvicinare piccoli e grandi e a fare del dialogo una priorità. Perché impegno civile ed ecclesiale sono le facce della stessa medaglia. Lo raccontano gli incontri avvenuti in passato sia con i presidenti della Repubblica che con altri Papi. Adesso con Francesco. Essere «semplicemente cristiani» e buoni cittadini: il segreto è tutto qui.
Il discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Grazie, caro Ernesto, per il tuo saluto. E grazie a tutti voi di essere venuti. Saluto anche i membri del Sermig che non hanno potuto venire e partecipano a distanza.
Oggi abbiamo l’occasione di ringraziare insieme il Signore per il Sermig, che è una specie di grande albero cresciuto a partire da un piccolo seme. Così sono le realtà del Regno di Dio. Il piccolo seme il Signore l’ha gettato a Torino all’inizio degli anni Sessanta. Un tempo molto fecondo, basta pensare al Pontificato di San Giovanni XXIII e al Concilio Vaticano II. In quegli anni sono germogliate nella Chiesa diverse esperienze di servizio e di vita comunitaria, a partire dal Vangelo.
E là dove c’è stata una continuità, grazie ad alcune vocazioni che hanno ricevuto risposte generose e fedeli, queste esperienze si sono strutturate e sono cresciute cercando di corrispondere ai segni dei tempi. Il Sermig, Servizio Missionario Giovani, è una di queste. È nato a Torino da un gruppo di giovani; ma sarebbe meglio dire: da un gruppo di giovani insieme al Signore Gesù. Del resto, Lui lo disse chiaramente ai suoi discepoli: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5). Dai frutti si vede chiaramente che al Sermig non si è fatto mero attivismo, ma si è lasciato spazio a Lui: a Lui pregato, a Lui adorato, a Lui riconosciuto nei piccoli e nei poveri, a Lui accolto negli emarginati.
Nella storia del Sermig ci sono tanti avvenimenti, tanti gesti che si possono leggere come piccoli e grandi segni di Vangelo vivo. Ma tra tutti ce n’è uno che, in questo momento storico, risalta con una forza straordinaria. Mi riferisco alla trasformazione dell’Arsenale Militare di Torino nell’“Arsenale della Pace”. Questo è un fatto che parla da solo. È un messaggio, purtroppo drammaticamente attuale.
Anche qui, dobbiamo stare attenti a non “uscire di strada”. L’Arsenale della Pace – come le altre realizzazioni del Sermig, e in generale tutte le opere delle comunità cristiane – è un segno del Vangelo non tanto per i numeri che quantificano l’operazione. Non bisogna fermarsi a questo. L’Arsenale della Pace è frutto del sogno di Dio, potremmo dire della potenza della Parola di Dio.
Quella potenza che sentiamo quando ascoltiamo la profezia di Isaia: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un’altra nazione, / non impareranno più l’arte della guerra» (2,4). Ecco il sogno di Dio, che lo Spirito Santo porta avanti nella storia attraverso il suo popolo fedele. Così è stato anche per voi: attraverso la fede e la buona volontà di Ernesto, di sua moglie e del primo gruppo del Sermig è diventato il sogno di tanti giovani. Un sogno che ha mosso braccia e gambe, ha animato i progetti, le azioni e si è concretizzato nella conversione di un arsenale di armi in un arsenale di pace.
E che cosa si “fabbrica” nell’Arsenale della Pace? Che cosa si costruisce? Si fabbricano artigianalmente le armi della pace, che sono l’incontro, il dialogo, l’accoglienza. E in che modo si fabbricano? Attraverso l’esperienza: nell’Arsenale i giovani possono imparare concretamente a incontrare, a dialogare, ad accogliere. Questa è la strada, perché il mondo cambia nella misura in cui noi cambiamo. Mentre i signori della guerra costringono tanti giovani a combattere i loro fratelli e sorelle, ci vogliono luoghi in cui si possa sperimentare la fraternità. Ecco la parola: fraternità.
Infatti il Sermig si chiama “fraternità della speranza”. Ma si può dire anche l’inverso, cioè “la speranza della fraternità”. Il sogno che anima i cuori degli amici del Sermig è la speranza di un mondo fraterno. È il “sogno” che ho voluto rilanciare nella Chiesa e nel mondo attraverso l’Enciclica Fratelli tutti (cfr n. 8). Voi condividete già questo sogno, anzi, ne fate parte, contribuite a dargli carne, a dargli mani, occhi, gambe, a dargli vita. Di questo voglio rendere grazie a Dio con voi, perché questa è un’opera che non si può fare senza Dio. Perché la guerra si può fare senza Dio, ma la pace si fa solo con Lui.
Cari amici del Sermig, non stancatevi mai di costruire l’Arsenale della Pace! Anche se l’opera può sembrare conclusa, in realtà si tratta di un cantiere sempre aperto. Questo voi lo sapete bene, e infatti in questi anni avete dato vita all’Arsenale della Speranza a San Paolo del Brasile, all’Arsenale dell’Incontro a Madaba in Giordania, all’Arsenale dell’Armonia a Pecetto Torinese.
Ma tutte queste realtà: la pace, la speranza, l’incontro, l’armonia, si costruiscono solo con lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio. È Lui che crea la pace, la speranza, l’incontro, l’armonia. E i cantieri vanno avanti se chi ci lavora si lascia lavorare dentro dallo Spirito. Voi mi direte: e chi non crede?, e chi non è cristiano? Questo a noi può sembrare un problema, ma certo non lo è per Dio. Lui, il suo Spirito, parla al cuore di chiunque sappia ascoltare. Ogni uomo e donna di buona volontà può lavorare negli Arsenali della pace, della speranza, dell’incontro e dell’armonia.
Tuttavia, ci vuole qualcuno che abbia il cuore ben radicato nel Vangelo. Ci vuole una comunità di fede e di preghiera che tiene acceso il fuoco per tutti. Quel fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra e che ormai arde per sempre (cfr Lc 12,49). Qui si vede anche il senso di una comunità di persone che abbracciano integralmente la vocazione e la missione della fraternità e la portano avanti in maniera stabile.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio tanto per questo incontro, e soprattutto per la vostra testimonianza e il vostro impegno. Andate avanti! La Madonna vi custodisca e vi accompagni. Vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me.
Papa Francesco